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Le locazioni commerciali al tempo del Coronavirus
2020
Le locazioni commerciali ai tempi del coronavirus
L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus sta generando una grave crisi economica in quasi tutti i settori produttivi del Paese. I provvedimenti fortemente restrittivi hanno interessato la maggioranza delle attività commerciali le quali, impossibilitate a conseguire proventi, stanno affrontando il problema del pagamento dei canoni di locazione. Proprio in questo ambito, gli istituti tradizionali del nostro ordinamento giuridico stanno dimostrando la loro inadeguatezza nel fornire risposte utili ad affrontare la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Il Governo italiano, a far data dai primi provvedimenti adottati per fronteggiare il diffondersi del virus, ha suddiviso le attività produttive e gli esercizi commerciali in due categorie, a seconda della loro ‘essenzialità’ o meno.
Nel contesto emergenziale, tuttavia, sia i gestori delle attività consentite, così come di quelle sospese, stanno fronteggiando il problema relativo al pagamento dei canoni di locazione, principale obbligazione del conduttore.
Da questo punto di vista, le previsioni contenute nella normativa adottata in questi difficili giorni sono pressoché inesistenti ove si consideri che l’unica norma espressamente prevista è quella contenuta nell’art. 65 del D.L. 18/2020, riguardante esclusivamente le attività sospese con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020.
Tale norma prevede un bonus di carattere fiscale consistente in un credito di imposta a favore dei conduttori titolari di attività economiche che siano state sospese in quanto non essenziali. Più nel dettaglio, la misura – un credito di imposta pari al 60 % dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 – potrà essere utilizzata in compensazione con le imposte dovute, esclusivamente dagli intestatari di contratti di locazione di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
La misura di cui si discute, evidentemente, opera solamente a favore delle imprese che, nonostante le difficoltà, siano state in grado di pagare il canone di locazione. Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in assenza di pagamento non è possibile utilizzare il bonus.
L’introduzione del credito di imposta, seppur utile, non risolve tuttavia il problema della carenza di liquidità che le imprese stanno affrontando in quanto, se da un lato non potrà essere utilizzato in compensazione dalle attività non soggette agli obblighi di chiusura – le quali, comunque, potrebbero subire una riduzione del fatturato – dall’altro si rivela utile solo allorquando il conduttore sia stato effettivamente in grado di pagare il canone.
A ben vedere, il problema si pone a monte, e cioè nel momento in cui per il conduttore risulti impossibile adempiere – totalmente o parzialmente – alla propria obbligazione.
Il tema, pertanto, è quello di analizzare eventuali rimedi previsti in via generale dall’ordinamento giuridico, posto che, sicuramente, nei contratti di locazione stipulati ante coronavirus le parti non hanno previsto specifiche clausole contemplanti i comportamenti da tenere in fase di emergenza epidemiologica.
In termini generali, il contratto di locazione è l’accordo in virtù del quale il locatore si impegna a concedere al conduttore il godimento di una cosa, mobile o immobile, per un periodo di tempo determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, detto canone. L’obbligazione principale del conduttore è quella di pagare il canone nei termini convenuti, quella del locatore consiste nel mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto.
A ben vedere, i provvedimenti adottati a seguito della diffusione del coronavirus hanno avuto conseguenze riguardo alle obbligazioni di entrambe le parti del contratto.
Da un lato, infatti, la sospensione di moltissime attività ha avuto riflessi sulla capacità dei conduttori di far fronte alla propria obbligazione, consistente nel pagamento del canone.
Evidentemente, se una attività è stata sospesa, soprattutto quando di piccole dimensioni, il gestore/locatario potrebbe non disporre della liquidità necessaria.
Da questo punto di vista, sono almeno due gli istituti cui fare riferimento; vediamoli nel dettaglio.
Innanzitutto, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 1256 c.c. sostenendo l’impossibilità della sua prestazione, per causa ad esso non imputabile. Tuttavia, mentre può ritenersi corretto interpretare i provvedimenti dell’autorità amministrativa quali cause di impossibilità oggettiva, risulta più arduo configurare l’obbligazione del conduttore come impossibile materialmente. Il pagamento del canone, infatti, diversamente dalle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di genere limitato, non può dirsi mai oggettivamente impossibile.
L’altro istituto cui rivolgere l’attenzione è quello della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, previsto ex art. 1467 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Effettivamente, a causa della chiusura dei locali, il pagamento del corrispettivo potrebbe diventare eccessivamente oneroso. In tal caso, la norma riconosce al locatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto. Il terzo comma dell’art. 1467 c.c., tuttavia, in un’ottica manutentiva, consente al locatore di bilanciare nuovamente il sinallagma contrattuale proponendo una modifica equitativa del contratto, riducendo l’ammontare del canone. Si badi che, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa non ha diritto di sospendere unilateralmente il pagamento, dovendo invece agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
In aggiunta, a tutela del conduttore inadempiente è stata prevista una specifica norma ad opera della decretazione d’urgenza. Il riferimento è al comma 6 bis aggiunto all’art. 3 del D.L. 6/2020 con il D.L. ‘Cura Italia’. Tale previsione, considerando le inevitabili difficoltà che la diffusione del virus e i provvedimenti ad esso collegati avrebbe determinato nella regolare esecuzione dei contratti, sancisce – in maniera probabilmente ridondante – che ‘il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti’. In tal modo, il locatore potrebbe vedersi paralizzare la richiesta di risarcimento del danno arrecato dal conduttore a causa dell’inadempimento della sua obbligazione. La norma non contiene una presunzione per cui il rispetto delle misure previste dal Governo possa mandare esente il conduttore da responsabilità, bensì prescrive che il Giudice debba valutare l’esclusione della responsabilità del debitore, valutando di volta in volta le situazioni e comparando i diversi interessi in gioco.
Se si rivolge, invece, l’attenzione al locatore ed alla sua obbligazione, ecco che torna ad assumere rilevanza il tema della impossibilità della prestazione. Egli, infatti, si obbliga a mettere a disposizione del conduttore l’immobile non per un generico godimento, bensì per un utilizzo specifico consistente nello svolgimento di una determinata attività. Attività che, a causa dei provvedimenti adottati per favorire la regressione del virus, non può svolgersi. Sarebbe il locatore, pertanto, a non essere in grado di adempiere alla propria obbligazione. Il conduttore, infatti, pur avendo la materiale disponibilità della cosa, non può goderne - per tutto il periodo di vigenza del divieto - per lo svolgimento della specifica attività per cui aveva scelto di stipulare il contratto. Si determinerebbe, quindi, una impossibilità parziale della prestazione del locatore che legittimerebbe, conseguentemente, il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 c.c., a domandare una riduzione della prestazione da esso dovuta, ove non sia intenzionato a recedere dal contratto.
Gli istituti generali sin qui presi in considerazione hanno tutti la comune caratteristica di essere diretti alla risoluzione del contratto, fatta eccezione per la facoltà prevista in capo al creditore, nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, di evitare la caducazione del contratto proponendo una sua modifica.
Si deve però considerare che, nella situazione economica che stiamo attraversando, difficilmente le parti del contratto, non appena una della due risulti inadempiente, vorranno sciogliere il contratto, opzione che, invece, dovrebbe essere considerata quale extrema ratio.
Per entrambe le parti è più vantaggioso mantenere in vita il contratto. Se, infatti, per il locatore è innegabile che, ottenuto lo scioglimento del contratto, in questo momento difficilmente sarebbe in grado di individuare un nuovo conduttore, è altrettanto vero che anche il conduttore sarà interessato a far sopravvivere il contratto, nella speranza che – terminata la situazione di emergenza – sarà possibile riprendere nuovamente la propria attività.
Ecco quindi che, per soddisfare al meglio gli interessi delle parti ed evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale, il rimedio più adatto è rappresentato dal ricorso ai principi generali della correttezza e della buona fede. La parte colpita dagli effetti pregiudizievoli dell’emergenza sanitaria potrà chiedere alla propria controparte di rinegoziare i termini del contratto, prevedendo la sospensione del pagamento del canone oppure una sua riduzione, facendo appello ai summenzionati principi che trovano necessariamente applicazione in tutte le fasi della vicenda contrattuale. Corrispondentemente, in capo all’altra parte sussisterebbe un obbligo – fondato sui medesimi doveri, oltre che sul generale principio di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost. – di acconsentire alla rinegoziazione, accettando le modifiche proposte o proponendo delle nuove soluzioni che consentano di ristabilire l’equilibrio del rapporto contrattuale.
In conclusione, non si può non sottolineare come la situazione sia caratterizzata da assoluta ed inedita eccezionalità per fronteggiare la quale si reputa opportuno l’intervento del legislatore volto a disciplinare in modo specifico le fattispecie che si stanno venendo a creare e che, inevitabilmente, si creeranno.
In un’ottica disincentivante del ricorso all’Autorità giudiziaria, a mero titolo esemplificativo, potrebbe essere predeterminata una ripartizione tra il locatore e il conduttore dei costi causati dalla sospensione delle attività commerciali, nonché la previsione dell’incentivazione a raggiungere un accordo bonario tra le medesime parti, prevedendo degli sgravi fiscali.
PMI: prestiti fino a € 25.000,00 garantiti dallo stato
2020
PMI: prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato
Per assicurare la continuità dell’attività delle imprese, degli artigiani, dei lavoratori autonomi e dei professionisti in questa fase di emergenza sanitaria, il Consiglio dei Ministri ha individuato due forme di intervento complementari.
Si tratta della moratoria sui prestiti e dell’intervento del Fondo di garanzia per le PMI, entrambi previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” n. 17/2020.
Mentre la prima misura non è stata interessata dalle norme contenute nel D.L. 23/2020, le declinazioni dell’attività del Fondo Centrale di Garanzia hanno subito rilevanti modifiche ad opera Decreto ‘Liquidità’ riguardanti i massimali previsti, le percentuali di copertura, i requisiti soggettivi e i termini di accesso alla misura.
In generale, l’attività del Fondo di Garanzia consiste in un’agevolazione prevista dal Ministero dello Sviluppo economico che può essere attivata a fronte di finanziamenti erogati da Banche o altri intermediari finanziari e che non interviene direttamente nel rapporto tra Banca e Cliente, bensì sostituisce le onerose garanzie richieste per ottenere un finanziamento con la garanzia pubblica.
L’art. 13 del Decreto ‘Liquidità’, abrogando espressamente l’art. 49 del D.L. 17/2020, ne ha mantenuto l’impianto prevedendo quanto segue:
proroga dei termini di accesso alla misura sino al 31 dicembre 2020;
gratuità della concessione della garanzia;
incremento dei massimali di copertura sino all’importo di € 5 milioni per singola impresa;
estensione della platea dei soggetti beneficiari alle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 unità;
nonché, alla lett. m) del co. 1, una specifica misura di concessione di garanzia sui nuovi finanziamenti erogati dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore delle piccole e medie imprese come pure di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività è stata danneggiata dall’emergenza da COVID-19, come da autocertificazione.
Tale misura, cui si accede secondo un iter procedurale semplificato, consiste – previa autorizzazione della Commissione Europea ex art. 108 TFUE – in una garanzia pari al 100% dell’importo erogato, somma che non può superare il 25 % dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario e, in ogni caso, non può essere superiore a 25.000 euro. I ricavi sono quelli risultanti dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da “altra idonea documentazione”, anche mediante autocertificazione. Per gli esercenti arti e professioni, diversamente, il termine ‘ricavi’ dovrà essere considerato nell’accezione di ‘compensi’ riferiti all’anno d’imposta 2018.
Affinché operi la garanzia, per tali finanziamenti deve essere previsto il rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall’erogazione e gli stessi, in aggiunta, non devono avere una durata superiore ai 72 mesi.
È stata oggetto di conferma la previsione circa l’automaticità e gratuità dell’intervento, previa verifica del possesso dei requisiti richiesti, senza alcuna valutazione preventiva di merito del soggetto beneficiario.
In conclusione – sottolineando come il reale successo di tale misura sarà determinato dalla capacità dell’intero sistema creditizio di elaborare con celerità le numerosissime domande presentate e di fornire una rapida risposta alle imprese in difficoltà – si aggiunge che, all’art. 1 del Decreto ‘Liquidità’, è stata introdotta un’ulteriore misura di sostegno, avente carattere sussidiario, rappresentata dalla Garanzia SACE per le grandi imprese, le PMI e i professionisti che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia.
Moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
2020
La moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
Il Governo italiano, nel suo affannoso tentativo di arginare le drammatiche conseguenze che la diffusione pandemica del Coronavirus determinerà anche nel nostro Paese, ha dato vita ad una copiosa produzione normativa con la previsione – tra le altre misure – di varie forme di sostegno economico al sistema produttivo.
Da questo punto di vista, risulta imprescindibile tutelare le cd. ‘PMI’ (Piccole e medie imprese) che, considerata la loro rilevanza economica e capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, costituiscono la componente fondamentale del sistema economico italiano e la cui scomparsa determinerebbe incalcolabili danni e ricadute su tutti gli altri settori, cui sarebbe impossibile porre rimedio.
Per evitare un simile scenario, all’interno del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, il Governo all’art. 56 ha previsto una norma contenente “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”.
Viene così introdotta quella che può essere considerata una – seppur limitata – boccata d’ossigeno per le imprese di minor dimensione operanti in tutti i settori ed aventi sede in Italia.
Tale strumento rientra tra quegli interventi definibili come Aiuti di Stato consentiti dall’art. 107 TFUE, in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, in quanto diretto a porre rimedio ai danni causati da un simile evento eccezionale comportante un grave turbamento all’economia.
Si tratta, a ben vedere, di una moratoria sui prestiti concessi dalle Banche e dagli altri Intermediari Finanziari alle micro, piccole e medie imprese così come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE e cioè quelle con un numero di occupati inferiore alle 250 unità e con un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro, ovvero il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
Come precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’interno di questa previsione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi titolari di partita Iva.
Più nel dettaglio, la misura di sostegno finanziario contenuta nel co. 2, lett. c) dell’art. 56 consiste nella possibilità di ottenere, per mutui e altri finanziamenti a rimborso rateale, che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre del 2020 venga sospeso sino a tale data. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione verrà, pertanto, dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Presupposto necessario per poter beneficiare di tale previsione – oltre a quello relativo alla solvibilità dell’impresa, che non deve presentare esposizioni debitorie classificate come deteriorate – è quello della presentazione di una comunicazione contenente: l’indicazione del finanziamento per il quale è richiesta la moratoria, i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, la dichiarazione con la quale si autocertifica, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, con la consapevolezza delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci.
Tali comunicazioni, che possono essere presentate dalle imprese dal 17 marzo 2020, possono essere inviate anche tramite PEC o con altri sistemi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.
Lo strumento in esame, trattandosi di moratoria ad ampio spettro di applicazione e concepita in risposta al Covid-19, consente di evitare il processo che – viste le modifiche apportate al contratto originale della linea di credito – potrebbe condurre ad una classificazione a forbearance del finanziamento. Tale circostanza è stata confermata anche dall’EBA nelle sue linee guida del 2 aprile 2020, nelle quali si specifica che “l’applicazione della moratoria generale di pagamento di per sé non dovrebbe indurre a riclassificare un’esposizione come «forborne» (sia essa deteriorata o non deteriorata), a meno che non sia già stata classificata come «forborne» al momento dell’applicazione della moratoria”. Conseguenza è quella per cui potrà ricorrere a tale strumento anche l’impresa – in bonis – che abbia comunque ottenuto misure di sospensione o ristrutturazione dello stesso finanziamento nell’arco dei 24 mesi precedenti.
Nulla esclude, come per altro si sta già verificando, che i singoli istituti di credito possano, nel rispetto dei requisiti indicati dall’art. 56 del decreto, adottare previsioni maggiormente favorevoli per l’impresa, come potrebbe essere quella relativa al periodo di sospensione dei pagamenti, avendo riguardo al comportamento e alla situazione riguardante il debitore prima dell’esplosione della pandemia.
In attesa della conversione del decreto che, ai sensi dell’art. 77 Cost., deve avvenire entro 60 giorni dalla sua pubblicazione - oltre a porre particolare attenzione agli emendamenti che verranno presentati in tale occasione e che potrebbero condurre all’eliminazione dei requisiti dimensionali e di fatturato delle imprese per beneficiare della moratoria - è consigliabile per quelle attualmente escluse dalla norma – e cioè quelle in bonis di grandi dimensioni nonché quelle classificate come deteriorate – prendere contatti con i singoli istituti di credito per valutare l’adozione di misure analoghe.
Il diritto di famiglia al tempo del coronavirus
2020
L'Avvocato Stella intervistata da Il Dubbio
2020
presso Udine
Intervista all'Avvocato Alessandra Stella su Il Dubbio.
Intelligenza artificiale e giustizia, ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
2020
presso Udine
Assemblea dei legali del triveneto domani a Padova. Tra gli argomenti toccati ci saranno anche le implicazioni legate all’utilizzo degli algoritmi nella amministrazione della giustizia
AVVOCATI: Intelligenza artificiale e giustizia,
ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
Stella: “La giustizia predittiva è dietro l’angolo. Occorre essere pronti: in America si utilizza nel penale; in Estonia nelle cause risarcitorie. In Italia è già realtà in alcuni studi di Roma e Milano”
Padova 21 febbraio 2020 – 13 luglio 2016, Wisconsin (USA): la Suprema Corte conferma la sentenza pronunciata dal Tribunale circondariale di La Crosse, il quale aveva condannato Eric L. Loomis per ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Un caso che non presentava nulla di particolarmente rilevante, senonché il giudice di primo grado si era avvalso del programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), i cui algoritmi avevano calcolato come Loomis avesse un'elevata probabilità di recidiva.
L’Intelligenza Artificiale (in breve AI) consiste, in estrema sintesi, nel far riprodurre a strumenti robotici, attraverso calcoli e algoritmi, capacità e attività cognitive proprie dell’essere umano. La vita di ogni giorno ci offre esempi molto semplici: i traduttori automatici, i sistemi di riconoscimento facciale, i veicoli a guida autonoma. L’Intelligenza Artificiale è una realtà attuale, non più appartenente ad un futuro distopico, ed è oramai prossima ad abbracciare ogni ambito della società, tra cui – come dimostra il caso Looming – anche quello della giustizia. Altro esempio emblematico è quello dell’Estonia, dove si utilizza, in via sperimentale, un algoritmo per risolvere controversie con valore inferiore ai 7mila euro.
“Questa vicenda processuale – spiega la Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati Alessandra Stella, parlando del caso Looming – rappresenta il punto centrale della cosiddetta giustizia predittiva, che consiste nella possibilità di anticipare, tramite algoritmi commerciali, il probabile ragionamento del giudice e quindi la possibile sentenza. In pratica si predice la soluzione perché già a monte si sa che il giudice, quando andrà a decidere la questione, lo farà in un determinato modo. Non si tratta di un futuro lontano, ma di una realtà attuale anche in Italia. A Milano gli algoritmi sono già realtà in alcuni studi legali che li utilizzano per redigere, ad esempio, decreti ingiuntivi che vengono elaborati in pochi minuti senza richiedere tutta quella attività, molto più impegnativa, che viene affidata tradizionalmente al collaboratore di studio”.
I vantaggi e le semplificazioni che ne deriverebbero si possono facilmente immaginare; si pensi alle cosiddette “due diligence”, cioè l'attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all'oggetto di una trattativa finalizzata a valutare la convenienza di un affare. “Addirittura – spiega l’avv. Stella – se queste attività sono poste in essere dall'uomo hanno un margine di errore superiore rispetto al software il cui tasso di fallibilità è dello 0,2%. Praticamente perfetto. Ora, il sistema americano pare orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale. In Italia dobbiamo invece capire per tempo quali prospettive si aprano nell’organizzazione del lavoro dello studio o nella ordinaria attività degli uffici giudiziari. Da noi, del resto, le sentenze non hanno lo stesso valore che hanno nel sistema anglosassone dove costituiscono un precedente vincolante”.
Se non mancano i potenziali aspetti positivi della giustizia predittiva, lo stesso deve dirsi per dubbi e interrogativi: tra tutti, la garanzia della trasparenza del processo logico-decisionale applicato dal programma. Se è necessario poter leggere la motivazione di una sentenza pronunciata da un giudice “umano”, tale necessità si sentirà maggiormente per il caso in cui ad emettere la sentenza sia un giudice “robotico”. Per quanto il software potrà essere scritto seguendo criteri di traslazione in linguaggio matematico dei principi giuridici, trasformati in formule o algoritmi, sarà imprescindibile garantire la verifica dei passaggi tecnici: oltre, quindi, alla motivazione in sé, dovrà essere oggetto di verifica anche il procedimento informatico che ha portato alla motivazione stessa.
All’avvocato Stella fa eco il Presidente degli avvocati di Padova Leonardo Arnau: “Come funziona la giustizia predittiva? Prendiamo ad esempio una separazione tra coniugi: inseriamo nel programma i dati dei clienti, la consistenza del patrimonio, i dati sulla composizione del nucleo familiare, il tenore di vita, le abitudini di vita e l'algoritmo determina se sia dovuto e a quanto ammonti l'assegno di mantenimento, e come va diviso il patrimonio. Lo stesso per il penale: si inseriscono i precedenti, il tipo di personalità, e in ragione della giurisprudenza pregressa l'algoritmo determina la decisione”.
Ed ancora l’Avv. Stella: “Come avvocati non posso nascondere che c’è preoccupazione perché c'è un modo evidentemente differente di svolgere la professione e se queste nuove prospettive non vengono guidate correttamente, potrebbero incidere significativamente”.
Un punto di partenza potrebbe essere la Carta etica europea sull’uso dell’IA nei sistemi giudiziari e il loro ambiente, pubblicata dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa. La Carta etica europea, oltre ad incoraggiare l’uso di strumenti e servizi di IA per migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia, enuncia cinque principi ai quali ci si dovrà attenere: 1) principio di rispetto dei diritti fondamentali, 2) principio di non discriminazione, 3) principio di qualità e sicurezza, 4) principio di trasparenza, imparzialità ed equità e 5) principio “sotto il controllo dell’utente”.
Anche di questo si parlerà domani a Padova in occasione dell’Assemblea degli Avvocati del Triveneto. L’appuntamento è fissato per
Sabato 22 febbraio 2020 alle ore
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Interverranno tra gli altri:
Alessandra Stella - Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati
Leonardo Arnau – Presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova
La presenza di un giornalista della vostra testata sarà particolarmente gradita
Ufficio Stampa assemblea: Carlo Saccon Tel 3282170266
Cormons, assemblea dell'unione Triveneta dei consigli dell'ordine degli avvocati
2019
Link al video del TGR FVG, edizione delle 19:30 del 16 Settembre 2019. L'intervento parte dal minuto 15:20.
“Giustizia e diritti, programmi per l’Europa a confronto”
2019
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Di riforma in riforma”
2019
presso Padova
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Società tra avvocati, una vantaggiosa alternativa allo studio legale associato? Aspetti giuridici, fiscali, previdenziali e deontologici”
2019
presso Pordenone
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Quando i robot apriranno lo studio, Robot e Intelligenza artificiale al servizio del libero professionista”
2019
presso Vicenza
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“I profili personali e patrimoniali nella crisi di famiglia. Evoluzione giurisprudenziale”
2018
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
Le locazioni commerciali al tempo del Coronavirus
2020
Le locazioni commerciali ai tempi del coronavirus
L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus sta generando una grave crisi economica in quasi tutti i settori produttivi del Paese. I provvedimenti fortemente restrittivi hanno interessato la maggioranza delle attività commerciali le quali, impossibilitate a conseguire proventi, stanno affrontando il problema del pagamento dei canoni di locazione. Proprio in questo ambito, gli istituti tradizionali del nostro ordinamento giuridico stanno dimostrando la loro inadeguatezza nel fornire risposte utili ad affrontare la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Il Governo italiano, a far data dai primi provvedimenti adottati per fronteggiare il diffondersi del virus, ha suddiviso le attività produttive e gli esercizi commerciali in due categorie, a seconda della loro ‘essenzialità’ o meno.
Nel contesto emergenziale, tuttavia, sia i gestori delle attività consentite, così come di quelle sospese, stanno fronteggiando il problema relativo al pagamento dei canoni di locazione, principale obbligazione del conduttore.
Da questo punto di vista, le previsioni contenute nella normativa adottata in questi difficili giorni sono pressoché inesistenti ove si consideri che l’unica norma espressamente prevista è quella contenuta nell’art. 65 del D.L. 18/2020, riguardante esclusivamente le attività sospese con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020.
Tale norma prevede un bonus di carattere fiscale consistente in un credito di imposta a favore dei conduttori titolari di attività economiche che siano state sospese in quanto non essenziali. Più nel dettaglio, la misura – un credito di imposta pari al 60 % dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 – potrà essere utilizzata in compensazione con le imposte dovute, esclusivamente dagli intestatari di contratti di locazione di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
La misura di cui si discute, evidentemente, opera solamente a favore delle imprese che, nonostante le difficoltà, siano state in grado di pagare il canone di locazione. Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in assenza di pagamento non è possibile utilizzare il bonus.
L’introduzione del credito di imposta, seppur utile, non risolve tuttavia il problema della carenza di liquidità che le imprese stanno affrontando in quanto, se da un lato non potrà essere utilizzato in compensazione dalle attività non soggette agli obblighi di chiusura – le quali, comunque, potrebbero subire una riduzione del fatturato – dall’altro si rivela utile solo allorquando il conduttore sia stato effettivamente in grado di pagare il canone.
A ben vedere, il problema si pone a monte, e cioè nel momento in cui per il conduttore risulti impossibile adempiere – totalmente o parzialmente – alla propria obbligazione.
Il tema, pertanto, è quello di analizzare eventuali rimedi previsti in via generale dall’ordinamento giuridico, posto che, sicuramente, nei contratti di locazione stipulati ante coronavirus le parti non hanno previsto specifiche clausole contemplanti i comportamenti da tenere in fase di emergenza epidemiologica.
In termini generali, il contratto di locazione è l’accordo in virtù del quale il locatore si impegna a concedere al conduttore il godimento di una cosa, mobile o immobile, per un periodo di tempo determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, detto canone. L’obbligazione principale del conduttore è quella di pagare il canone nei termini convenuti, quella del locatore consiste nel mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto.
A ben vedere, i provvedimenti adottati a seguito della diffusione del coronavirus hanno avuto conseguenze riguardo alle obbligazioni di entrambe le parti del contratto.
Da un lato, infatti, la sospensione di moltissime attività ha avuto riflessi sulla capacità dei conduttori di far fronte alla propria obbligazione, consistente nel pagamento del canone.
Evidentemente, se una attività è stata sospesa, soprattutto quando di piccole dimensioni, il gestore/locatario potrebbe non disporre della liquidità necessaria.
Da questo punto di vista, sono almeno due gli istituti cui fare riferimento; vediamoli nel dettaglio.
Innanzitutto, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 1256 c.c. sostenendo l’impossibilità della sua prestazione, per causa ad esso non imputabile. Tuttavia, mentre può ritenersi corretto interpretare i provvedimenti dell’autorità amministrativa quali cause di impossibilità oggettiva, risulta più arduo configurare l’obbligazione del conduttore come impossibile materialmente. Il pagamento del canone, infatti, diversamente dalle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di genere limitato, non può dirsi mai oggettivamente impossibile.
L’altro istituto cui rivolgere l’attenzione è quello della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, previsto ex art. 1467 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Effettivamente, a causa della chiusura dei locali, il pagamento del corrispettivo potrebbe diventare eccessivamente oneroso. In tal caso, la norma riconosce al locatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto. Il terzo comma dell’art. 1467 c.c., tuttavia, in un’ottica manutentiva, consente al locatore di bilanciare nuovamente il sinallagma contrattuale proponendo una modifica equitativa del contratto, riducendo l’ammontare del canone. Si badi che, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa non ha diritto di sospendere unilateralmente il pagamento, dovendo invece agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
In aggiunta, a tutela del conduttore inadempiente è stata prevista una specifica norma ad opera della decretazione d’urgenza. Il riferimento è al comma 6 bis aggiunto all’art. 3 del D.L. 6/2020 con il D.L. ‘Cura Italia’. Tale previsione, considerando le inevitabili difficoltà che la diffusione del virus e i provvedimenti ad esso collegati avrebbe determinato nella regolare esecuzione dei contratti, sancisce – in maniera probabilmente ridondante – che ‘il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti’. In tal modo, il locatore potrebbe vedersi paralizzare la richiesta di risarcimento del danno arrecato dal conduttore a causa dell’inadempimento della sua obbligazione. La norma non contiene una presunzione per cui il rispetto delle misure previste dal Governo possa mandare esente il conduttore da responsabilità, bensì prescrive che il Giudice debba valutare l’esclusione della responsabilità del debitore, valutando di volta in volta le situazioni e comparando i diversi interessi in gioco.
Se si rivolge, invece, l’attenzione al locatore ed alla sua obbligazione, ecco che torna ad assumere rilevanza il tema della impossibilità della prestazione. Egli, infatti, si obbliga a mettere a disposizione del conduttore l’immobile non per un generico godimento, bensì per un utilizzo specifico consistente nello svolgimento di una determinata attività. Attività che, a causa dei provvedimenti adottati per favorire la regressione del virus, non può svolgersi. Sarebbe il locatore, pertanto, a non essere in grado di adempiere alla propria obbligazione. Il conduttore, infatti, pur avendo la materiale disponibilità della cosa, non può goderne - per tutto il periodo di vigenza del divieto - per lo svolgimento della specifica attività per cui aveva scelto di stipulare il contratto. Si determinerebbe, quindi, una impossibilità parziale della prestazione del locatore che legittimerebbe, conseguentemente, il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 c.c., a domandare una riduzione della prestazione da esso dovuta, ove non sia intenzionato a recedere dal contratto.
Gli istituti generali sin qui presi in considerazione hanno tutti la comune caratteristica di essere diretti alla risoluzione del contratto, fatta eccezione per la facoltà prevista in capo al creditore, nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, di evitare la caducazione del contratto proponendo una sua modifica.
Si deve però considerare che, nella situazione economica che stiamo attraversando, difficilmente le parti del contratto, non appena una della due risulti inadempiente, vorranno sciogliere il contratto, opzione che, invece, dovrebbe essere considerata quale extrema ratio.
Per entrambe le parti è più vantaggioso mantenere in vita il contratto. Se, infatti, per il locatore è innegabile che, ottenuto lo scioglimento del contratto, in questo momento difficilmente sarebbe in grado di individuare un nuovo conduttore, è altrettanto vero che anche il conduttore sarà interessato a far sopravvivere il contratto, nella speranza che – terminata la situazione di emergenza – sarà possibile riprendere nuovamente la propria attività.
Ecco quindi che, per soddisfare al meglio gli interessi delle parti ed evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale, il rimedio più adatto è rappresentato dal ricorso ai principi generali della correttezza e della buona fede. La parte colpita dagli effetti pregiudizievoli dell’emergenza sanitaria potrà chiedere alla propria controparte di rinegoziare i termini del contratto, prevedendo la sospensione del pagamento del canone oppure una sua riduzione, facendo appello ai summenzionati principi che trovano necessariamente applicazione in tutte le fasi della vicenda contrattuale. Corrispondentemente, in capo all’altra parte sussisterebbe un obbligo – fondato sui medesimi doveri, oltre che sul generale principio di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost. – di acconsentire alla rinegoziazione, accettando le modifiche proposte o proponendo delle nuove soluzioni che consentano di ristabilire l’equilibrio del rapporto contrattuale.
In conclusione, non si può non sottolineare come la situazione sia caratterizzata da assoluta ed inedita eccezionalità per fronteggiare la quale si reputa opportuno l’intervento del legislatore volto a disciplinare in modo specifico le fattispecie che si stanno venendo a creare e che, inevitabilmente, si creeranno.
In un’ottica disincentivante del ricorso all’Autorità giudiziaria, a mero titolo esemplificativo, potrebbe essere predeterminata una ripartizione tra il locatore e il conduttore dei costi causati dalla sospensione delle attività commerciali, nonché la previsione dell’incentivazione a raggiungere un accordo bonario tra le medesime parti, prevedendo degli sgravi fiscali.
PMI: prestiti fino a € 25.000,00 garantiti dallo stato
2020
PMI: prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato
Per assicurare la continuità dell’attività delle imprese, degli artigiani, dei lavoratori autonomi e dei professionisti in questa fase di emergenza sanitaria, il Consiglio dei Ministri ha individuato due forme di intervento complementari.
Si tratta della moratoria sui prestiti e dell’intervento del Fondo di garanzia per le PMI, entrambi previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” n. 17/2020.
Mentre la prima misura non è stata interessata dalle norme contenute nel D.L. 23/2020, le declinazioni dell’attività del Fondo Centrale di Garanzia hanno subito rilevanti modifiche ad opera Decreto ‘Liquidità’ riguardanti i massimali previsti, le percentuali di copertura, i requisiti soggettivi e i termini di accesso alla misura.
In generale, l’attività del Fondo di Garanzia consiste in un’agevolazione prevista dal Ministero dello Sviluppo economico che può essere attivata a fronte di finanziamenti erogati da Banche o altri intermediari finanziari e che non interviene direttamente nel rapporto tra Banca e Cliente, bensì sostituisce le onerose garanzie richieste per ottenere un finanziamento con la garanzia pubblica.
L’art. 13 del Decreto ‘Liquidità’, abrogando espressamente l’art. 49 del D.L. 17/2020, ne ha mantenuto l’impianto prevedendo quanto segue:
proroga dei termini di accesso alla misura sino al 31 dicembre 2020;
gratuità della concessione della garanzia;
incremento dei massimali di copertura sino all’importo di € 5 milioni per singola impresa;
estensione della platea dei soggetti beneficiari alle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 unità;
nonché, alla lett. m) del co. 1, una specifica misura di concessione di garanzia sui nuovi finanziamenti erogati dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore delle piccole e medie imprese come pure di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività è stata danneggiata dall’emergenza da COVID-19, come da autocertificazione.
Tale misura, cui si accede secondo un iter procedurale semplificato, consiste – previa autorizzazione della Commissione Europea ex art. 108 TFUE – in una garanzia pari al 100% dell’importo erogato, somma che non può superare il 25 % dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario e, in ogni caso, non può essere superiore a 25.000 euro. I ricavi sono quelli risultanti dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da “altra idonea documentazione”, anche mediante autocertificazione. Per gli esercenti arti e professioni, diversamente, il termine ‘ricavi’ dovrà essere considerato nell’accezione di ‘compensi’ riferiti all’anno d’imposta 2018.
Affinché operi la garanzia, per tali finanziamenti deve essere previsto il rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall’erogazione e gli stessi, in aggiunta, non devono avere una durata superiore ai 72 mesi.
È stata oggetto di conferma la previsione circa l’automaticità e gratuità dell’intervento, previa verifica del possesso dei requisiti richiesti, senza alcuna valutazione preventiva di merito del soggetto beneficiario.
In conclusione – sottolineando come il reale successo di tale misura sarà determinato dalla capacità dell’intero sistema creditizio di elaborare con celerità le numerosissime domande presentate e di fornire una rapida risposta alle imprese in difficoltà – si aggiunge che, all’art. 1 del Decreto ‘Liquidità’, è stata introdotta un’ulteriore misura di sostegno, avente carattere sussidiario, rappresentata dalla Garanzia SACE per le grandi imprese, le PMI e i professionisti che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia.
Moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
2020
La moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
Il Governo italiano, nel suo affannoso tentativo di arginare le drammatiche conseguenze che la diffusione pandemica del Coronavirus determinerà anche nel nostro Paese, ha dato vita ad una copiosa produzione normativa con la previsione – tra le altre misure – di varie forme di sostegno economico al sistema produttivo.
Da questo punto di vista, risulta imprescindibile tutelare le cd. ‘PMI’ (Piccole e medie imprese) che, considerata la loro rilevanza economica e capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, costituiscono la componente fondamentale del sistema economico italiano e la cui scomparsa determinerebbe incalcolabili danni e ricadute su tutti gli altri settori, cui sarebbe impossibile porre rimedio.
Per evitare un simile scenario, all’interno del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, il Governo all’art. 56 ha previsto una norma contenente “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”.
Viene così introdotta quella che può essere considerata una – seppur limitata – boccata d’ossigeno per le imprese di minor dimensione operanti in tutti i settori ed aventi sede in Italia.
Tale strumento rientra tra quegli interventi definibili come Aiuti di Stato consentiti dall’art. 107 TFUE, in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, in quanto diretto a porre rimedio ai danni causati da un simile evento eccezionale comportante un grave turbamento all’economia.
Si tratta, a ben vedere, di una moratoria sui prestiti concessi dalle Banche e dagli altri Intermediari Finanziari alle micro, piccole e medie imprese così come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE e cioè quelle con un numero di occupati inferiore alle 250 unità e con un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro, ovvero il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
Come precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’interno di questa previsione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi titolari di partita Iva.
Più nel dettaglio, la misura di sostegno finanziario contenuta nel co. 2, lett. c) dell’art. 56 consiste nella possibilità di ottenere, per mutui e altri finanziamenti a rimborso rateale, che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre del 2020 venga sospeso sino a tale data. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione verrà, pertanto, dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Presupposto necessario per poter beneficiare di tale previsione – oltre a quello relativo alla solvibilità dell’impresa, che non deve presentare esposizioni debitorie classificate come deteriorate – è quello della presentazione di una comunicazione contenente: l’indicazione del finanziamento per il quale è richiesta la moratoria, i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, la dichiarazione con la quale si autocertifica, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, con la consapevolezza delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci.
Tali comunicazioni, che possono essere presentate dalle imprese dal 17 marzo 2020, possono essere inviate anche tramite PEC o con altri sistemi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.
Lo strumento in esame, trattandosi di moratoria ad ampio spettro di applicazione e concepita in risposta al Covid-19, consente di evitare il processo che – viste le modifiche apportate al contratto originale della linea di credito – potrebbe condurre ad una classificazione a forbearance del finanziamento. Tale circostanza è stata confermata anche dall’EBA nelle sue linee guida del 2 aprile 2020, nelle quali si specifica che “l’applicazione della moratoria generale di pagamento di per sé non dovrebbe indurre a riclassificare un’esposizione come «forborne» (sia essa deteriorata o non deteriorata), a meno che non sia già stata classificata come «forborne» al momento dell’applicazione della moratoria”. Conseguenza è quella per cui potrà ricorrere a tale strumento anche l’impresa – in bonis – che abbia comunque ottenuto misure di sospensione o ristrutturazione dello stesso finanziamento nell’arco dei 24 mesi precedenti.
Nulla esclude, come per altro si sta già verificando, che i singoli istituti di credito possano, nel rispetto dei requisiti indicati dall’art. 56 del decreto, adottare previsioni maggiormente favorevoli per l’impresa, come potrebbe essere quella relativa al periodo di sospensione dei pagamenti, avendo riguardo al comportamento e alla situazione riguardante il debitore prima dell’esplosione della pandemia.
In attesa della conversione del decreto che, ai sensi dell’art. 77 Cost., deve avvenire entro 60 giorni dalla sua pubblicazione - oltre a porre particolare attenzione agli emendamenti che verranno presentati in tale occasione e che potrebbero condurre all’eliminazione dei requisiti dimensionali e di fatturato delle imprese per beneficiare della moratoria - è consigliabile per quelle attualmente escluse dalla norma – e cioè quelle in bonis di grandi dimensioni nonché quelle classificate come deteriorate – prendere contatti con i singoli istituti di credito per valutare l’adozione di misure analoghe.
Il diritto di famiglia al tempo del coronavirus
2020
L'Avvocato Stella intervistata da Il Dubbio
2020
presso Udine
Intervista all'Avvocato Alessandra Stella su Il Dubbio.
Intelligenza artificiale e giustizia, ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
2020
presso Udine
Assemblea dei legali del triveneto domani a Padova. Tra gli argomenti toccati ci saranno anche le implicazioni legate all’utilizzo degli algoritmi nella amministrazione della giustizia
AVVOCATI: Intelligenza artificiale e giustizia,
ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
Stella: “La giustizia predittiva è dietro l’angolo. Occorre essere pronti: in America si utilizza nel penale; in Estonia nelle cause risarcitorie. In Italia è già realtà in alcuni studi di Roma e Milano”
Padova 21 febbraio 2020 – 13 luglio 2016, Wisconsin (USA): la Suprema Corte conferma la sentenza pronunciata dal Tribunale circondariale di La Crosse, il quale aveva condannato Eric L. Loomis per ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Un caso che non presentava nulla di particolarmente rilevante, senonché il giudice di primo grado si era avvalso del programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), i cui algoritmi avevano calcolato come Loomis avesse un'elevata probabilità di recidiva.
L’Intelligenza Artificiale (in breve AI) consiste, in estrema sintesi, nel far riprodurre a strumenti robotici, attraverso calcoli e algoritmi, capacità e attività cognitive proprie dell’essere umano. La vita di ogni giorno ci offre esempi molto semplici: i traduttori automatici, i sistemi di riconoscimento facciale, i veicoli a guida autonoma. L’Intelligenza Artificiale è una realtà attuale, non più appartenente ad un futuro distopico, ed è oramai prossima ad abbracciare ogni ambito della società, tra cui – come dimostra il caso Looming – anche quello della giustizia. Altro esempio emblematico è quello dell’Estonia, dove si utilizza, in via sperimentale, un algoritmo per risolvere controversie con valore inferiore ai 7mila euro.
“Questa vicenda processuale – spiega la Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati Alessandra Stella, parlando del caso Looming – rappresenta il punto centrale della cosiddetta giustizia predittiva, che consiste nella possibilità di anticipare, tramite algoritmi commerciali, il probabile ragionamento del giudice e quindi la possibile sentenza. In pratica si predice la soluzione perché già a monte si sa che il giudice, quando andrà a decidere la questione, lo farà in un determinato modo. Non si tratta di un futuro lontano, ma di una realtà attuale anche in Italia. A Milano gli algoritmi sono già realtà in alcuni studi legali che li utilizzano per redigere, ad esempio, decreti ingiuntivi che vengono elaborati in pochi minuti senza richiedere tutta quella attività, molto più impegnativa, che viene affidata tradizionalmente al collaboratore di studio”.
I vantaggi e le semplificazioni che ne deriverebbero si possono facilmente immaginare; si pensi alle cosiddette “due diligence”, cioè l'attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all'oggetto di una trattativa finalizzata a valutare la convenienza di un affare. “Addirittura – spiega l’avv. Stella – se queste attività sono poste in essere dall'uomo hanno un margine di errore superiore rispetto al software il cui tasso di fallibilità è dello 0,2%. Praticamente perfetto. Ora, il sistema americano pare orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale. In Italia dobbiamo invece capire per tempo quali prospettive si aprano nell’organizzazione del lavoro dello studio o nella ordinaria attività degli uffici giudiziari. Da noi, del resto, le sentenze non hanno lo stesso valore che hanno nel sistema anglosassone dove costituiscono un precedente vincolante”.
Se non mancano i potenziali aspetti positivi della giustizia predittiva, lo stesso deve dirsi per dubbi e interrogativi: tra tutti, la garanzia della trasparenza del processo logico-decisionale applicato dal programma. Se è necessario poter leggere la motivazione di una sentenza pronunciata da un giudice “umano”, tale necessità si sentirà maggiormente per il caso in cui ad emettere la sentenza sia un giudice “robotico”. Per quanto il software potrà essere scritto seguendo criteri di traslazione in linguaggio matematico dei principi giuridici, trasformati in formule o algoritmi, sarà imprescindibile garantire la verifica dei passaggi tecnici: oltre, quindi, alla motivazione in sé, dovrà essere oggetto di verifica anche il procedimento informatico che ha portato alla motivazione stessa.
All’avvocato Stella fa eco il Presidente degli avvocati di Padova Leonardo Arnau: “Come funziona la giustizia predittiva? Prendiamo ad esempio una separazione tra coniugi: inseriamo nel programma i dati dei clienti, la consistenza del patrimonio, i dati sulla composizione del nucleo familiare, il tenore di vita, le abitudini di vita e l'algoritmo determina se sia dovuto e a quanto ammonti l'assegno di mantenimento, e come va diviso il patrimonio. Lo stesso per il penale: si inseriscono i precedenti, il tipo di personalità, e in ragione della giurisprudenza pregressa l'algoritmo determina la decisione”.
Ed ancora l’Avv. Stella: “Come avvocati non posso nascondere che c’è preoccupazione perché c'è un modo evidentemente differente di svolgere la professione e se queste nuove prospettive non vengono guidate correttamente, potrebbero incidere significativamente”.
Un punto di partenza potrebbe essere la Carta etica europea sull’uso dell’IA nei sistemi giudiziari e il loro ambiente, pubblicata dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa. La Carta etica europea, oltre ad incoraggiare l’uso di strumenti e servizi di IA per migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia, enuncia cinque principi ai quali ci si dovrà attenere: 1) principio di rispetto dei diritti fondamentali, 2) principio di non discriminazione, 3) principio di qualità e sicurezza, 4) principio di trasparenza, imparzialità ed equità e 5) principio “sotto il controllo dell’utente”.
Anche di questo si parlerà domani a Padova in occasione dell’Assemblea degli Avvocati del Triveneto. L’appuntamento è fissato per
Sabato 22 febbraio 2020 alle ore
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Interverranno tra gli altri:
Alessandra Stella - Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati
Leonardo Arnau – Presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova
La presenza di un giornalista della vostra testata sarà particolarmente gradita
Ufficio Stampa assemblea: Carlo Saccon Tel 3282170266
Cormons, assemblea dell'unione Triveneta dei consigli dell'ordine degli avvocati
2019
Link al video del TGR FVG, edizione delle 19:30 del 16 Settembre 2019. L'intervento parte dal minuto 15:20.
“Giustizia e diritti, programmi per l’Europa a confronto”
2019
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Di riforma in riforma”
2019
presso Padova
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Società tra avvocati, una vantaggiosa alternativa allo studio legale associato? Aspetti giuridici, fiscali, previdenziali e deontologici”
2019
presso Pordenone
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Quando i robot apriranno lo studio, Robot e Intelligenza artificiale al servizio del libero professionista”
2019
presso Vicenza
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“I profili personali e patrimoniali nella crisi di famiglia. Evoluzione giurisprudenziale”
2018
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
Le locazioni commerciali al tempo del Coronavirus
2020
Le locazioni commerciali ai tempi del coronavirus
L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus sta generando una grave crisi economica in quasi tutti i settori produttivi del Paese. I provvedimenti fortemente restrittivi hanno interessato la maggioranza delle attività commerciali le quali, impossibilitate a conseguire proventi, stanno affrontando il problema del pagamento dei canoni di locazione. Proprio in questo ambito, gli istituti tradizionali del nostro ordinamento giuridico stanno dimostrando la loro inadeguatezza nel fornire risposte utili ad affrontare la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Il Governo italiano, a far data dai primi provvedimenti adottati per fronteggiare il diffondersi del virus, ha suddiviso le attività produttive e gli esercizi commerciali in due categorie, a seconda della loro ‘essenzialità’ o meno.
Nel contesto emergenziale, tuttavia, sia i gestori delle attività consentite, così come di quelle sospese, stanno fronteggiando il problema relativo al pagamento dei canoni di locazione, principale obbligazione del conduttore.
Da questo punto di vista, le previsioni contenute nella normativa adottata in questi difficili giorni sono pressoché inesistenti ove si consideri che l’unica norma espressamente prevista è quella contenuta nell’art. 65 del D.L. 18/2020, riguardante esclusivamente le attività sospese con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020.
Tale norma prevede un bonus di carattere fiscale consistente in un credito di imposta a favore dei conduttori titolari di attività economiche che siano state sospese in quanto non essenziali. Più nel dettaglio, la misura – un credito di imposta pari al 60 % dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 – potrà essere utilizzata in compensazione con le imposte dovute, esclusivamente dagli intestatari di contratti di locazione di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
La misura di cui si discute, evidentemente, opera solamente a favore delle imprese che, nonostante le difficoltà, siano state in grado di pagare il canone di locazione. Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in assenza di pagamento non è possibile utilizzare il bonus.
L’introduzione del credito di imposta, seppur utile, non risolve tuttavia il problema della carenza di liquidità che le imprese stanno affrontando in quanto, se da un lato non potrà essere utilizzato in compensazione dalle attività non soggette agli obblighi di chiusura – le quali, comunque, potrebbero subire una riduzione del fatturato – dall’altro si rivela utile solo allorquando il conduttore sia stato effettivamente in grado di pagare il canone.
A ben vedere, il problema si pone a monte, e cioè nel momento in cui per il conduttore risulti impossibile adempiere – totalmente o parzialmente – alla propria obbligazione.
Il tema, pertanto, è quello di analizzare eventuali rimedi previsti in via generale dall’ordinamento giuridico, posto che, sicuramente, nei contratti di locazione stipulati ante coronavirus le parti non hanno previsto specifiche clausole contemplanti i comportamenti da tenere in fase di emergenza epidemiologica.
In termini generali, il contratto di locazione è l’accordo in virtù del quale il locatore si impegna a concedere al conduttore il godimento di una cosa, mobile o immobile, per un periodo di tempo determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, detto canone. L’obbligazione principale del conduttore è quella di pagare il canone nei termini convenuti, quella del locatore consiste nel mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto.
A ben vedere, i provvedimenti adottati a seguito della diffusione del coronavirus hanno avuto conseguenze riguardo alle obbligazioni di entrambe le parti del contratto.
Da un lato, infatti, la sospensione di moltissime attività ha avuto riflessi sulla capacità dei conduttori di far fronte alla propria obbligazione, consistente nel pagamento del canone.
Evidentemente, se una attività è stata sospesa, soprattutto quando di piccole dimensioni, il gestore/locatario potrebbe non disporre della liquidità necessaria.
Da questo punto di vista, sono almeno due gli istituti cui fare riferimento; vediamoli nel dettaglio.
Innanzitutto, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 1256 c.c. sostenendo l’impossibilità della sua prestazione, per causa ad esso non imputabile. Tuttavia, mentre può ritenersi corretto interpretare i provvedimenti dell’autorità amministrativa quali cause di impossibilità oggettiva, risulta più arduo configurare l’obbligazione del conduttore come impossibile materialmente. Il pagamento del canone, infatti, diversamente dalle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di genere limitato, non può dirsi mai oggettivamente impossibile.
L’altro istituto cui rivolgere l’attenzione è quello della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, previsto ex art. 1467 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Effettivamente, a causa della chiusura dei locali, il pagamento del corrispettivo potrebbe diventare eccessivamente oneroso. In tal caso, la norma riconosce al locatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto. Il terzo comma dell’art. 1467 c.c., tuttavia, in un’ottica manutentiva, consente al locatore di bilanciare nuovamente il sinallagma contrattuale proponendo una modifica equitativa del contratto, riducendo l’ammontare del canone. Si badi che, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa non ha diritto di sospendere unilateralmente il pagamento, dovendo invece agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
In aggiunta, a tutela del conduttore inadempiente è stata prevista una specifica norma ad opera della decretazione d’urgenza. Il riferimento è al comma 6 bis aggiunto all’art. 3 del D.L. 6/2020 con il D.L. ‘Cura Italia’. Tale previsione, considerando le inevitabili difficoltà che la diffusione del virus e i provvedimenti ad esso collegati avrebbe determinato nella regolare esecuzione dei contratti, sancisce – in maniera probabilmente ridondante – che ‘il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti’. In tal modo, il locatore potrebbe vedersi paralizzare la richiesta di risarcimento del danno arrecato dal conduttore a causa dell’inadempimento della sua obbligazione. La norma non contiene una presunzione per cui il rispetto delle misure previste dal Governo possa mandare esente il conduttore da responsabilità, bensì prescrive che il Giudice debba valutare l’esclusione della responsabilità del debitore, valutando di volta in volta le situazioni e comparando i diversi interessi in gioco.
Se si rivolge, invece, l’attenzione al locatore ed alla sua obbligazione, ecco che torna ad assumere rilevanza il tema della impossibilità della prestazione. Egli, infatti, si obbliga a mettere a disposizione del conduttore l’immobile non per un generico godimento, bensì per un utilizzo specifico consistente nello svolgimento di una determinata attività. Attività che, a causa dei provvedimenti adottati per favorire la regressione del virus, non può svolgersi. Sarebbe il locatore, pertanto, a non essere in grado di adempiere alla propria obbligazione. Il conduttore, infatti, pur avendo la materiale disponibilità della cosa, non può goderne - per tutto il periodo di vigenza del divieto - per lo svolgimento della specifica attività per cui aveva scelto di stipulare il contratto. Si determinerebbe, quindi, una impossibilità parziale della prestazione del locatore che legittimerebbe, conseguentemente, il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 c.c., a domandare una riduzione della prestazione da esso dovuta, ove non sia intenzionato a recedere dal contratto.
Gli istituti generali sin qui presi in considerazione hanno tutti la comune caratteristica di essere diretti alla risoluzione del contratto, fatta eccezione per la facoltà prevista in capo al creditore, nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, di evitare la caducazione del contratto proponendo una sua modifica.
Si deve però considerare che, nella situazione economica che stiamo attraversando, difficilmente le parti del contratto, non appena una della due risulti inadempiente, vorranno sciogliere il contratto, opzione che, invece, dovrebbe essere considerata quale extrema ratio.
Per entrambe le parti è più vantaggioso mantenere in vita il contratto. Se, infatti, per il locatore è innegabile che, ottenuto lo scioglimento del contratto, in questo momento difficilmente sarebbe in grado di individuare un nuovo conduttore, è altrettanto vero che anche il conduttore sarà interessato a far sopravvivere il contratto, nella speranza che – terminata la situazione di emergenza – sarà possibile riprendere nuovamente la propria attività.
Ecco quindi che, per soddisfare al meglio gli interessi delle parti ed evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale, il rimedio più adatto è rappresentato dal ricorso ai principi generali della correttezza e della buona fede. La parte colpita dagli effetti pregiudizievoli dell’emergenza sanitaria potrà chiedere alla propria controparte di rinegoziare i termini del contratto, prevedendo la sospensione del pagamento del canone oppure una sua riduzione, facendo appello ai summenzionati principi che trovano necessariamente applicazione in tutte le fasi della vicenda contrattuale. Corrispondentemente, in capo all’altra parte sussisterebbe un obbligo – fondato sui medesimi doveri, oltre che sul generale principio di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost. – di acconsentire alla rinegoziazione, accettando le modifiche proposte o proponendo delle nuove soluzioni che consentano di ristabilire l’equilibrio del rapporto contrattuale.
In conclusione, non si può non sottolineare come la situazione sia caratterizzata da assoluta ed inedita eccezionalità per fronteggiare la quale si reputa opportuno l’intervento del legislatore volto a disciplinare in modo specifico le fattispecie che si stanno venendo a creare e che, inevitabilmente, si creeranno.
In un’ottica disincentivante del ricorso all’Autorità giudiziaria, a mero titolo esemplificativo, potrebbe essere predeterminata una ripartizione tra il locatore e il conduttore dei costi causati dalla sospensione delle attività commerciali, nonché la previsione dell’incentivazione a raggiungere un accordo bonario tra le medesime parti, prevedendo degli sgravi fiscali.
PMI: prestiti fino a € 25.000,00 garantiti dallo stato
2020
PMI: prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato
Per assicurare la continuità dell’attività delle imprese, degli artigiani, dei lavoratori autonomi e dei professionisti in questa fase di emergenza sanitaria, il Consiglio dei Ministri ha individuato due forme di intervento complementari.
Si tratta della moratoria sui prestiti e dell’intervento del Fondo di garanzia per le PMI, entrambi previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” n. 17/2020.
Mentre la prima misura non è stata interessata dalle norme contenute nel D.L. 23/2020, le declinazioni dell’attività del Fondo Centrale di Garanzia hanno subito rilevanti modifiche ad opera Decreto ‘Liquidità’ riguardanti i massimali previsti, le percentuali di copertura, i requisiti soggettivi e i termini di accesso alla misura.
In generale, l’attività del Fondo di Garanzia consiste in un’agevolazione prevista dal Ministero dello Sviluppo economico che può essere attivata a fronte di finanziamenti erogati da Banche o altri intermediari finanziari e che non interviene direttamente nel rapporto tra Banca e Cliente, bensì sostituisce le onerose garanzie richieste per ottenere un finanziamento con la garanzia pubblica.
L’art. 13 del Decreto ‘Liquidità’, abrogando espressamente l’art. 49 del D.L. 17/2020, ne ha mantenuto l’impianto prevedendo quanto segue:
proroga dei termini di accesso alla misura sino al 31 dicembre 2020;
gratuità della concessione della garanzia;
incremento dei massimali di copertura sino all’importo di € 5 milioni per singola impresa;
estensione della platea dei soggetti beneficiari alle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 unità;
nonché, alla lett. m) del co. 1, una specifica misura di concessione di garanzia sui nuovi finanziamenti erogati dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore delle piccole e medie imprese come pure di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività è stata danneggiata dall’emergenza da COVID-19, come da autocertificazione.
Tale misura, cui si accede secondo un iter procedurale semplificato, consiste – previa autorizzazione della Commissione Europea ex art. 108 TFUE – in una garanzia pari al 100% dell’importo erogato, somma che non può superare il 25 % dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario e, in ogni caso, non può essere superiore a 25.000 euro. I ricavi sono quelli risultanti dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da “altra idonea documentazione”, anche mediante autocertificazione. Per gli esercenti arti e professioni, diversamente, il termine ‘ricavi’ dovrà essere considerato nell’accezione di ‘compensi’ riferiti all’anno d’imposta 2018.
Affinché operi la garanzia, per tali finanziamenti deve essere previsto il rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall’erogazione e gli stessi, in aggiunta, non devono avere una durata superiore ai 72 mesi.
È stata oggetto di conferma la previsione circa l’automaticità e gratuità dell’intervento, previa verifica del possesso dei requisiti richiesti, senza alcuna valutazione preventiva di merito del soggetto beneficiario.
In conclusione – sottolineando come il reale successo di tale misura sarà determinato dalla capacità dell’intero sistema creditizio di elaborare con celerità le numerosissime domande presentate e di fornire una rapida risposta alle imprese in difficoltà – si aggiunge che, all’art. 1 del Decreto ‘Liquidità’, è stata introdotta un’ulteriore misura di sostegno, avente carattere sussidiario, rappresentata dalla Garanzia SACE per le grandi imprese, le PMI e i professionisti che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia.
Moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
2020
La moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
Il Governo italiano, nel suo affannoso tentativo di arginare le drammatiche conseguenze che la diffusione pandemica del Coronavirus determinerà anche nel nostro Paese, ha dato vita ad una copiosa produzione normativa con la previsione – tra le altre misure – di varie forme di sostegno economico al sistema produttivo.
Da questo punto di vista, risulta imprescindibile tutelare le cd. ‘PMI’ (Piccole e medie imprese) che, considerata la loro rilevanza economica e capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, costituiscono la componente fondamentale del sistema economico italiano e la cui scomparsa determinerebbe incalcolabili danni e ricadute su tutti gli altri settori, cui sarebbe impossibile porre rimedio.
Per evitare un simile scenario, all’interno del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, il Governo all’art. 56 ha previsto una norma contenente “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”.
Viene così introdotta quella che può essere considerata una – seppur limitata – boccata d’ossigeno per le imprese di minor dimensione operanti in tutti i settori ed aventi sede in Italia.
Tale strumento rientra tra quegli interventi definibili come Aiuti di Stato consentiti dall’art. 107 TFUE, in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, in quanto diretto a porre rimedio ai danni causati da un simile evento eccezionale comportante un grave turbamento all’economia.
Si tratta, a ben vedere, di una moratoria sui prestiti concessi dalle Banche e dagli altri Intermediari Finanziari alle micro, piccole e medie imprese così come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE e cioè quelle con un numero di occupati inferiore alle 250 unità e con un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro, ovvero il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
Come precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’interno di questa previsione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi titolari di partita Iva.
Più nel dettaglio, la misura di sostegno finanziario contenuta nel co. 2, lett. c) dell’art. 56 consiste nella possibilità di ottenere, per mutui e altri finanziamenti a rimborso rateale, che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre del 2020 venga sospeso sino a tale data. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione verrà, pertanto, dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Presupposto necessario per poter beneficiare di tale previsione – oltre a quello relativo alla solvibilità dell’impresa, che non deve presentare esposizioni debitorie classificate come deteriorate – è quello della presentazione di una comunicazione contenente: l’indicazione del finanziamento per il quale è richiesta la moratoria, i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, la dichiarazione con la quale si autocertifica, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, con la consapevolezza delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci.
Tali comunicazioni, che possono essere presentate dalle imprese dal 17 marzo 2020, possono essere inviate anche tramite PEC o con altri sistemi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.
Lo strumento in esame, trattandosi di moratoria ad ampio spettro di applicazione e concepita in risposta al Covid-19, consente di evitare il processo che – viste le modifiche apportate al contratto originale della linea di credito – potrebbe condurre ad una classificazione a forbearance del finanziamento. Tale circostanza è stata confermata anche dall’EBA nelle sue linee guida del 2 aprile 2020, nelle quali si specifica che “l’applicazione della moratoria generale di pagamento di per sé non dovrebbe indurre a riclassificare un’esposizione come «forborne» (sia essa deteriorata o non deteriorata), a meno che non sia già stata classificata come «forborne» al momento dell’applicazione della moratoria”. Conseguenza è quella per cui potrà ricorrere a tale strumento anche l’impresa – in bonis – che abbia comunque ottenuto misure di sospensione o ristrutturazione dello stesso finanziamento nell’arco dei 24 mesi precedenti.
Nulla esclude, come per altro si sta già verificando, che i singoli istituti di credito possano, nel rispetto dei requisiti indicati dall’art. 56 del decreto, adottare previsioni maggiormente favorevoli per l’impresa, come potrebbe essere quella relativa al periodo di sospensione dei pagamenti, avendo riguardo al comportamento e alla situazione riguardante il debitore prima dell’esplosione della pandemia.
In attesa della conversione del decreto che, ai sensi dell’art. 77 Cost., deve avvenire entro 60 giorni dalla sua pubblicazione - oltre a porre particolare attenzione agli emendamenti che verranno presentati in tale occasione e che potrebbero condurre all’eliminazione dei requisiti dimensionali e di fatturato delle imprese per beneficiare della moratoria - è consigliabile per quelle attualmente escluse dalla norma – e cioè quelle in bonis di grandi dimensioni nonché quelle classificate come deteriorate – prendere contatti con i singoli istituti di credito per valutare l’adozione di misure analoghe.
Il diritto di famiglia al tempo del coronavirus
2020
L'Avvocato Stella intervistata da Il Dubbio
2020
presso Udine
Intervista all'Avvocato Alessandra Stella su Il Dubbio.
Intelligenza artificiale e giustizia, ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
2020
presso Udine
Assemblea dei legali del triveneto domani a Padova. Tra gli argomenti toccati ci saranno anche le implicazioni legate all’utilizzo degli algoritmi nella amministrazione della giustizia
AVVOCATI: Intelligenza artificiale e giustizia,
ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
Stella: “La giustizia predittiva è dietro l’angolo. Occorre essere pronti: in America si utilizza nel penale; in Estonia nelle cause risarcitorie. In Italia è già realtà in alcuni studi di Roma e Milano”
Padova 21 febbraio 2020 – 13 luglio 2016, Wisconsin (USA): la Suprema Corte conferma la sentenza pronunciata dal Tribunale circondariale di La Crosse, il quale aveva condannato Eric L. Loomis per ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Un caso che non presentava nulla di particolarmente rilevante, senonché il giudice di primo grado si era avvalso del programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), i cui algoritmi avevano calcolato come Loomis avesse un'elevata probabilità di recidiva.
L’Intelligenza Artificiale (in breve AI) consiste, in estrema sintesi, nel far riprodurre a strumenti robotici, attraverso calcoli e algoritmi, capacità e attività cognitive proprie dell’essere umano. La vita di ogni giorno ci offre esempi molto semplici: i traduttori automatici, i sistemi di riconoscimento facciale, i veicoli a guida autonoma. L’Intelligenza Artificiale è una realtà attuale, non più appartenente ad un futuro distopico, ed è oramai prossima ad abbracciare ogni ambito della società, tra cui – come dimostra il caso Looming – anche quello della giustizia. Altro esempio emblematico è quello dell’Estonia, dove si utilizza, in via sperimentale, un algoritmo per risolvere controversie con valore inferiore ai 7mila euro.
“Questa vicenda processuale – spiega la Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati Alessandra Stella, parlando del caso Looming – rappresenta il punto centrale della cosiddetta giustizia predittiva, che consiste nella possibilità di anticipare, tramite algoritmi commerciali, il probabile ragionamento del giudice e quindi la possibile sentenza. In pratica si predice la soluzione perché già a monte si sa che il giudice, quando andrà a decidere la questione, lo farà in un determinato modo. Non si tratta di un futuro lontano, ma di una realtà attuale anche in Italia. A Milano gli algoritmi sono già realtà in alcuni studi legali che li utilizzano per redigere, ad esempio, decreti ingiuntivi che vengono elaborati in pochi minuti senza richiedere tutta quella attività, molto più impegnativa, che viene affidata tradizionalmente al collaboratore di studio”.
I vantaggi e le semplificazioni che ne deriverebbero si possono facilmente immaginare; si pensi alle cosiddette “due diligence”, cioè l'attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all'oggetto di una trattativa finalizzata a valutare la convenienza di un affare. “Addirittura – spiega l’avv. Stella – se queste attività sono poste in essere dall'uomo hanno un margine di errore superiore rispetto al software il cui tasso di fallibilità è dello 0,2%. Praticamente perfetto. Ora, il sistema americano pare orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale. In Italia dobbiamo invece capire per tempo quali prospettive si aprano nell’organizzazione del lavoro dello studio o nella ordinaria attività degli uffici giudiziari. Da noi, del resto, le sentenze non hanno lo stesso valore che hanno nel sistema anglosassone dove costituiscono un precedente vincolante”.
Se non mancano i potenziali aspetti positivi della giustizia predittiva, lo stesso deve dirsi per dubbi e interrogativi: tra tutti, la garanzia della trasparenza del processo logico-decisionale applicato dal programma. Se è necessario poter leggere la motivazione di una sentenza pronunciata da un giudice “umano”, tale necessità si sentirà maggiormente per il caso in cui ad emettere la sentenza sia un giudice “robotico”. Per quanto il software potrà essere scritto seguendo criteri di traslazione in linguaggio matematico dei principi giuridici, trasformati in formule o algoritmi, sarà imprescindibile garantire la verifica dei passaggi tecnici: oltre, quindi, alla motivazione in sé, dovrà essere oggetto di verifica anche il procedimento informatico che ha portato alla motivazione stessa.
All’avvocato Stella fa eco il Presidente degli avvocati di Padova Leonardo Arnau: “Come funziona la giustizia predittiva? Prendiamo ad esempio una separazione tra coniugi: inseriamo nel programma i dati dei clienti, la consistenza del patrimonio, i dati sulla composizione del nucleo familiare, il tenore di vita, le abitudini di vita e l'algoritmo determina se sia dovuto e a quanto ammonti l'assegno di mantenimento, e come va diviso il patrimonio. Lo stesso per il penale: si inseriscono i precedenti, il tipo di personalità, e in ragione della giurisprudenza pregressa l'algoritmo determina la decisione”.
Ed ancora l’Avv. Stella: “Come avvocati non posso nascondere che c’è preoccupazione perché c'è un modo evidentemente differente di svolgere la professione e se queste nuove prospettive non vengono guidate correttamente, potrebbero incidere significativamente”.
Un punto di partenza potrebbe essere la Carta etica europea sull’uso dell’IA nei sistemi giudiziari e il loro ambiente, pubblicata dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa. La Carta etica europea, oltre ad incoraggiare l’uso di strumenti e servizi di IA per migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia, enuncia cinque principi ai quali ci si dovrà attenere: 1) principio di rispetto dei diritti fondamentali, 2) principio di non discriminazione, 3) principio di qualità e sicurezza, 4) principio di trasparenza, imparzialità ed equità e 5) principio “sotto il controllo dell’utente”.
Anche di questo si parlerà domani a Padova in occasione dell’Assemblea degli Avvocati del Triveneto. L’appuntamento è fissato per
Sabato 22 febbraio 2020 alle ore
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Interverranno tra gli altri:
Alessandra Stella - Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati
Leonardo Arnau – Presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova
La presenza di un giornalista della vostra testata sarà particolarmente gradita
Ufficio Stampa assemblea: Carlo Saccon Tel 3282170266
Cormons, assemblea dell'unione Triveneta dei consigli dell'ordine degli avvocati
2019
Link al video del TGR FVG, edizione delle 19:30 del 16 Settembre 2019. L'intervento parte dal minuto 15:20.
“Giustizia e diritti, programmi per l’Europa a confronto”
2019
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Di riforma in riforma”
2019
presso Padova
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Società tra avvocati, una vantaggiosa alternativa allo studio legale associato? Aspetti giuridici, fiscali, previdenziali e deontologici”
2019
presso Pordenone
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Quando i robot apriranno lo studio, Robot e Intelligenza artificiale al servizio del libero professionista”
2019
presso Vicenza
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“I profili personali e patrimoniali nella crisi di famiglia. Evoluzione giurisprudenziale”
2018
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
Le locazioni commerciali al tempo del Coronavirus
2020
Le locazioni commerciali ai tempi del coronavirus
L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus sta generando una grave crisi economica in quasi tutti i settori produttivi del Paese. I provvedimenti fortemente restrittivi hanno interessato la maggioranza delle attività commerciali le quali, impossibilitate a conseguire proventi, stanno affrontando il problema del pagamento dei canoni di locazione. Proprio in questo ambito, gli istituti tradizionali del nostro ordinamento giuridico stanno dimostrando la loro inadeguatezza nel fornire risposte utili ad affrontare la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Il Governo italiano, a far data dai primi provvedimenti adottati per fronteggiare il diffondersi del virus, ha suddiviso le attività produttive e gli esercizi commerciali in due categorie, a seconda della loro ‘essenzialità’ o meno.
Nel contesto emergenziale, tuttavia, sia i gestori delle attività consentite, così come di quelle sospese, stanno fronteggiando il problema relativo al pagamento dei canoni di locazione, principale obbligazione del conduttore.
Da questo punto di vista, le previsioni contenute nella normativa adottata in questi difficili giorni sono pressoché inesistenti ove si consideri che l’unica norma espressamente prevista è quella contenuta nell’art. 65 del D.L. 18/2020, riguardante esclusivamente le attività sospese con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020.
Tale norma prevede un bonus di carattere fiscale consistente in un credito di imposta a favore dei conduttori titolari di attività economiche che siano state sospese in quanto non essenziali. Più nel dettaglio, la misura – un credito di imposta pari al 60 % dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 – potrà essere utilizzata in compensazione con le imposte dovute, esclusivamente dagli intestatari di contratti di locazione di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
La misura di cui si discute, evidentemente, opera solamente a favore delle imprese che, nonostante le difficoltà, siano state in grado di pagare il canone di locazione. Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in assenza di pagamento non è possibile utilizzare il bonus.
L’introduzione del credito di imposta, seppur utile, non risolve tuttavia il problema della carenza di liquidità che le imprese stanno affrontando in quanto, se da un lato non potrà essere utilizzato in compensazione dalle attività non soggette agli obblighi di chiusura – le quali, comunque, potrebbero subire una riduzione del fatturato – dall’altro si rivela utile solo allorquando il conduttore sia stato effettivamente in grado di pagare il canone.
A ben vedere, il problema si pone a monte, e cioè nel momento in cui per il conduttore risulti impossibile adempiere – totalmente o parzialmente – alla propria obbligazione.
Il tema, pertanto, è quello di analizzare eventuali rimedi previsti in via generale dall’ordinamento giuridico, posto che, sicuramente, nei contratti di locazione stipulati ante coronavirus le parti non hanno previsto specifiche clausole contemplanti i comportamenti da tenere in fase di emergenza epidemiologica.
In termini generali, il contratto di locazione è l’accordo in virtù del quale il locatore si impegna a concedere al conduttore il godimento di una cosa, mobile o immobile, per un periodo di tempo determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, detto canone. L’obbligazione principale del conduttore è quella di pagare il canone nei termini convenuti, quella del locatore consiste nel mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto.
A ben vedere, i provvedimenti adottati a seguito della diffusione del coronavirus hanno avuto conseguenze riguardo alle obbligazioni di entrambe le parti del contratto.
Da un lato, infatti, la sospensione di moltissime attività ha avuto riflessi sulla capacità dei conduttori di far fronte alla propria obbligazione, consistente nel pagamento del canone.
Evidentemente, se una attività è stata sospesa, soprattutto quando di piccole dimensioni, il gestore/locatario potrebbe non disporre della liquidità necessaria.
Da questo punto di vista, sono almeno due gli istituti cui fare riferimento; vediamoli nel dettaglio.
Innanzitutto, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 1256 c.c. sostenendo l’impossibilità della sua prestazione, per causa ad esso non imputabile. Tuttavia, mentre può ritenersi corretto interpretare i provvedimenti dell’autorità amministrativa quali cause di impossibilità oggettiva, risulta più arduo configurare l’obbligazione del conduttore come impossibile materialmente. Il pagamento del canone, infatti, diversamente dalle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di genere limitato, non può dirsi mai oggettivamente impossibile.
L’altro istituto cui rivolgere l’attenzione è quello della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, previsto ex art. 1467 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Effettivamente, a causa della chiusura dei locali, il pagamento del corrispettivo potrebbe diventare eccessivamente oneroso. In tal caso, la norma riconosce al locatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto. Il terzo comma dell’art. 1467 c.c., tuttavia, in un’ottica manutentiva, consente al locatore di bilanciare nuovamente il sinallagma contrattuale proponendo una modifica equitativa del contratto, riducendo l’ammontare del canone. Si badi che, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa non ha diritto di sospendere unilateralmente il pagamento, dovendo invece agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
In aggiunta, a tutela del conduttore inadempiente è stata prevista una specifica norma ad opera della decretazione d’urgenza. Il riferimento è al comma 6 bis aggiunto all’art. 3 del D.L. 6/2020 con il D.L. ‘Cura Italia’. Tale previsione, considerando le inevitabili difficoltà che la diffusione del virus e i provvedimenti ad esso collegati avrebbe determinato nella regolare esecuzione dei contratti, sancisce – in maniera probabilmente ridondante – che ‘il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti’. In tal modo, il locatore potrebbe vedersi paralizzare la richiesta di risarcimento del danno arrecato dal conduttore a causa dell’inadempimento della sua obbligazione. La norma non contiene una presunzione per cui il rispetto delle misure previste dal Governo possa mandare esente il conduttore da responsabilità, bensì prescrive che il Giudice debba valutare l’esclusione della responsabilità del debitore, valutando di volta in volta le situazioni e comparando i diversi interessi in gioco.
Se si rivolge, invece, l’attenzione al locatore ed alla sua obbligazione, ecco che torna ad assumere rilevanza il tema della impossibilità della prestazione. Egli, infatti, si obbliga a mettere a disposizione del conduttore l’immobile non per un generico godimento, bensì per un utilizzo specifico consistente nello svolgimento di una determinata attività. Attività che, a causa dei provvedimenti adottati per favorire la regressione del virus, non può svolgersi. Sarebbe il locatore, pertanto, a non essere in grado di adempiere alla propria obbligazione. Il conduttore, infatti, pur avendo la materiale disponibilità della cosa, non può goderne - per tutto il periodo di vigenza del divieto - per lo svolgimento della specifica attività per cui aveva scelto di stipulare il contratto. Si determinerebbe, quindi, una impossibilità parziale della prestazione del locatore che legittimerebbe, conseguentemente, il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 c.c., a domandare una riduzione della prestazione da esso dovuta, ove non sia intenzionato a recedere dal contratto.
Gli istituti generali sin qui presi in considerazione hanno tutti la comune caratteristica di essere diretti alla risoluzione del contratto, fatta eccezione per la facoltà prevista in capo al creditore, nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, di evitare la caducazione del contratto proponendo una sua modifica.
Si deve però considerare che, nella situazione economica che stiamo attraversando, difficilmente le parti del contratto, non appena una della due risulti inadempiente, vorranno sciogliere il contratto, opzione che, invece, dovrebbe essere considerata quale extrema ratio.
Per entrambe le parti è più vantaggioso mantenere in vita il contratto. Se, infatti, per il locatore è innegabile che, ottenuto lo scioglimento del contratto, in questo momento difficilmente sarebbe in grado di individuare un nuovo conduttore, è altrettanto vero che anche il conduttore sarà interessato a far sopravvivere il contratto, nella speranza che – terminata la situazione di emergenza – sarà possibile riprendere nuovamente la propria attività.
Ecco quindi che, per soddisfare al meglio gli interessi delle parti ed evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale, il rimedio più adatto è rappresentato dal ricorso ai principi generali della correttezza e della buona fede. La parte colpita dagli effetti pregiudizievoli dell’emergenza sanitaria potrà chiedere alla propria controparte di rinegoziare i termini del contratto, prevedendo la sospensione del pagamento del canone oppure una sua riduzione, facendo appello ai summenzionati principi che trovano necessariamente applicazione in tutte le fasi della vicenda contrattuale. Corrispondentemente, in capo all’altra parte sussisterebbe un obbligo – fondato sui medesimi doveri, oltre che sul generale principio di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost. – di acconsentire alla rinegoziazione, accettando le modifiche proposte o proponendo delle nuove soluzioni che consentano di ristabilire l’equilibrio del rapporto contrattuale.
In conclusione, non si può non sottolineare come la situazione sia caratterizzata da assoluta ed inedita eccezionalità per fronteggiare la quale si reputa opportuno l’intervento del legislatore volto a disciplinare in modo specifico le fattispecie che si stanno venendo a creare e che, inevitabilmente, si creeranno.
In un’ottica disincentivante del ricorso all’Autorità giudiziaria, a mero titolo esemplificativo, potrebbe essere predeterminata una ripartizione tra il locatore e il conduttore dei costi causati dalla sospensione delle attività commerciali, nonché la previsione dell’incentivazione a raggiungere un accordo bonario tra le medesime parti, prevedendo degli sgravi fiscali.
PMI: prestiti fino a € 25.000,00 garantiti dallo stato
2020
PMI: prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato
Per assicurare la continuità dell’attività delle imprese, degli artigiani, dei lavoratori autonomi e dei professionisti in questa fase di emergenza sanitaria, il Consiglio dei Ministri ha individuato due forme di intervento complementari.
Si tratta della moratoria sui prestiti e dell’intervento del Fondo di garanzia per le PMI, entrambi previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” n. 17/2020.
Mentre la prima misura non è stata interessata dalle norme contenute nel D.L. 23/2020, le declinazioni dell’attività del Fondo Centrale di Garanzia hanno subito rilevanti modifiche ad opera Decreto ‘Liquidità’ riguardanti i massimali previsti, le percentuali di copertura, i requisiti soggettivi e i termini di accesso alla misura.
In generale, l’attività del Fondo di Garanzia consiste in un’agevolazione prevista dal Ministero dello Sviluppo economico che può essere attivata a fronte di finanziamenti erogati da Banche o altri intermediari finanziari e che non interviene direttamente nel rapporto tra Banca e Cliente, bensì sostituisce le onerose garanzie richieste per ottenere un finanziamento con la garanzia pubblica.
L’art. 13 del Decreto ‘Liquidità’, abrogando espressamente l’art. 49 del D.L. 17/2020, ne ha mantenuto l’impianto prevedendo quanto segue:
proroga dei termini di accesso alla misura sino al 31 dicembre 2020;
gratuità della concessione della garanzia;
incremento dei massimali di copertura sino all’importo di € 5 milioni per singola impresa;
estensione della platea dei soggetti beneficiari alle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 unità;
nonché, alla lett. m) del co. 1, una specifica misura di concessione di garanzia sui nuovi finanziamenti erogati dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore delle piccole e medie imprese come pure di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività è stata danneggiata dall’emergenza da COVID-19, come da autocertificazione.
Tale misura, cui si accede secondo un iter procedurale semplificato, consiste – previa autorizzazione della Commissione Europea ex art. 108 TFUE – in una garanzia pari al 100% dell’importo erogato, somma che non può superare il 25 % dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario e, in ogni caso, non può essere superiore a 25.000 euro. I ricavi sono quelli risultanti dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da “altra idonea documentazione”, anche mediante autocertificazione. Per gli esercenti arti e professioni, diversamente, il termine ‘ricavi’ dovrà essere considerato nell’accezione di ‘compensi’ riferiti all’anno d’imposta 2018.
Affinché operi la garanzia, per tali finanziamenti deve essere previsto il rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall’erogazione e gli stessi, in aggiunta, non devono avere una durata superiore ai 72 mesi.
È stata oggetto di conferma la previsione circa l’automaticità e gratuità dell’intervento, previa verifica del possesso dei requisiti richiesti, senza alcuna valutazione preventiva di merito del soggetto beneficiario.
In conclusione – sottolineando come il reale successo di tale misura sarà determinato dalla capacità dell’intero sistema creditizio di elaborare con celerità le numerosissime domande presentate e di fornire una rapida risposta alle imprese in difficoltà – si aggiunge che, all’art. 1 del Decreto ‘Liquidità’, è stata introdotta un’ulteriore misura di sostegno, avente carattere sussidiario, rappresentata dalla Garanzia SACE per le grandi imprese, le PMI e i professionisti che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia.
Moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
2020
La moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
Il Governo italiano, nel suo affannoso tentativo di arginare le drammatiche conseguenze che la diffusione pandemica del Coronavirus determinerà anche nel nostro Paese, ha dato vita ad una copiosa produzione normativa con la previsione – tra le altre misure – di varie forme di sostegno economico al sistema produttivo.
Da questo punto di vista, risulta imprescindibile tutelare le cd. ‘PMI’ (Piccole e medie imprese) che, considerata la loro rilevanza economica e capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, costituiscono la componente fondamentale del sistema economico italiano e la cui scomparsa determinerebbe incalcolabili danni e ricadute su tutti gli altri settori, cui sarebbe impossibile porre rimedio.
Per evitare un simile scenario, all’interno del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, il Governo all’art. 56 ha previsto una norma contenente “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”.
Viene così introdotta quella che può essere considerata una – seppur limitata – boccata d’ossigeno per le imprese di minor dimensione operanti in tutti i settori ed aventi sede in Italia.
Tale strumento rientra tra quegli interventi definibili come Aiuti di Stato consentiti dall’art. 107 TFUE, in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, in quanto diretto a porre rimedio ai danni causati da un simile evento eccezionale comportante un grave turbamento all’economia.
Si tratta, a ben vedere, di una moratoria sui prestiti concessi dalle Banche e dagli altri Intermediari Finanziari alle micro, piccole e medie imprese così come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE e cioè quelle con un numero di occupati inferiore alle 250 unità e con un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro, ovvero il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
Come precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’interno di questa previsione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi titolari di partita Iva.
Più nel dettaglio, la misura di sostegno finanziario contenuta nel co. 2, lett. c) dell’art. 56 consiste nella possibilità di ottenere, per mutui e altri finanziamenti a rimborso rateale, che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre del 2020 venga sospeso sino a tale data. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione verrà, pertanto, dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Presupposto necessario per poter beneficiare di tale previsione – oltre a quello relativo alla solvibilità dell’impresa, che non deve presentare esposizioni debitorie classificate come deteriorate – è quello della presentazione di una comunicazione contenente: l’indicazione del finanziamento per il quale è richiesta la moratoria, i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, la dichiarazione con la quale si autocertifica, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, con la consapevolezza delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci.
Tali comunicazioni, che possono essere presentate dalle imprese dal 17 marzo 2020, possono essere inviate anche tramite PEC o con altri sistemi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.
Lo strumento in esame, trattandosi di moratoria ad ampio spettro di applicazione e concepita in risposta al Covid-19, consente di evitare il processo che – viste le modifiche apportate al contratto originale della linea di credito – potrebbe condurre ad una classificazione a forbearance del finanziamento. Tale circostanza è stata confermata anche dall’EBA nelle sue linee guida del 2 aprile 2020, nelle quali si specifica che “l’applicazione della moratoria generale di pagamento di per sé non dovrebbe indurre a riclassificare un’esposizione come «forborne» (sia essa deteriorata o non deteriorata), a meno che non sia già stata classificata come «forborne» al momento dell’applicazione della moratoria”. Conseguenza è quella per cui potrà ricorrere a tale strumento anche l’impresa – in bonis – che abbia comunque ottenuto misure di sospensione o ristrutturazione dello stesso finanziamento nell’arco dei 24 mesi precedenti.
Nulla esclude, come per altro si sta già verificando, che i singoli istituti di credito possano, nel rispetto dei requisiti indicati dall’art. 56 del decreto, adottare previsioni maggiormente favorevoli per l’impresa, come potrebbe essere quella relativa al periodo di sospensione dei pagamenti, avendo riguardo al comportamento e alla situazione riguardante il debitore prima dell’esplosione della pandemia.
In attesa della conversione del decreto che, ai sensi dell’art. 77 Cost., deve avvenire entro 60 giorni dalla sua pubblicazione - oltre a porre particolare attenzione agli emendamenti che verranno presentati in tale occasione e che potrebbero condurre all’eliminazione dei requisiti dimensionali e di fatturato delle imprese per beneficiare della moratoria - è consigliabile per quelle attualmente escluse dalla norma – e cioè quelle in bonis di grandi dimensioni nonché quelle classificate come deteriorate – prendere contatti con i singoli istituti di credito per valutare l’adozione di misure analoghe.
Il diritto di famiglia al tempo del coronavirus
2020
L'Avvocato Stella intervistata da Il Dubbio
2020
presso Udine
Intervista all'Avvocato Alessandra Stella su Il Dubbio.
Intelligenza artificiale e giustizia, ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
2020
presso Udine
Assemblea dei legali del triveneto domani a Padova. Tra gli argomenti toccati ci saranno anche le implicazioni legate all’utilizzo degli algoritmi nella amministrazione della giustizia
AVVOCATI: Intelligenza artificiale e giustizia,
ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
Stella: “La giustizia predittiva è dietro l’angolo. Occorre essere pronti: in America si utilizza nel penale; in Estonia nelle cause risarcitorie. In Italia è già realtà in alcuni studi di Roma e Milano”
Padova 21 febbraio 2020 – 13 luglio 2016, Wisconsin (USA): la Suprema Corte conferma la sentenza pronunciata dal Tribunale circondariale di La Crosse, il quale aveva condannato Eric L. Loomis per ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Un caso che non presentava nulla di particolarmente rilevante, senonché il giudice di primo grado si era avvalso del programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), i cui algoritmi avevano calcolato come Loomis avesse un'elevata probabilità di recidiva.
L’Intelligenza Artificiale (in breve AI) consiste, in estrema sintesi, nel far riprodurre a strumenti robotici, attraverso calcoli e algoritmi, capacità e attività cognitive proprie dell’essere umano. La vita di ogni giorno ci offre esempi molto semplici: i traduttori automatici, i sistemi di riconoscimento facciale, i veicoli a guida autonoma. L’Intelligenza Artificiale è una realtà attuale, non più appartenente ad un futuro distopico, ed è oramai prossima ad abbracciare ogni ambito della società, tra cui – come dimostra il caso Looming – anche quello della giustizia. Altro esempio emblematico è quello dell’Estonia, dove si utilizza, in via sperimentale, un algoritmo per risolvere controversie con valore inferiore ai 7mila euro.
“Questa vicenda processuale – spiega la Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati Alessandra Stella, parlando del caso Looming – rappresenta il punto centrale della cosiddetta giustizia predittiva, che consiste nella possibilità di anticipare, tramite algoritmi commerciali, il probabile ragionamento del giudice e quindi la possibile sentenza. In pratica si predice la soluzione perché già a monte si sa che il giudice, quando andrà a decidere la questione, lo farà in un determinato modo. Non si tratta di un futuro lontano, ma di una realtà attuale anche in Italia. A Milano gli algoritmi sono già realtà in alcuni studi legali che li utilizzano per redigere, ad esempio, decreti ingiuntivi che vengono elaborati in pochi minuti senza richiedere tutta quella attività, molto più impegnativa, che viene affidata tradizionalmente al collaboratore di studio”.
I vantaggi e le semplificazioni che ne deriverebbero si possono facilmente immaginare; si pensi alle cosiddette “due diligence”, cioè l'attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all'oggetto di una trattativa finalizzata a valutare la convenienza di un affare. “Addirittura – spiega l’avv. Stella – se queste attività sono poste in essere dall'uomo hanno un margine di errore superiore rispetto al software il cui tasso di fallibilità è dello 0,2%. Praticamente perfetto. Ora, il sistema americano pare orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale. In Italia dobbiamo invece capire per tempo quali prospettive si aprano nell’organizzazione del lavoro dello studio o nella ordinaria attività degli uffici giudiziari. Da noi, del resto, le sentenze non hanno lo stesso valore che hanno nel sistema anglosassone dove costituiscono un precedente vincolante”.
Se non mancano i potenziali aspetti positivi della giustizia predittiva, lo stesso deve dirsi per dubbi e interrogativi: tra tutti, la garanzia della trasparenza del processo logico-decisionale applicato dal programma. Se è necessario poter leggere la motivazione di una sentenza pronunciata da un giudice “umano”, tale necessità si sentirà maggiormente per il caso in cui ad emettere la sentenza sia un giudice “robotico”. Per quanto il software potrà essere scritto seguendo criteri di traslazione in linguaggio matematico dei principi giuridici, trasformati in formule o algoritmi, sarà imprescindibile garantire la verifica dei passaggi tecnici: oltre, quindi, alla motivazione in sé, dovrà essere oggetto di verifica anche il procedimento informatico che ha portato alla motivazione stessa.
All’avvocato Stella fa eco il Presidente degli avvocati di Padova Leonardo Arnau: “Come funziona la giustizia predittiva? Prendiamo ad esempio una separazione tra coniugi: inseriamo nel programma i dati dei clienti, la consistenza del patrimonio, i dati sulla composizione del nucleo familiare, il tenore di vita, le abitudini di vita e l'algoritmo determina se sia dovuto e a quanto ammonti l'assegno di mantenimento, e come va diviso il patrimonio. Lo stesso per il penale: si inseriscono i precedenti, il tipo di personalità, e in ragione della giurisprudenza pregressa l'algoritmo determina la decisione”.
Ed ancora l’Avv. Stella: “Come avvocati non posso nascondere che c’è preoccupazione perché c'è un modo evidentemente differente di svolgere la professione e se queste nuove prospettive non vengono guidate correttamente, potrebbero incidere significativamente”.
Un punto di partenza potrebbe essere la Carta etica europea sull’uso dell’IA nei sistemi giudiziari e il loro ambiente, pubblicata dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa. La Carta etica europea, oltre ad incoraggiare l’uso di strumenti e servizi di IA per migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia, enuncia cinque principi ai quali ci si dovrà attenere: 1) principio di rispetto dei diritti fondamentali, 2) principio di non discriminazione, 3) principio di qualità e sicurezza, 4) principio di trasparenza, imparzialità ed equità e 5) principio “sotto il controllo dell’utente”.
Anche di questo si parlerà domani a Padova in occasione dell’Assemblea degli Avvocati del Triveneto. L’appuntamento è fissato per
Sabato 22 febbraio 2020 alle ore
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Interverranno tra gli altri:
Alessandra Stella - Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati
Leonardo Arnau – Presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova
La presenza di un giornalista della vostra testata sarà particolarmente gradita
Ufficio Stampa assemblea: Carlo Saccon Tel 3282170266
Cormons, assemblea dell'unione Triveneta dei consigli dell'ordine degli avvocati
2019
Link al video del TGR FVG, edizione delle 19:30 del 16 Settembre 2019. L'intervento parte dal minuto 15:20.
“Giustizia e diritti, programmi per l’Europa a confronto”
2019
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Di riforma in riforma”
2019
presso Padova
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Società tra avvocati, una vantaggiosa alternativa allo studio legale associato? Aspetti giuridici, fiscali, previdenziali e deontologici”
2019
presso Pordenone
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Quando i robot apriranno lo studio, Robot e Intelligenza artificiale al servizio del libero professionista”
2019
presso Vicenza
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“I profili personali e patrimoniali nella crisi di famiglia. Evoluzione giurisprudenziale”
2018
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
Le locazioni commerciali al tempo del Coronavirus
2020
Le locazioni commerciali ai tempi del coronavirus
L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus sta generando una grave crisi economica in quasi tutti i settori produttivi del Paese. I provvedimenti fortemente restrittivi hanno interessato la maggioranza delle attività commerciali le quali, impossibilitate a conseguire proventi, stanno affrontando il problema del pagamento dei canoni di locazione. Proprio in questo ambito, gli istituti tradizionali del nostro ordinamento giuridico stanno dimostrando la loro inadeguatezza nel fornire risposte utili ad affrontare la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Il Governo italiano, a far data dai primi provvedimenti adottati per fronteggiare il diffondersi del virus, ha suddiviso le attività produttive e gli esercizi commerciali in due categorie, a seconda della loro ‘essenzialità’ o meno.
Nel contesto emergenziale, tuttavia, sia i gestori delle attività consentite, così come di quelle sospese, stanno fronteggiando il problema relativo al pagamento dei canoni di locazione, principale obbligazione del conduttore.
Da questo punto di vista, le previsioni contenute nella normativa adottata in questi difficili giorni sono pressoché inesistenti ove si consideri che l’unica norma espressamente prevista è quella contenuta nell’art. 65 del D.L. 18/2020, riguardante esclusivamente le attività sospese con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020.
Tale norma prevede un bonus di carattere fiscale consistente in un credito di imposta a favore dei conduttori titolari di attività economiche che siano state sospese in quanto non essenziali. Più nel dettaglio, la misura – un credito di imposta pari al 60 % dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 – potrà essere utilizzata in compensazione con le imposte dovute, esclusivamente dagli intestatari di contratti di locazione di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
La misura di cui si discute, evidentemente, opera solamente a favore delle imprese che, nonostante le difficoltà, siano state in grado di pagare il canone di locazione. Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in assenza di pagamento non è possibile utilizzare il bonus.
L’introduzione del credito di imposta, seppur utile, non risolve tuttavia il problema della carenza di liquidità che le imprese stanno affrontando in quanto, se da un lato non potrà essere utilizzato in compensazione dalle attività non soggette agli obblighi di chiusura – le quali, comunque, potrebbero subire una riduzione del fatturato – dall’altro si rivela utile solo allorquando il conduttore sia stato effettivamente in grado di pagare il canone.
A ben vedere, il problema si pone a monte, e cioè nel momento in cui per il conduttore risulti impossibile adempiere – totalmente o parzialmente – alla propria obbligazione.
Il tema, pertanto, è quello di analizzare eventuali rimedi previsti in via generale dall’ordinamento giuridico, posto che, sicuramente, nei contratti di locazione stipulati ante coronavirus le parti non hanno previsto specifiche clausole contemplanti i comportamenti da tenere in fase di emergenza epidemiologica.
In termini generali, il contratto di locazione è l’accordo in virtù del quale il locatore si impegna a concedere al conduttore il godimento di una cosa, mobile o immobile, per un periodo di tempo determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, detto canone. L’obbligazione principale del conduttore è quella di pagare il canone nei termini convenuti, quella del locatore consiste nel mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto.
A ben vedere, i provvedimenti adottati a seguito della diffusione del coronavirus hanno avuto conseguenze riguardo alle obbligazioni di entrambe le parti del contratto.
Da un lato, infatti, la sospensione di moltissime attività ha avuto riflessi sulla capacità dei conduttori di far fronte alla propria obbligazione, consistente nel pagamento del canone.
Evidentemente, se una attività è stata sospesa, soprattutto quando di piccole dimensioni, il gestore/locatario potrebbe non disporre della liquidità necessaria.
Da questo punto di vista, sono almeno due gli istituti cui fare riferimento; vediamoli nel dettaglio.
Innanzitutto, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 1256 c.c. sostenendo l’impossibilità della sua prestazione, per causa ad esso non imputabile. Tuttavia, mentre può ritenersi corretto interpretare i provvedimenti dell’autorità amministrativa quali cause di impossibilità oggettiva, risulta più arduo configurare l’obbligazione del conduttore come impossibile materialmente. Il pagamento del canone, infatti, diversamente dalle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di genere limitato, non può dirsi mai oggettivamente impossibile.
L’altro istituto cui rivolgere l’attenzione è quello della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, previsto ex art. 1467 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Effettivamente, a causa della chiusura dei locali, il pagamento del corrispettivo potrebbe diventare eccessivamente oneroso. In tal caso, la norma riconosce al locatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto. Il terzo comma dell’art. 1467 c.c., tuttavia, in un’ottica manutentiva, consente al locatore di bilanciare nuovamente il sinallagma contrattuale proponendo una modifica equitativa del contratto, riducendo l’ammontare del canone. Si badi che, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa non ha diritto di sospendere unilateralmente il pagamento, dovendo invece agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
In aggiunta, a tutela del conduttore inadempiente è stata prevista una specifica norma ad opera della decretazione d’urgenza. Il riferimento è al comma 6 bis aggiunto all’art. 3 del D.L. 6/2020 con il D.L. ‘Cura Italia’. Tale previsione, considerando le inevitabili difficoltà che la diffusione del virus e i provvedimenti ad esso collegati avrebbe determinato nella regolare esecuzione dei contratti, sancisce – in maniera probabilmente ridondante – che ‘il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti’. In tal modo, il locatore potrebbe vedersi paralizzare la richiesta di risarcimento del danno arrecato dal conduttore a causa dell’inadempimento della sua obbligazione. La norma non contiene una presunzione per cui il rispetto delle misure previste dal Governo possa mandare esente il conduttore da responsabilità, bensì prescrive che il Giudice debba valutare l’esclusione della responsabilità del debitore, valutando di volta in volta le situazioni e comparando i diversi interessi in gioco.
Se si rivolge, invece, l’attenzione al locatore ed alla sua obbligazione, ecco che torna ad assumere rilevanza il tema della impossibilità della prestazione. Egli, infatti, si obbliga a mettere a disposizione del conduttore l’immobile non per un generico godimento, bensì per un utilizzo specifico consistente nello svolgimento di una determinata attività. Attività che, a causa dei provvedimenti adottati per favorire la regressione del virus, non può svolgersi. Sarebbe il locatore, pertanto, a non essere in grado di adempiere alla propria obbligazione. Il conduttore, infatti, pur avendo la materiale disponibilità della cosa, non può goderne - per tutto il periodo di vigenza del divieto - per lo svolgimento della specifica attività per cui aveva scelto di stipulare il contratto. Si determinerebbe, quindi, una impossibilità parziale della prestazione del locatore che legittimerebbe, conseguentemente, il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 c.c., a domandare una riduzione della prestazione da esso dovuta, ove non sia intenzionato a recedere dal contratto.
Gli istituti generali sin qui presi in considerazione hanno tutti la comune caratteristica di essere diretti alla risoluzione del contratto, fatta eccezione per la facoltà prevista in capo al creditore, nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, di evitare la caducazione del contratto proponendo una sua modifica.
Si deve però considerare che, nella situazione economica che stiamo attraversando, difficilmente le parti del contratto, non appena una della due risulti inadempiente, vorranno sciogliere il contratto, opzione che, invece, dovrebbe essere considerata quale extrema ratio.
Per entrambe le parti è più vantaggioso mantenere in vita il contratto. Se, infatti, per il locatore è innegabile che, ottenuto lo scioglimento del contratto, in questo momento difficilmente sarebbe in grado di individuare un nuovo conduttore, è altrettanto vero che anche il conduttore sarà interessato a far sopravvivere il contratto, nella speranza che – terminata la situazione di emergenza – sarà possibile riprendere nuovamente la propria attività.
Ecco quindi che, per soddisfare al meglio gli interessi delle parti ed evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale, il rimedio più adatto è rappresentato dal ricorso ai principi generali della correttezza e della buona fede. La parte colpita dagli effetti pregiudizievoli dell’emergenza sanitaria potrà chiedere alla propria controparte di rinegoziare i termini del contratto, prevedendo la sospensione del pagamento del canone oppure una sua riduzione, facendo appello ai summenzionati principi che trovano necessariamente applicazione in tutte le fasi della vicenda contrattuale. Corrispondentemente, in capo all’altra parte sussisterebbe un obbligo – fondato sui medesimi doveri, oltre che sul generale principio di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost. – di acconsentire alla rinegoziazione, accettando le modifiche proposte o proponendo delle nuove soluzioni che consentano di ristabilire l’equilibrio del rapporto contrattuale.
In conclusione, non si può non sottolineare come la situazione sia caratterizzata da assoluta ed inedita eccezionalità per fronteggiare la quale si reputa opportuno l’intervento del legislatore volto a disciplinare in modo specifico le fattispecie che si stanno venendo a creare e che, inevitabilmente, si creeranno.
In un’ottica disincentivante del ricorso all’Autorità giudiziaria, a mero titolo esemplificativo, potrebbe essere predeterminata una ripartizione tra il locatore e il conduttore dei costi causati dalla sospensione delle attività commerciali, nonché la previsione dell’incentivazione a raggiungere un accordo bonario tra le medesime parti, prevedendo degli sgravi fiscali.
PMI: prestiti fino a € 25.000,00 garantiti dallo stato
2020
PMI: prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato
Per assicurare la continuità dell’attività delle imprese, degli artigiani, dei lavoratori autonomi e dei professionisti in questa fase di emergenza sanitaria, il Consiglio dei Ministri ha individuato due forme di intervento complementari.
Si tratta della moratoria sui prestiti e dell’intervento del Fondo di garanzia per le PMI, entrambi previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” n. 17/2020.
Mentre la prima misura non è stata interessata dalle norme contenute nel D.L. 23/2020, le declinazioni dell’attività del Fondo Centrale di Garanzia hanno subito rilevanti modifiche ad opera Decreto ‘Liquidità’ riguardanti i massimali previsti, le percentuali di copertura, i requisiti soggettivi e i termini di accesso alla misura.
In generale, l’attività del Fondo di Garanzia consiste in un’agevolazione prevista dal Ministero dello Sviluppo economico che può essere attivata a fronte di finanziamenti erogati da Banche o altri intermediari finanziari e che non interviene direttamente nel rapporto tra Banca e Cliente, bensì sostituisce le onerose garanzie richieste per ottenere un finanziamento con la garanzia pubblica.
L’art. 13 del Decreto ‘Liquidità’, abrogando espressamente l’art. 49 del D.L. 17/2020, ne ha mantenuto l’impianto prevedendo quanto segue:
proroga dei termini di accesso alla misura sino al 31 dicembre 2020;
gratuità della concessione della garanzia;
incremento dei massimali di copertura sino all’importo di € 5 milioni per singola impresa;
estensione della platea dei soggetti beneficiari alle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 unità;
nonché, alla lett. m) del co. 1, una specifica misura di concessione di garanzia sui nuovi finanziamenti erogati dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore delle piccole e medie imprese come pure di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività è stata danneggiata dall’emergenza da COVID-19, come da autocertificazione.
Tale misura, cui si accede secondo un iter procedurale semplificato, consiste – previa autorizzazione della Commissione Europea ex art. 108 TFUE – in una garanzia pari al 100% dell’importo erogato, somma che non può superare il 25 % dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario e, in ogni caso, non può essere superiore a 25.000 euro. I ricavi sono quelli risultanti dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da “altra idonea documentazione”, anche mediante autocertificazione. Per gli esercenti arti e professioni, diversamente, il termine ‘ricavi’ dovrà essere considerato nell’accezione di ‘compensi’ riferiti all’anno d’imposta 2018.
Affinché operi la garanzia, per tali finanziamenti deve essere previsto il rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall’erogazione e gli stessi, in aggiunta, non devono avere una durata superiore ai 72 mesi.
È stata oggetto di conferma la previsione circa l’automaticità e gratuità dell’intervento, previa verifica del possesso dei requisiti richiesti, senza alcuna valutazione preventiva di merito del soggetto beneficiario.
In conclusione – sottolineando come il reale successo di tale misura sarà determinato dalla capacità dell’intero sistema creditizio di elaborare con celerità le numerosissime domande presentate e di fornire una rapida risposta alle imprese in difficoltà – si aggiunge che, all’art. 1 del Decreto ‘Liquidità’, è stata introdotta un’ulteriore misura di sostegno, avente carattere sussidiario, rappresentata dalla Garanzia SACE per le grandi imprese, le PMI e i professionisti che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia.
Moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
2020
La moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
Il Governo italiano, nel suo affannoso tentativo di arginare le drammatiche conseguenze che la diffusione pandemica del Coronavirus determinerà anche nel nostro Paese, ha dato vita ad una copiosa produzione normativa con la previsione – tra le altre misure – di varie forme di sostegno economico al sistema produttivo.
Da questo punto di vista, risulta imprescindibile tutelare le cd. ‘PMI’ (Piccole e medie imprese) che, considerata la loro rilevanza economica e capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, costituiscono la componente fondamentale del sistema economico italiano e la cui scomparsa determinerebbe incalcolabili danni e ricadute su tutti gli altri settori, cui sarebbe impossibile porre rimedio.
Per evitare un simile scenario, all’interno del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, il Governo all’art. 56 ha previsto una norma contenente “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”.
Viene così introdotta quella che può essere considerata una – seppur limitata – boccata d’ossigeno per le imprese di minor dimensione operanti in tutti i settori ed aventi sede in Italia.
Tale strumento rientra tra quegli interventi definibili come Aiuti di Stato consentiti dall’art. 107 TFUE, in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, in quanto diretto a porre rimedio ai danni causati da un simile evento eccezionale comportante un grave turbamento all’economia.
Si tratta, a ben vedere, di una moratoria sui prestiti concessi dalle Banche e dagli altri Intermediari Finanziari alle micro, piccole e medie imprese così come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE e cioè quelle con un numero di occupati inferiore alle 250 unità e con un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro, ovvero il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
Come precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’interno di questa previsione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi titolari di partita Iva.
Più nel dettaglio, la misura di sostegno finanziario contenuta nel co. 2, lett. c) dell’art. 56 consiste nella possibilità di ottenere, per mutui e altri finanziamenti a rimborso rateale, che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre del 2020 venga sospeso sino a tale data. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione verrà, pertanto, dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Presupposto necessario per poter beneficiare di tale previsione – oltre a quello relativo alla solvibilità dell’impresa, che non deve presentare esposizioni debitorie classificate come deteriorate – è quello della presentazione di una comunicazione contenente: l’indicazione del finanziamento per il quale è richiesta la moratoria, i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, la dichiarazione con la quale si autocertifica, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, con la consapevolezza delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci.
Tali comunicazioni, che possono essere presentate dalle imprese dal 17 marzo 2020, possono essere inviate anche tramite PEC o con altri sistemi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.
Lo strumento in esame, trattandosi di moratoria ad ampio spettro di applicazione e concepita in risposta al Covid-19, consente di evitare il processo che – viste le modifiche apportate al contratto originale della linea di credito – potrebbe condurre ad una classificazione a forbearance del finanziamento. Tale circostanza è stata confermata anche dall’EBA nelle sue linee guida del 2 aprile 2020, nelle quali si specifica che “l’applicazione della moratoria generale di pagamento di per sé non dovrebbe indurre a riclassificare un’esposizione come «forborne» (sia essa deteriorata o non deteriorata), a meno che non sia già stata classificata come «forborne» al momento dell’applicazione della moratoria”. Conseguenza è quella per cui potrà ricorrere a tale strumento anche l’impresa – in bonis – che abbia comunque ottenuto misure di sospensione o ristrutturazione dello stesso finanziamento nell’arco dei 24 mesi precedenti.
Nulla esclude, come per altro si sta già verificando, che i singoli istituti di credito possano, nel rispetto dei requisiti indicati dall’art. 56 del decreto, adottare previsioni maggiormente favorevoli per l’impresa, come potrebbe essere quella relativa al periodo di sospensione dei pagamenti, avendo riguardo al comportamento e alla situazione riguardante il debitore prima dell’esplosione della pandemia.
In attesa della conversione del decreto che, ai sensi dell’art. 77 Cost., deve avvenire entro 60 giorni dalla sua pubblicazione - oltre a porre particolare attenzione agli emendamenti che verranno presentati in tale occasione e che potrebbero condurre all’eliminazione dei requisiti dimensionali e di fatturato delle imprese per beneficiare della moratoria - è consigliabile per quelle attualmente escluse dalla norma – e cioè quelle in bonis di grandi dimensioni nonché quelle classificate come deteriorate – prendere contatti con i singoli istituti di credito per valutare l’adozione di misure analoghe.
Il diritto di famiglia al tempo del coronavirus
2020
L'Avvocato Stella intervistata da Il Dubbio
2020
presso Udine
Intervista all'Avvocato Alessandra Stella su Il Dubbio.
Intelligenza artificiale e giustizia, ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
2020
presso Udine
Assemblea dei legali del triveneto domani a Padova. Tra gli argomenti toccati ci saranno anche le implicazioni legate all’utilizzo degli algoritmi nella amministrazione della giustizia
AVVOCATI: Intelligenza artificiale e giustizia,
ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
Stella: “La giustizia predittiva è dietro l’angolo. Occorre essere pronti: in America si utilizza nel penale; in Estonia nelle cause risarcitorie. In Italia è già realtà in alcuni studi di Roma e Milano”
Padova 21 febbraio 2020 – 13 luglio 2016, Wisconsin (USA): la Suprema Corte conferma la sentenza pronunciata dal Tribunale circondariale di La Crosse, il quale aveva condannato Eric L. Loomis per ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Un caso che non presentava nulla di particolarmente rilevante, senonché il giudice di primo grado si era avvalso del programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), i cui algoritmi avevano calcolato come Loomis avesse un'elevata probabilità di recidiva.
L’Intelligenza Artificiale (in breve AI) consiste, in estrema sintesi, nel far riprodurre a strumenti robotici, attraverso calcoli e algoritmi, capacità e attività cognitive proprie dell’essere umano. La vita di ogni giorno ci offre esempi molto semplici: i traduttori automatici, i sistemi di riconoscimento facciale, i veicoli a guida autonoma. L’Intelligenza Artificiale è una realtà attuale, non più appartenente ad un futuro distopico, ed è oramai prossima ad abbracciare ogni ambito della società, tra cui – come dimostra il caso Looming – anche quello della giustizia. Altro esempio emblematico è quello dell’Estonia, dove si utilizza, in via sperimentale, un algoritmo per risolvere controversie con valore inferiore ai 7mila euro.
“Questa vicenda processuale – spiega la Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati Alessandra Stella, parlando del caso Looming – rappresenta il punto centrale della cosiddetta giustizia predittiva, che consiste nella possibilità di anticipare, tramite algoritmi commerciali, il probabile ragionamento del giudice e quindi la possibile sentenza. In pratica si predice la soluzione perché già a monte si sa che il giudice, quando andrà a decidere la questione, lo farà in un determinato modo. Non si tratta di un futuro lontano, ma di una realtà attuale anche in Italia. A Milano gli algoritmi sono già realtà in alcuni studi legali che li utilizzano per redigere, ad esempio, decreti ingiuntivi che vengono elaborati in pochi minuti senza richiedere tutta quella attività, molto più impegnativa, che viene affidata tradizionalmente al collaboratore di studio”.
I vantaggi e le semplificazioni che ne deriverebbero si possono facilmente immaginare; si pensi alle cosiddette “due diligence”, cioè l'attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all'oggetto di una trattativa finalizzata a valutare la convenienza di un affare. “Addirittura – spiega l’avv. Stella – se queste attività sono poste in essere dall'uomo hanno un margine di errore superiore rispetto al software il cui tasso di fallibilità è dello 0,2%. Praticamente perfetto. Ora, il sistema americano pare orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale. In Italia dobbiamo invece capire per tempo quali prospettive si aprano nell’organizzazione del lavoro dello studio o nella ordinaria attività degli uffici giudiziari. Da noi, del resto, le sentenze non hanno lo stesso valore che hanno nel sistema anglosassone dove costituiscono un precedente vincolante”.
Se non mancano i potenziali aspetti positivi della giustizia predittiva, lo stesso deve dirsi per dubbi e interrogativi: tra tutti, la garanzia della trasparenza del processo logico-decisionale applicato dal programma. Se è necessario poter leggere la motivazione di una sentenza pronunciata da un giudice “umano”, tale necessità si sentirà maggiormente per il caso in cui ad emettere la sentenza sia un giudice “robotico”. Per quanto il software potrà essere scritto seguendo criteri di traslazione in linguaggio matematico dei principi giuridici, trasformati in formule o algoritmi, sarà imprescindibile garantire la verifica dei passaggi tecnici: oltre, quindi, alla motivazione in sé, dovrà essere oggetto di verifica anche il procedimento informatico che ha portato alla motivazione stessa.
All’avvocato Stella fa eco il Presidente degli avvocati di Padova Leonardo Arnau: “Come funziona la giustizia predittiva? Prendiamo ad esempio una separazione tra coniugi: inseriamo nel programma i dati dei clienti, la consistenza del patrimonio, i dati sulla composizione del nucleo familiare, il tenore di vita, le abitudini di vita e l'algoritmo determina se sia dovuto e a quanto ammonti l'assegno di mantenimento, e come va diviso il patrimonio. Lo stesso per il penale: si inseriscono i precedenti, il tipo di personalità, e in ragione della giurisprudenza pregressa l'algoritmo determina la decisione”.
Ed ancora l’Avv. Stella: “Come avvocati non posso nascondere che c’è preoccupazione perché c'è un modo evidentemente differente di svolgere la professione e se queste nuove prospettive non vengono guidate correttamente, potrebbero incidere significativamente”.
Un punto di partenza potrebbe essere la Carta etica europea sull’uso dell’IA nei sistemi giudiziari e il loro ambiente, pubblicata dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa. La Carta etica europea, oltre ad incoraggiare l’uso di strumenti e servizi di IA per migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia, enuncia cinque principi ai quali ci si dovrà attenere: 1) principio di rispetto dei diritti fondamentali, 2) principio di non discriminazione, 3) principio di qualità e sicurezza, 4) principio di trasparenza, imparzialità ed equità e 5) principio “sotto il controllo dell’utente”.
Anche di questo si parlerà domani a Padova in occasione dell’Assemblea degli Avvocati del Triveneto. L’appuntamento è fissato per
Sabato 22 febbraio 2020 alle ore
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Interverranno tra gli altri:
Alessandra Stella - Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati
Leonardo Arnau – Presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova
La presenza di un giornalista della vostra testata sarà particolarmente gradita
Ufficio Stampa assemblea: Carlo Saccon Tel 3282170266
Cormons, assemblea dell'unione Triveneta dei consigli dell'ordine degli avvocati
2019
Link al video del TGR FVG, edizione delle 19:30 del 16 Settembre 2019. L'intervento parte dal minuto 15:20.
“Giustizia e diritti, programmi per l’Europa a confronto”
2019
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Di riforma in riforma”
2019
presso Padova
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Società tra avvocati, una vantaggiosa alternativa allo studio legale associato? Aspetti giuridici, fiscali, previdenziali e deontologici”
2019
presso Pordenone
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Quando i robot apriranno lo studio, Robot e Intelligenza artificiale al servizio del libero professionista”
2019
presso Vicenza
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“I profili personali e patrimoniali nella crisi di famiglia. Evoluzione giurisprudenziale”
2018
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
Le locazioni commerciali al tempo del Coronavirus
2020
Le locazioni commerciali ai tempi del coronavirus
L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus sta generando una grave crisi economica in quasi tutti i settori produttivi del Paese. I provvedimenti fortemente restrittivi hanno interessato la maggioranza delle attività commerciali le quali, impossibilitate a conseguire proventi, stanno affrontando il problema del pagamento dei canoni di locazione. Proprio in questo ambito, gli istituti tradizionali del nostro ordinamento giuridico stanno dimostrando la loro inadeguatezza nel fornire risposte utili ad affrontare la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Il Governo italiano, a far data dai primi provvedimenti adottati per fronteggiare il diffondersi del virus, ha suddiviso le attività produttive e gli esercizi commerciali in due categorie, a seconda della loro ‘essenzialità’ o meno.
Nel contesto emergenziale, tuttavia, sia i gestori delle attività consentite, così come di quelle sospese, stanno fronteggiando il problema relativo al pagamento dei canoni di locazione, principale obbligazione del conduttore.
Da questo punto di vista, le previsioni contenute nella normativa adottata in questi difficili giorni sono pressoché inesistenti ove si consideri che l’unica norma espressamente prevista è quella contenuta nell’art. 65 del D.L. 18/2020, riguardante esclusivamente le attività sospese con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020.
Tale norma prevede un bonus di carattere fiscale consistente in un credito di imposta a favore dei conduttori titolari di attività economiche che siano state sospese in quanto non essenziali. Più nel dettaglio, la misura – un credito di imposta pari al 60 % dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 – potrà essere utilizzata in compensazione con le imposte dovute, esclusivamente dagli intestatari di contratti di locazione di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
La misura di cui si discute, evidentemente, opera solamente a favore delle imprese che, nonostante le difficoltà, siano state in grado di pagare il canone di locazione. Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in assenza di pagamento non è possibile utilizzare il bonus.
L’introduzione del credito di imposta, seppur utile, non risolve tuttavia il problema della carenza di liquidità che le imprese stanno affrontando in quanto, se da un lato non potrà essere utilizzato in compensazione dalle attività non soggette agli obblighi di chiusura – le quali, comunque, potrebbero subire una riduzione del fatturato – dall’altro si rivela utile solo allorquando il conduttore sia stato effettivamente in grado di pagare il canone.
A ben vedere, il problema si pone a monte, e cioè nel momento in cui per il conduttore risulti impossibile adempiere – totalmente o parzialmente – alla propria obbligazione.
Il tema, pertanto, è quello di analizzare eventuali rimedi previsti in via generale dall’ordinamento giuridico, posto che, sicuramente, nei contratti di locazione stipulati ante coronavirus le parti non hanno previsto specifiche clausole contemplanti i comportamenti da tenere in fase di emergenza epidemiologica.
In termini generali, il contratto di locazione è l’accordo in virtù del quale il locatore si impegna a concedere al conduttore il godimento di una cosa, mobile o immobile, per un periodo di tempo determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, detto canone. L’obbligazione principale del conduttore è quella di pagare il canone nei termini convenuti, quella del locatore consiste nel mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto.
A ben vedere, i provvedimenti adottati a seguito della diffusione del coronavirus hanno avuto conseguenze riguardo alle obbligazioni di entrambe le parti del contratto.
Da un lato, infatti, la sospensione di moltissime attività ha avuto riflessi sulla capacità dei conduttori di far fronte alla propria obbligazione, consistente nel pagamento del canone.
Evidentemente, se una attività è stata sospesa, soprattutto quando di piccole dimensioni, il gestore/locatario potrebbe non disporre della liquidità necessaria.
Da questo punto di vista, sono almeno due gli istituti cui fare riferimento; vediamoli nel dettaglio.
Innanzitutto, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 1256 c.c. sostenendo l’impossibilità della sua prestazione, per causa ad esso non imputabile. Tuttavia, mentre può ritenersi corretto interpretare i provvedimenti dell’autorità amministrativa quali cause di impossibilità oggettiva, risulta più arduo configurare l’obbligazione del conduttore come impossibile materialmente. Il pagamento del canone, infatti, diversamente dalle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di genere limitato, non può dirsi mai oggettivamente impossibile.
L’altro istituto cui rivolgere l’attenzione è quello della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, previsto ex art. 1467 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Effettivamente, a causa della chiusura dei locali, il pagamento del corrispettivo potrebbe diventare eccessivamente oneroso. In tal caso, la norma riconosce al locatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto. Il terzo comma dell’art. 1467 c.c., tuttavia, in un’ottica manutentiva, consente al locatore di bilanciare nuovamente il sinallagma contrattuale proponendo una modifica equitativa del contratto, riducendo l’ammontare del canone. Si badi che, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa non ha diritto di sospendere unilateralmente il pagamento, dovendo invece agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
In aggiunta, a tutela del conduttore inadempiente è stata prevista una specifica norma ad opera della decretazione d’urgenza. Il riferimento è al comma 6 bis aggiunto all’art. 3 del D.L. 6/2020 con il D.L. ‘Cura Italia’. Tale previsione, considerando le inevitabili difficoltà che la diffusione del virus e i provvedimenti ad esso collegati avrebbe determinato nella regolare esecuzione dei contratti, sancisce – in maniera probabilmente ridondante – che ‘il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti’. In tal modo, il locatore potrebbe vedersi paralizzare la richiesta di risarcimento del danno arrecato dal conduttore a causa dell’inadempimento della sua obbligazione. La norma non contiene una presunzione per cui il rispetto delle misure previste dal Governo possa mandare esente il conduttore da responsabilità, bensì prescrive che il Giudice debba valutare l’esclusione della responsabilità del debitore, valutando di volta in volta le situazioni e comparando i diversi interessi in gioco.
Se si rivolge, invece, l’attenzione al locatore ed alla sua obbligazione, ecco che torna ad assumere rilevanza il tema della impossibilità della prestazione. Egli, infatti, si obbliga a mettere a disposizione del conduttore l’immobile non per un generico godimento, bensì per un utilizzo specifico consistente nello svolgimento di una determinata attività. Attività che, a causa dei provvedimenti adottati per favorire la regressione del virus, non può svolgersi. Sarebbe il locatore, pertanto, a non essere in grado di adempiere alla propria obbligazione. Il conduttore, infatti, pur avendo la materiale disponibilità della cosa, non può goderne - per tutto il periodo di vigenza del divieto - per lo svolgimento della specifica attività per cui aveva scelto di stipulare il contratto. Si determinerebbe, quindi, una impossibilità parziale della prestazione del locatore che legittimerebbe, conseguentemente, il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 c.c., a domandare una riduzione della prestazione da esso dovuta, ove non sia intenzionato a recedere dal contratto.
Gli istituti generali sin qui presi in considerazione hanno tutti la comune caratteristica di essere diretti alla risoluzione del contratto, fatta eccezione per la facoltà prevista in capo al creditore, nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, di evitare la caducazione del contratto proponendo una sua modifica.
Si deve però considerare che, nella situazione economica che stiamo attraversando, difficilmente le parti del contratto, non appena una della due risulti inadempiente, vorranno sciogliere il contratto, opzione che, invece, dovrebbe essere considerata quale extrema ratio.
Per entrambe le parti è più vantaggioso mantenere in vita il contratto. Se, infatti, per il locatore è innegabile che, ottenuto lo scioglimento del contratto, in questo momento difficilmente sarebbe in grado di individuare un nuovo conduttore, è altrettanto vero che anche il conduttore sarà interessato a far sopravvivere il contratto, nella speranza che – terminata la situazione di emergenza – sarà possibile riprendere nuovamente la propria attività.
Ecco quindi che, per soddisfare al meglio gli interessi delle parti ed evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale, il rimedio più adatto è rappresentato dal ricorso ai principi generali della correttezza e della buona fede. La parte colpita dagli effetti pregiudizievoli dell’emergenza sanitaria potrà chiedere alla propria controparte di rinegoziare i termini del contratto, prevedendo la sospensione del pagamento del canone oppure una sua riduzione, facendo appello ai summenzionati principi che trovano necessariamente applicazione in tutte le fasi della vicenda contrattuale. Corrispondentemente, in capo all’altra parte sussisterebbe un obbligo – fondato sui medesimi doveri, oltre che sul generale principio di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost. – di acconsentire alla rinegoziazione, accettando le modifiche proposte o proponendo delle nuove soluzioni che consentano di ristabilire l’equilibrio del rapporto contrattuale.
In conclusione, non si può non sottolineare come la situazione sia caratterizzata da assoluta ed inedita eccezionalità per fronteggiare la quale si reputa opportuno l’intervento del legislatore volto a disciplinare in modo specifico le fattispecie che si stanno venendo a creare e che, inevitabilmente, si creeranno.
In un’ottica disincentivante del ricorso all’Autorità giudiziaria, a mero titolo esemplificativo, potrebbe essere predeterminata una ripartizione tra il locatore e il conduttore dei costi causati dalla sospensione delle attività commerciali, nonché la previsione dell’incentivazione a raggiungere un accordo bonario tra le medesime parti, prevedendo degli sgravi fiscali.
PMI: prestiti fino a € 25.000,00 garantiti dallo stato
2020
PMI: prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato
Per assicurare la continuità dell’attività delle imprese, degli artigiani, dei lavoratori autonomi e dei professionisti in questa fase di emergenza sanitaria, il Consiglio dei Ministri ha individuato due forme di intervento complementari.
Si tratta della moratoria sui prestiti e dell’intervento del Fondo di garanzia per le PMI, entrambi previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” n. 17/2020.
Mentre la prima misura non è stata interessata dalle norme contenute nel D.L. 23/2020, le declinazioni dell’attività del Fondo Centrale di Garanzia hanno subito rilevanti modifiche ad opera Decreto ‘Liquidità’ riguardanti i massimali previsti, le percentuali di copertura, i requisiti soggettivi e i termini di accesso alla misura.
In generale, l’attività del Fondo di Garanzia consiste in un’agevolazione prevista dal Ministero dello Sviluppo economico che può essere attivata a fronte di finanziamenti erogati da Banche o altri intermediari finanziari e che non interviene direttamente nel rapporto tra Banca e Cliente, bensì sostituisce le onerose garanzie richieste per ottenere un finanziamento con la garanzia pubblica.
L’art. 13 del Decreto ‘Liquidità’, abrogando espressamente l’art. 49 del D.L. 17/2020, ne ha mantenuto l’impianto prevedendo quanto segue:
proroga dei termini di accesso alla misura sino al 31 dicembre 2020;
gratuità della concessione della garanzia;
incremento dei massimali di copertura sino all’importo di € 5 milioni per singola impresa;
estensione della platea dei soggetti beneficiari alle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 unità;
nonché, alla lett. m) del co. 1, una specifica misura di concessione di garanzia sui nuovi finanziamenti erogati dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore delle piccole e medie imprese come pure di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività è stata danneggiata dall’emergenza da COVID-19, come da autocertificazione.
Tale misura, cui si accede secondo un iter procedurale semplificato, consiste – previa autorizzazione della Commissione Europea ex art. 108 TFUE – in una garanzia pari al 100% dell’importo erogato, somma che non può superare il 25 % dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario e, in ogni caso, non può essere superiore a 25.000 euro. I ricavi sono quelli risultanti dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da “altra idonea documentazione”, anche mediante autocertificazione. Per gli esercenti arti e professioni, diversamente, il termine ‘ricavi’ dovrà essere considerato nell’accezione di ‘compensi’ riferiti all’anno d’imposta 2018.
Affinché operi la garanzia, per tali finanziamenti deve essere previsto il rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall’erogazione e gli stessi, in aggiunta, non devono avere una durata superiore ai 72 mesi.
È stata oggetto di conferma la previsione circa l’automaticità e gratuità dell’intervento, previa verifica del possesso dei requisiti richiesti, senza alcuna valutazione preventiva di merito del soggetto beneficiario.
In conclusione – sottolineando come il reale successo di tale misura sarà determinato dalla capacità dell’intero sistema creditizio di elaborare con celerità le numerosissime domande presentate e di fornire una rapida risposta alle imprese in difficoltà – si aggiunge che, all’art. 1 del Decreto ‘Liquidità’, è stata introdotta un’ulteriore misura di sostegno, avente carattere sussidiario, rappresentata dalla Garanzia SACE per le grandi imprese, le PMI e i professionisti che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia.
Moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
2020
La moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
Il Governo italiano, nel suo affannoso tentativo di arginare le drammatiche conseguenze che la diffusione pandemica del Coronavirus determinerà anche nel nostro Paese, ha dato vita ad una copiosa produzione normativa con la previsione – tra le altre misure – di varie forme di sostegno economico al sistema produttivo.
Da questo punto di vista, risulta imprescindibile tutelare le cd. ‘PMI’ (Piccole e medie imprese) che, considerata la loro rilevanza economica e capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, costituiscono la componente fondamentale del sistema economico italiano e la cui scomparsa determinerebbe incalcolabili danni e ricadute su tutti gli altri settori, cui sarebbe impossibile porre rimedio.
Per evitare un simile scenario, all’interno del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, il Governo all’art. 56 ha previsto una norma contenente “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”.
Viene così introdotta quella che può essere considerata una – seppur limitata – boccata d’ossigeno per le imprese di minor dimensione operanti in tutti i settori ed aventi sede in Italia.
Tale strumento rientra tra quegli interventi definibili come Aiuti di Stato consentiti dall’art. 107 TFUE, in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, in quanto diretto a porre rimedio ai danni causati da un simile evento eccezionale comportante un grave turbamento all’economia.
Si tratta, a ben vedere, di una moratoria sui prestiti concessi dalle Banche e dagli altri Intermediari Finanziari alle micro, piccole e medie imprese così come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE e cioè quelle con un numero di occupati inferiore alle 250 unità e con un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro, ovvero il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
Come precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’interno di questa previsione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi titolari di partita Iva.
Più nel dettaglio, la misura di sostegno finanziario contenuta nel co. 2, lett. c) dell’art. 56 consiste nella possibilità di ottenere, per mutui e altri finanziamenti a rimborso rateale, che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre del 2020 venga sospeso sino a tale data. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione verrà, pertanto, dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Presupposto necessario per poter beneficiare di tale previsione – oltre a quello relativo alla solvibilità dell’impresa, che non deve presentare esposizioni debitorie classificate come deteriorate – è quello della presentazione di una comunicazione contenente: l’indicazione del finanziamento per il quale è richiesta la moratoria, i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, la dichiarazione con la quale si autocertifica, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, con la consapevolezza delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci.
Tali comunicazioni, che possono essere presentate dalle imprese dal 17 marzo 2020, possono essere inviate anche tramite PEC o con altri sistemi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.
Lo strumento in esame, trattandosi di moratoria ad ampio spettro di applicazione e concepita in risposta al Covid-19, consente di evitare il processo che – viste le modifiche apportate al contratto originale della linea di credito – potrebbe condurre ad una classificazione a forbearance del finanziamento. Tale circostanza è stata confermata anche dall’EBA nelle sue linee guida del 2 aprile 2020, nelle quali si specifica che “l’applicazione della moratoria generale di pagamento di per sé non dovrebbe indurre a riclassificare un’esposizione come «forborne» (sia essa deteriorata o non deteriorata), a meno che non sia già stata classificata come «forborne» al momento dell’applicazione della moratoria”. Conseguenza è quella per cui potrà ricorrere a tale strumento anche l’impresa – in bonis – che abbia comunque ottenuto misure di sospensione o ristrutturazione dello stesso finanziamento nell’arco dei 24 mesi precedenti.
Nulla esclude, come per altro si sta già verificando, che i singoli istituti di credito possano, nel rispetto dei requisiti indicati dall’art. 56 del decreto, adottare previsioni maggiormente favorevoli per l’impresa, come potrebbe essere quella relativa al periodo di sospensione dei pagamenti, avendo riguardo al comportamento e alla situazione riguardante il debitore prima dell’esplosione della pandemia.
In attesa della conversione del decreto che, ai sensi dell’art. 77 Cost., deve avvenire entro 60 giorni dalla sua pubblicazione - oltre a porre particolare attenzione agli emendamenti che verranno presentati in tale occasione e che potrebbero condurre all’eliminazione dei requisiti dimensionali e di fatturato delle imprese per beneficiare della moratoria - è consigliabile per quelle attualmente escluse dalla norma – e cioè quelle in bonis di grandi dimensioni nonché quelle classificate come deteriorate – prendere contatti con i singoli istituti di credito per valutare l’adozione di misure analoghe.
Il diritto di famiglia al tempo del coronavirus
2020
L'Avvocato Stella intervistata da Il Dubbio
2020
presso Udine
Intervista all'Avvocato Alessandra Stella su Il Dubbio.
Intelligenza artificiale e giustizia, ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
2020
presso Udine
Assemblea dei legali del triveneto domani a Padova. Tra gli argomenti toccati ci saranno anche le implicazioni legate all’utilizzo degli algoritmi nella amministrazione della giustizia
AVVOCATI: Intelligenza artificiale e giustizia,
ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
Stella: “La giustizia predittiva è dietro l’angolo. Occorre essere pronti: in America si utilizza nel penale; in Estonia nelle cause risarcitorie. In Italia è già realtà in alcuni studi di Roma e Milano”
Padova 21 febbraio 2020 – 13 luglio 2016, Wisconsin (USA): la Suprema Corte conferma la sentenza pronunciata dal Tribunale circondariale di La Crosse, il quale aveva condannato Eric L. Loomis per ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Un caso che non presentava nulla di particolarmente rilevante, senonché il giudice di primo grado si era avvalso del programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), i cui algoritmi avevano calcolato come Loomis avesse un'elevata probabilità di recidiva.
L’Intelligenza Artificiale (in breve AI) consiste, in estrema sintesi, nel far riprodurre a strumenti robotici, attraverso calcoli e algoritmi, capacità e attività cognitive proprie dell’essere umano. La vita di ogni giorno ci offre esempi molto semplici: i traduttori automatici, i sistemi di riconoscimento facciale, i veicoli a guida autonoma. L’Intelligenza Artificiale è una realtà attuale, non più appartenente ad un futuro distopico, ed è oramai prossima ad abbracciare ogni ambito della società, tra cui – come dimostra il caso Looming – anche quello della giustizia. Altro esempio emblematico è quello dell’Estonia, dove si utilizza, in via sperimentale, un algoritmo per risolvere controversie con valore inferiore ai 7mila euro.
“Questa vicenda processuale – spiega la Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati Alessandra Stella, parlando del caso Looming – rappresenta il punto centrale della cosiddetta giustizia predittiva, che consiste nella possibilità di anticipare, tramite algoritmi commerciali, il probabile ragionamento del giudice e quindi la possibile sentenza. In pratica si predice la soluzione perché già a monte si sa che il giudice, quando andrà a decidere la questione, lo farà in un determinato modo. Non si tratta di un futuro lontano, ma di una realtà attuale anche in Italia. A Milano gli algoritmi sono già realtà in alcuni studi legali che li utilizzano per redigere, ad esempio, decreti ingiuntivi che vengono elaborati in pochi minuti senza richiedere tutta quella attività, molto più impegnativa, che viene affidata tradizionalmente al collaboratore di studio”.
I vantaggi e le semplificazioni che ne deriverebbero si possono facilmente immaginare; si pensi alle cosiddette “due diligence”, cioè l'attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all'oggetto di una trattativa finalizzata a valutare la convenienza di un affare. “Addirittura – spiega l’avv. Stella – se queste attività sono poste in essere dall'uomo hanno un margine di errore superiore rispetto al software il cui tasso di fallibilità è dello 0,2%. Praticamente perfetto. Ora, il sistema americano pare orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale. In Italia dobbiamo invece capire per tempo quali prospettive si aprano nell’organizzazione del lavoro dello studio o nella ordinaria attività degli uffici giudiziari. Da noi, del resto, le sentenze non hanno lo stesso valore che hanno nel sistema anglosassone dove costituiscono un precedente vincolante”.
Se non mancano i potenziali aspetti positivi della giustizia predittiva, lo stesso deve dirsi per dubbi e interrogativi: tra tutti, la garanzia della trasparenza del processo logico-decisionale applicato dal programma. Se è necessario poter leggere la motivazione di una sentenza pronunciata da un giudice “umano”, tale necessità si sentirà maggiormente per il caso in cui ad emettere la sentenza sia un giudice “robotico”. Per quanto il software potrà essere scritto seguendo criteri di traslazione in linguaggio matematico dei principi giuridici, trasformati in formule o algoritmi, sarà imprescindibile garantire la verifica dei passaggi tecnici: oltre, quindi, alla motivazione in sé, dovrà essere oggetto di verifica anche il procedimento informatico che ha portato alla motivazione stessa.
All’avvocato Stella fa eco il Presidente degli avvocati di Padova Leonardo Arnau: “Come funziona la giustizia predittiva? Prendiamo ad esempio una separazione tra coniugi: inseriamo nel programma i dati dei clienti, la consistenza del patrimonio, i dati sulla composizione del nucleo familiare, il tenore di vita, le abitudini di vita e l'algoritmo determina se sia dovuto e a quanto ammonti l'assegno di mantenimento, e come va diviso il patrimonio. Lo stesso per il penale: si inseriscono i precedenti, il tipo di personalità, e in ragione della giurisprudenza pregressa l'algoritmo determina la decisione”.
Ed ancora l’Avv. Stella: “Come avvocati non posso nascondere che c’è preoccupazione perché c'è un modo evidentemente differente di svolgere la professione e se queste nuove prospettive non vengono guidate correttamente, potrebbero incidere significativamente”.
Un punto di partenza potrebbe essere la Carta etica europea sull’uso dell’IA nei sistemi giudiziari e il loro ambiente, pubblicata dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa. La Carta etica europea, oltre ad incoraggiare l’uso di strumenti e servizi di IA per migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia, enuncia cinque principi ai quali ci si dovrà attenere: 1) principio di rispetto dei diritti fondamentali, 2) principio di non discriminazione, 3) principio di qualità e sicurezza, 4) principio di trasparenza, imparzialità ed equità e 5) principio “sotto il controllo dell’utente”.
Anche di questo si parlerà domani a Padova in occasione dell’Assemblea degli Avvocati del Triveneto. L’appuntamento è fissato per
Sabato 22 febbraio 2020 alle ore
xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx
Interverranno tra gli altri:
Alessandra Stella - Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati
Leonardo Arnau – Presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova
La presenza di un giornalista della vostra testata sarà particolarmente gradita
Ufficio Stampa assemblea: Carlo Saccon Tel 3282170266
Cormons, assemblea dell'unione Triveneta dei consigli dell'ordine degli avvocati
2019
Link al video del TGR FVG, edizione delle 19:30 del 16 Settembre 2019. L'intervento parte dal minuto 15:20.
“Giustizia e diritti, programmi per l’Europa a confronto”
2019
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Di riforma in riforma”
2019
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Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Società tra avvocati, una vantaggiosa alternativa allo studio legale associato? Aspetti giuridici, fiscali, previdenziali e deontologici”
2019
presso Pordenone
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Quando i robot apriranno lo studio, Robot e Intelligenza artificiale al servizio del libero professionista”
2019
presso Vicenza
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“I profili personali e patrimoniali nella crisi di famiglia. Evoluzione giurisprudenziale”
2018
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
Le locazioni commerciali al tempo del Coronavirus
2020
Le locazioni commerciali ai tempi del coronavirus
L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus sta generando una grave crisi economica in quasi tutti i settori produttivi del Paese. I provvedimenti fortemente restrittivi hanno interessato la maggioranza delle attività commerciali le quali, impossibilitate a conseguire proventi, stanno affrontando il problema del pagamento dei canoni di locazione. Proprio in questo ambito, gli istituti tradizionali del nostro ordinamento giuridico stanno dimostrando la loro inadeguatezza nel fornire risposte utili ad affrontare la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Il Governo italiano, a far data dai primi provvedimenti adottati per fronteggiare il diffondersi del virus, ha suddiviso le attività produttive e gli esercizi commerciali in due categorie, a seconda della loro ‘essenzialità’ o meno.
Nel contesto emergenziale, tuttavia, sia i gestori delle attività consentite, così come di quelle sospese, stanno fronteggiando il problema relativo al pagamento dei canoni di locazione, principale obbligazione del conduttore.
Da questo punto di vista, le previsioni contenute nella normativa adottata in questi difficili giorni sono pressoché inesistenti ove si consideri che l’unica norma espressamente prevista è quella contenuta nell’art. 65 del D.L. 18/2020, riguardante esclusivamente le attività sospese con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020.
Tale norma prevede un bonus di carattere fiscale consistente in un credito di imposta a favore dei conduttori titolari di attività economiche che siano state sospese in quanto non essenziali. Più nel dettaglio, la misura – un credito di imposta pari al 60 % dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 – potrà essere utilizzata in compensazione con le imposte dovute, esclusivamente dagli intestatari di contratti di locazione di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
La misura di cui si discute, evidentemente, opera solamente a favore delle imprese che, nonostante le difficoltà, siano state in grado di pagare il canone di locazione. Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in assenza di pagamento non è possibile utilizzare il bonus.
L’introduzione del credito di imposta, seppur utile, non risolve tuttavia il problema della carenza di liquidità che le imprese stanno affrontando in quanto, se da un lato non potrà essere utilizzato in compensazione dalle attività non soggette agli obblighi di chiusura – le quali, comunque, potrebbero subire una riduzione del fatturato – dall’altro si rivela utile solo allorquando il conduttore sia stato effettivamente in grado di pagare il canone.
A ben vedere, il problema si pone a monte, e cioè nel momento in cui per il conduttore risulti impossibile adempiere – totalmente o parzialmente – alla propria obbligazione.
Il tema, pertanto, è quello di analizzare eventuali rimedi previsti in via generale dall’ordinamento giuridico, posto che, sicuramente, nei contratti di locazione stipulati ante coronavirus le parti non hanno previsto specifiche clausole contemplanti i comportamenti da tenere in fase di emergenza epidemiologica.
In termini generali, il contratto di locazione è l’accordo in virtù del quale il locatore si impegna a concedere al conduttore il godimento di una cosa, mobile o immobile, per un periodo di tempo determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, detto canone. L’obbligazione principale del conduttore è quella di pagare il canone nei termini convenuti, quella del locatore consiste nel mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto.
A ben vedere, i provvedimenti adottati a seguito della diffusione del coronavirus hanno avuto conseguenze riguardo alle obbligazioni di entrambe le parti del contratto.
Da un lato, infatti, la sospensione di moltissime attività ha avuto riflessi sulla capacità dei conduttori di far fronte alla propria obbligazione, consistente nel pagamento del canone.
Evidentemente, se una attività è stata sospesa, soprattutto quando di piccole dimensioni, il gestore/locatario potrebbe non disporre della liquidità necessaria.
Da questo punto di vista, sono almeno due gli istituti cui fare riferimento; vediamoli nel dettaglio.
Innanzitutto, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 1256 c.c. sostenendo l’impossibilità della sua prestazione, per causa ad esso non imputabile. Tuttavia, mentre può ritenersi corretto interpretare i provvedimenti dell’autorità amministrativa quali cause di impossibilità oggettiva, risulta più arduo configurare l’obbligazione del conduttore come impossibile materialmente. Il pagamento del canone, infatti, diversamente dalle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di genere limitato, non può dirsi mai oggettivamente impossibile.
L’altro istituto cui rivolgere l’attenzione è quello della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, previsto ex art. 1467 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Effettivamente, a causa della chiusura dei locali, il pagamento del corrispettivo potrebbe diventare eccessivamente oneroso. In tal caso, la norma riconosce al locatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto. Il terzo comma dell’art. 1467 c.c., tuttavia, in un’ottica manutentiva, consente al locatore di bilanciare nuovamente il sinallagma contrattuale proponendo una modifica equitativa del contratto, riducendo l’ammontare del canone. Si badi che, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa non ha diritto di sospendere unilateralmente il pagamento, dovendo invece agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
In aggiunta, a tutela del conduttore inadempiente è stata prevista una specifica norma ad opera della decretazione d’urgenza. Il riferimento è al comma 6 bis aggiunto all’art. 3 del D.L. 6/2020 con il D.L. ‘Cura Italia’. Tale previsione, considerando le inevitabili difficoltà che la diffusione del virus e i provvedimenti ad esso collegati avrebbe determinato nella regolare esecuzione dei contratti, sancisce – in maniera probabilmente ridondante – che ‘il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti’. In tal modo, il locatore potrebbe vedersi paralizzare la richiesta di risarcimento del danno arrecato dal conduttore a causa dell’inadempimento della sua obbligazione. La norma non contiene una presunzione per cui il rispetto delle misure previste dal Governo possa mandare esente il conduttore da responsabilità, bensì prescrive che il Giudice debba valutare l’esclusione della responsabilità del debitore, valutando di volta in volta le situazioni e comparando i diversi interessi in gioco.
Se si rivolge, invece, l’attenzione al locatore ed alla sua obbligazione, ecco che torna ad assumere rilevanza il tema della impossibilità della prestazione. Egli, infatti, si obbliga a mettere a disposizione del conduttore l’immobile non per un generico godimento, bensì per un utilizzo specifico consistente nello svolgimento di una determinata attività. Attività che, a causa dei provvedimenti adottati per favorire la regressione del virus, non può svolgersi. Sarebbe il locatore, pertanto, a non essere in grado di adempiere alla propria obbligazione. Il conduttore, infatti, pur avendo la materiale disponibilità della cosa, non può goderne - per tutto il periodo di vigenza del divieto - per lo svolgimento della specifica attività per cui aveva scelto di stipulare il contratto. Si determinerebbe, quindi, una impossibilità parziale della prestazione del locatore che legittimerebbe, conseguentemente, il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 c.c., a domandare una riduzione della prestazione da esso dovuta, ove non sia intenzionato a recedere dal contratto.
Gli istituti generali sin qui presi in considerazione hanno tutti la comune caratteristica di essere diretti alla risoluzione del contratto, fatta eccezione per la facoltà prevista in capo al creditore, nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, di evitare la caducazione del contratto proponendo una sua modifica.
Si deve però considerare che, nella situazione economica che stiamo attraversando, difficilmente le parti del contratto, non appena una della due risulti inadempiente, vorranno sciogliere il contratto, opzione che, invece, dovrebbe essere considerata quale extrema ratio.
Per entrambe le parti è più vantaggioso mantenere in vita il contratto. Se, infatti, per il locatore è innegabile che, ottenuto lo scioglimento del contratto, in questo momento difficilmente sarebbe in grado di individuare un nuovo conduttore, è altrettanto vero che anche il conduttore sarà interessato a far sopravvivere il contratto, nella speranza che – terminata la situazione di emergenza – sarà possibile riprendere nuovamente la propria attività.
Ecco quindi che, per soddisfare al meglio gli interessi delle parti ed evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale, il rimedio più adatto è rappresentato dal ricorso ai principi generali della correttezza e della buona fede. La parte colpita dagli effetti pregiudizievoli dell’emergenza sanitaria potrà chiedere alla propria controparte di rinegoziare i termini del contratto, prevedendo la sospensione del pagamento del canone oppure una sua riduzione, facendo appello ai summenzionati principi che trovano necessariamente applicazione in tutte le fasi della vicenda contrattuale. Corrispondentemente, in capo all’altra parte sussisterebbe un obbligo – fondato sui medesimi doveri, oltre che sul generale principio di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost. – di acconsentire alla rinegoziazione, accettando le modifiche proposte o proponendo delle nuove soluzioni che consentano di ristabilire l’equilibrio del rapporto contrattuale.
In conclusione, non si può non sottolineare come la situazione sia caratterizzata da assoluta ed inedita eccezionalità per fronteggiare la quale si reputa opportuno l’intervento del legislatore volto a disciplinare in modo specifico le fattispecie che si stanno venendo a creare e che, inevitabilmente, si creeranno.
In un’ottica disincentivante del ricorso all’Autorità giudiziaria, a mero titolo esemplificativo, potrebbe essere predeterminata una ripartizione tra il locatore e il conduttore dei costi causati dalla sospensione delle attività commerciali, nonché la previsione dell’incentivazione a raggiungere un accordo bonario tra le medesime parti, prevedendo degli sgravi fiscali.
PMI: prestiti fino a € 25.000,00 garantiti dallo stato
2020
PMI: prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato
Per assicurare la continuità dell’attività delle imprese, degli artigiani, dei lavoratori autonomi e dei professionisti in questa fase di emergenza sanitaria, il Consiglio dei Ministri ha individuato due forme di intervento complementari.
Si tratta della moratoria sui prestiti e dell’intervento del Fondo di garanzia per le PMI, entrambi previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” n. 17/2020.
Mentre la prima misura non è stata interessata dalle norme contenute nel D.L. 23/2020, le declinazioni dell’attività del Fondo Centrale di Garanzia hanno subito rilevanti modifiche ad opera Decreto ‘Liquidità’ riguardanti i massimali previsti, le percentuali di copertura, i requisiti soggettivi e i termini di accesso alla misura.
In generale, l’attività del Fondo di Garanzia consiste in un’agevolazione prevista dal Ministero dello Sviluppo economico che può essere attivata a fronte di finanziamenti erogati da Banche o altri intermediari finanziari e che non interviene direttamente nel rapporto tra Banca e Cliente, bensì sostituisce le onerose garanzie richieste per ottenere un finanziamento con la garanzia pubblica.
L’art. 13 del Decreto ‘Liquidità’, abrogando espressamente l’art. 49 del D.L. 17/2020, ne ha mantenuto l’impianto prevedendo quanto segue:
proroga dei termini di accesso alla misura sino al 31 dicembre 2020;
gratuità della concessione della garanzia;
incremento dei massimali di copertura sino all’importo di € 5 milioni per singola impresa;
estensione della platea dei soggetti beneficiari alle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 unità;
nonché, alla lett. m) del co. 1, una specifica misura di concessione di garanzia sui nuovi finanziamenti erogati dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore delle piccole e medie imprese come pure di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività è stata danneggiata dall’emergenza da COVID-19, come da autocertificazione.
Tale misura, cui si accede secondo un iter procedurale semplificato, consiste – previa autorizzazione della Commissione Europea ex art. 108 TFUE – in una garanzia pari al 100% dell’importo erogato, somma che non può superare il 25 % dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario e, in ogni caso, non può essere superiore a 25.000 euro. I ricavi sono quelli risultanti dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da “altra idonea documentazione”, anche mediante autocertificazione. Per gli esercenti arti e professioni, diversamente, il termine ‘ricavi’ dovrà essere considerato nell’accezione di ‘compensi’ riferiti all’anno d’imposta 2018.
Affinché operi la garanzia, per tali finanziamenti deve essere previsto il rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall’erogazione e gli stessi, in aggiunta, non devono avere una durata superiore ai 72 mesi.
È stata oggetto di conferma la previsione circa l’automaticità e gratuità dell’intervento, previa verifica del possesso dei requisiti richiesti, senza alcuna valutazione preventiva di merito del soggetto beneficiario.
In conclusione – sottolineando come il reale successo di tale misura sarà determinato dalla capacità dell’intero sistema creditizio di elaborare con celerità le numerosissime domande presentate e di fornire una rapida risposta alle imprese in difficoltà – si aggiunge che, all’art. 1 del Decreto ‘Liquidità’, è stata introdotta un’ulteriore misura di sostegno, avente carattere sussidiario, rappresentata dalla Garanzia SACE per le grandi imprese, le PMI e i professionisti che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia.
Moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
2020
La moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
Il Governo italiano, nel suo affannoso tentativo di arginare le drammatiche conseguenze che la diffusione pandemica del Coronavirus determinerà anche nel nostro Paese, ha dato vita ad una copiosa produzione normativa con la previsione – tra le altre misure – di varie forme di sostegno economico al sistema produttivo.
Da questo punto di vista, risulta imprescindibile tutelare le cd. ‘PMI’ (Piccole e medie imprese) che, considerata la loro rilevanza economica e capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, costituiscono la componente fondamentale del sistema economico italiano e la cui scomparsa determinerebbe incalcolabili danni e ricadute su tutti gli altri settori, cui sarebbe impossibile porre rimedio.
Per evitare un simile scenario, all’interno del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, il Governo all’art. 56 ha previsto una norma contenente “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”.
Viene così introdotta quella che può essere considerata una – seppur limitata – boccata d’ossigeno per le imprese di minor dimensione operanti in tutti i settori ed aventi sede in Italia.
Tale strumento rientra tra quegli interventi definibili come Aiuti di Stato consentiti dall’art. 107 TFUE, in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, in quanto diretto a porre rimedio ai danni causati da un simile evento eccezionale comportante un grave turbamento all’economia.
Si tratta, a ben vedere, di una moratoria sui prestiti concessi dalle Banche e dagli altri Intermediari Finanziari alle micro, piccole e medie imprese così come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE e cioè quelle con un numero di occupati inferiore alle 250 unità e con un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro, ovvero il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
Come precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’interno di questa previsione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi titolari di partita Iva.
Più nel dettaglio, la misura di sostegno finanziario contenuta nel co. 2, lett. c) dell’art. 56 consiste nella possibilità di ottenere, per mutui e altri finanziamenti a rimborso rateale, che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre del 2020 venga sospeso sino a tale data. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione verrà, pertanto, dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Presupposto necessario per poter beneficiare di tale previsione – oltre a quello relativo alla solvibilità dell’impresa, che non deve presentare esposizioni debitorie classificate come deteriorate – è quello della presentazione di una comunicazione contenente: l’indicazione del finanziamento per il quale è richiesta la moratoria, i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, la dichiarazione con la quale si autocertifica, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, con la consapevolezza delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci.
Tali comunicazioni, che possono essere presentate dalle imprese dal 17 marzo 2020, possono essere inviate anche tramite PEC o con altri sistemi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.
Lo strumento in esame, trattandosi di moratoria ad ampio spettro di applicazione e concepita in risposta al Covid-19, consente di evitare il processo che – viste le modifiche apportate al contratto originale della linea di credito – potrebbe condurre ad una classificazione a forbearance del finanziamento. Tale circostanza è stata confermata anche dall’EBA nelle sue linee guida del 2 aprile 2020, nelle quali si specifica che “l’applicazione della moratoria generale di pagamento di per sé non dovrebbe indurre a riclassificare un’esposizione come «forborne» (sia essa deteriorata o non deteriorata), a meno che non sia già stata classificata come «forborne» al momento dell’applicazione della moratoria”. Conseguenza è quella per cui potrà ricorrere a tale strumento anche l’impresa – in bonis – che abbia comunque ottenuto misure di sospensione o ristrutturazione dello stesso finanziamento nell’arco dei 24 mesi precedenti.
Nulla esclude, come per altro si sta già verificando, che i singoli istituti di credito possano, nel rispetto dei requisiti indicati dall’art. 56 del decreto, adottare previsioni maggiormente favorevoli per l’impresa, come potrebbe essere quella relativa al periodo di sospensione dei pagamenti, avendo riguardo al comportamento e alla situazione riguardante il debitore prima dell’esplosione della pandemia.
In attesa della conversione del decreto che, ai sensi dell’art. 77 Cost., deve avvenire entro 60 giorni dalla sua pubblicazione - oltre a porre particolare attenzione agli emendamenti che verranno presentati in tale occasione e che potrebbero condurre all’eliminazione dei requisiti dimensionali e di fatturato delle imprese per beneficiare della moratoria - è consigliabile per quelle attualmente escluse dalla norma – e cioè quelle in bonis di grandi dimensioni nonché quelle classificate come deteriorate – prendere contatti con i singoli istituti di credito per valutare l’adozione di misure analoghe.
Il diritto di famiglia al tempo del coronavirus
2020
L'Avvocato Stella intervistata da Il Dubbio
2020
presso Udine
Intervista all'Avvocato Alessandra Stella su Il Dubbio.
Intelligenza artificiale e giustizia, ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
2020
presso Udine
Assemblea dei legali del triveneto domani a Padova. Tra gli argomenti toccati ci saranno anche le implicazioni legate all’utilizzo degli algoritmi nella amministrazione della giustizia
AVVOCATI: Intelligenza artificiale e giustizia,
ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
Stella: “La giustizia predittiva è dietro l’angolo. Occorre essere pronti: in America si utilizza nel penale; in Estonia nelle cause risarcitorie. In Italia è già realtà in alcuni studi di Roma e Milano”
Padova 21 febbraio 2020 – 13 luglio 2016, Wisconsin (USA): la Suprema Corte conferma la sentenza pronunciata dal Tribunale circondariale di La Crosse, il quale aveva condannato Eric L. Loomis per ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Un caso che non presentava nulla di particolarmente rilevante, senonché il giudice di primo grado si era avvalso del programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), i cui algoritmi avevano calcolato come Loomis avesse un'elevata probabilità di recidiva.
L’Intelligenza Artificiale (in breve AI) consiste, in estrema sintesi, nel far riprodurre a strumenti robotici, attraverso calcoli e algoritmi, capacità e attività cognitive proprie dell’essere umano. La vita di ogni giorno ci offre esempi molto semplici: i traduttori automatici, i sistemi di riconoscimento facciale, i veicoli a guida autonoma. L’Intelligenza Artificiale è una realtà attuale, non più appartenente ad un futuro distopico, ed è oramai prossima ad abbracciare ogni ambito della società, tra cui – come dimostra il caso Looming – anche quello della giustizia. Altro esempio emblematico è quello dell’Estonia, dove si utilizza, in via sperimentale, un algoritmo per risolvere controversie con valore inferiore ai 7mila euro.
“Questa vicenda processuale – spiega la Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati Alessandra Stella, parlando del caso Looming – rappresenta il punto centrale della cosiddetta giustizia predittiva, che consiste nella possibilità di anticipare, tramite algoritmi commerciali, il probabile ragionamento del giudice e quindi la possibile sentenza. In pratica si predice la soluzione perché già a monte si sa che il giudice, quando andrà a decidere la questione, lo farà in un determinato modo. Non si tratta di un futuro lontano, ma di una realtà attuale anche in Italia. A Milano gli algoritmi sono già realtà in alcuni studi legali che li utilizzano per redigere, ad esempio, decreti ingiuntivi che vengono elaborati in pochi minuti senza richiedere tutta quella attività, molto più impegnativa, che viene affidata tradizionalmente al collaboratore di studio”.
I vantaggi e le semplificazioni che ne deriverebbero si possono facilmente immaginare; si pensi alle cosiddette “due diligence”, cioè l'attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all'oggetto di una trattativa finalizzata a valutare la convenienza di un affare. “Addirittura – spiega l’avv. Stella – se queste attività sono poste in essere dall'uomo hanno un margine di errore superiore rispetto al software il cui tasso di fallibilità è dello 0,2%. Praticamente perfetto. Ora, il sistema americano pare orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale. In Italia dobbiamo invece capire per tempo quali prospettive si aprano nell’organizzazione del lavoro dello studio o nella ordinaria attività degli uffici giudiziari. Da noi, del resto, le sentenze non hanno lo stesso valore che hanno nel sistema anglosassone dove costituiscono un precedente vincolante”.
Se non mancano i potenziali aspetti positivi della giustizia predittiva, lo stesso deve dirsi per dubbi e interrogativi: tra tutti, la garanzia della trasparenza del processo logico-decisionale applicato dal programma. Se è necessario poter leggere la motivazione di una sentenza pronunciata da un giudice “umano”, tale necessità si sentirà maggiormente per il caso in cui ad emettere la sentenza sia un giudice “robotico”. Per quanto il software potrà essere scritto seguendo criteri di traslazione in linguaggio matematico dei principi giuridici, trasformati in formule o algoritmi, sarà imprescindibile garantire la verifica dei passaggi tecnici: oltre, quindi, alla motivazione in sé, dovrà essere oggetto di verifica anche il procedimento informatico che ha portato alla motivazione stessa.
All’avvocato Stella fa eco il Presidente degli avvocati di Padova Leonardo Arnau: “Come funziona la giustizia predittiva? Prendiamo ad esempio una separazione tra coniugi: inseriamo nel programma i dati dei clienti, la consistenza del patrimonio, i dati sulla composizione del nucleo familiare, il tenore di vita, le abitudini di vita e l'algoritmo determina se sia dovuto e a quanto ammonti l'assegno di mantenimento, e come va diviso il patrimonio. Lo stesso per il penale: si inseriscono i precedenti, il tipo di personalità, e in ragione della giurisprudenza pregressa l'algoritmo determina la decisione”.
Ed ancora l’Avv. Stella: “Come avvocati non posso nascondere che c’è preoccupazione perché c'è un modo evidentemente differente di svolgere la professione e se queste nuove prospettive non vengono guidate correttamente, potrebbero incidere significativamente”.
Un punto di partenza potrebbe essere la Carta etica europea sull’uso dell’IA nei sistemi giudiziari e il loro ambiente, pubblicata dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa. La Carta etica europea, oltre ad incoraggiare l’uso di strumenti e servizi di IA per migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia, enuncia cinque principi ai quali ci si dovrà attenere: 1) principio di rispetto dei diritti fondamentali, 2) principio di non discriminazione, 3) principio di qualità e sicurezza, 4) principio di trasparenza, imparzialità ed equità e 5) principio “sotto il controllo dell’utente”.
Anche di questo si parlerà domani a Padova in occasione dell’Assemblea degli Avvocati del Triveneto. L’appuntamento è fissato per
Sabato 22 febbraio 2020 alle ore
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Interverranno tra gli altri:
Alessandra Stella - Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati
Leonardo Arnau – Presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova
La presenza di un giornalista della vostra testata sarà particolarmente gradita
Ufficio Stampa assemblea: Carlo Saccon Tel 3282170266
Cormons, assemblea dell'unione Triveneta dei consigli dell'ordine degli avvocati
2019
Link al video del TGR FVG, edizione delle 19:30 del 16 Settembre 2019. L'intervento parte dal minuto 15:20.
“Giustizia e diritti, programmi per l’Europa a confronto”
2019
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Di riforma in riforma”
2019
presso Padova
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Società tra avvocati, una vantaggiosa alternativa allo studio legale associato? Aspetti giuridici, fiscali, previdenziali e deontologici”
2019
presso Pordenone
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Quando i robot apriranno lo studio, Robot e Intelligenza artificiale al servizio del libero professionista”
2019
presso Vicenza
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“I profili personali e patrimoniali nella crisi di famiglia. Evoluzione giurisprudenziale”
2018
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
Le locazioni commerciali al tempo del Coronavirus
2020
Le locazioni commerciali ai tempi del coronavirus
L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus sta generando una grave crisi economica in quasi tutti i settori produttivi del Paese. I provvedimenti fortemente restrittivi hanno interessato la maggioranza delle attività commerciali le quali, impossibilitate a conseguire proventi, stanno affrontando il problema del pagamento dei canoni di locazione. Proprio in questo ambito, gli istituti tradizionali del nostro ordinamento giuridico stanno dimostrando la loro inadeguatezza nel fornire risposte utili ad affrontare la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Il Governo italiano, a far data dai primi provvedimenti adottati per fronteggiare il diffondersi del virus, ha suddiviso le attività produttive e gli esercizi commerciali in due categorie, a seconda della loro ‘essenzialità’ o meno.
Nel contesto emergenziale, tuttavia, sia i gestori delle attività consentite, così come di quelle sospese, stanno fronteggiando il problema relativo al pagamento dei canoni di locazione, principale obbligazione del conduttore.
Da questo punto di vista, le previsioni contenute nella normativa adottata in questi difficili giorni sono pressoché inesistenti ove si consideri che l’unica norma espressamente prevista è quella contenuta nell’art. 65 del D.L. 18/2020, riguardante esclusivamente le attività sospese con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020.
Tale norma prevede un bonus di carattere fiscale consistente in un credito di imposta a favore dei conduttori titolari di attività economiche che siano state sospese in quanto non essenziali. Più nel dettaglio, la misura – un credito di imposta pari al 60 % dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 – potrà essere utilizzata in compensazione con le imposte dovute, esclusivamente dagli intestatari di contratti di locazione di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
La misura di cui si discute, evidentemente, opera solamente a favore delle imprese che, nonostante le difficoltà, siano state in grado di pagare il canone di locazione. Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in assenza di pagamento non è possibile utilizzare il bonus.
L’introduzione del credito di imposta, seppur utile, non risolve tuttavia il problema della carenza di liquidità che le imprese stanno affrontando in quanto, se da un lato non potrà essere utilizzato in compensazione dalle attività non soggette agli obblighi di chiusura – le quali, comunque, potrebbero subire una riduzione del fatturato – dall’altro si rivela utile solo allorquando il conduttore sia stato effettivamente in grado di pagare il canone.
A ben vedere, il problema si pone a monte, e cioè nel momento in cui per il conduttore risulti impossibile adempiere – totalmente o parzialmente – alla propria obbligazione.
Il tema, pertanto, è quello di analizzare eventuali rimedi previsti in via generale dall’ordinamento giuridico, posto che, sicuramente, nei contratti di locazione stipulati ante coronavirus le parti non hanno previsto specifiche clausole contemplanti i comportamenti da tenere in fase di emergenza epidemiologica.
In termini generali, il contratto di locazione è l’accordo in virtù del quale il locatore si impegna a concedere al conduttore il godimento di una cosa, mobile o immobile, per un periodo di tempo determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, detto canone. L’obbligazione principale del conduttore è quella di pagare il canone nei termini convenuti, quella del locatore consiste nel mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto.
A ben vedere, i provvedimenti adottati a seguito della diffusione del coronavirus hanno avuto conseguenze riguardo alle obbligazioni di entrambe le parti del contratto.
Da un lato, infatti, la sospensione di moltissime attività ha avuto riflessi sulla capacità dei conduttori di far fronte alla propria obbligazione, consistente nel pagamento del canone.
Evidentemente, se una attività è stata sospesa, soprattutto quando di piccole dimensioni, il gestore/locatario potrebbe non disporre della liquidità necessaria.
Da questo punto di vista, sono almeno due gli istituti cui fare riferimento; vediamoli nel dettaglio.
Innanzitutto, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 1256 c.c. sostenendo l’impossibilità della sua prestazione, per causa ad esso non imputabile. Tuttavia, mentre può ritenersi corretto interpretare i provvedimenti dell’autorità amministrativa quali cause di impossibilità oggettiva, risulta più arduo configurare l’obbligazione del conduttore come impossibile materialmente. Il pagamento del canone, infatti, diversamente dalle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di genere limitato, non può dirsi mai oggettivamente impossibile.
L’altro istituto cui rivolgere l’attenzione è quello della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, previsto ex art. 1467 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Effettivamente, a causa della chiusura dei locali, il pagamento del corrispettivo potrebbe diventare eccessivamente oneroso. In tal caso, la norma riconosce al locatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto. Il terzo comma dell’art. 1467 c.c., tuttavia, in un’ottica manutentiva, consente al locatore di bilanciare nuovamente il sinallagma contrattuale proponendo una modifica equitativa del contratto, riducendo l’ammontare del canone. Si badi che, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa non ha diritto di sospendere unilateralmente il pagamento, dovendo invece agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
In aggiunta, a tutela del conduttore inadempiente è stata prevista una specifica norma ad opera della decretazione d’urgenza. Il riferimento è al comma 6 bis aggiunto all’art. 3 del D.L. 6/2020 con il D.L. ‘Cura Italia’. Tale previsione, considerando le inevitabili difficoltà che la diffusione del virus e i provvedimenti ad esso collegati avrebbe determinato nella regolare esecuzione dei contratti, sancisce – in maniera probabilmente ridondante – che ‘il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti’. In tal modo, il locatore potrebbe vedersi paralizzare la richiesta di risarcimento del danno arrecato dal conduttore a causa dell’inadempimento della sua obbligazione. La norma non contiene una presunzione per cui il rispetto delle misure previste dal Governo possa mandare esente il conduttore da responsabilità, bensì prescrive che il Giudice debba valutare l’esclusione della responsabilità del debitore, valutando di volta in volta le situazioni e comparando i diversi interessi in gioco.
Se si rivolge, invece, l’attenzione al locatore ed alla sua obbligazione, ecco che torna ad assumere rilevanza il tema della impossibilità della prestazione. Egli, infatti, si obbliga a mettere a disposizione del conduttore l’immobile non per un generico godimento, bensì per un utilizzo specifico consistente nello svolgimento di una determinata attività. Attività che, a causa dei provvedimenti adottati per favorire la regressione del virus, non può svolgersi. Sarebbe il locatore, pertanto, a non essere in grado di adempiere alla propria obbligazione. Il conduttore, infatti, pur avendo la materiale disponibilità della cosa, non può goderne - per tutto il periodo di vigenza del divieto - per lo svolgimento della specifica attività per cui aveva scelto di stipulare il contratto. Si determinerebbe, quindi, una impossibilità parziale della prestazione del locatore che legittimerebbe, conseguentemente, il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 c.c., a domandare una riduzione della prestazione da esso dovuta, ove non sia intenzionato a recedere dal contratto.
Gli istituti generali sin qui presi in considerazione hanno tutti la comune caratteristica di essere diretti alla risoluzione del contratto, fatta eccezione per la facoltà prevista in capo al creditore, nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, di evitare la caducazione del contratto proponendo una sua modifica.
Si deve però considerare che, nella situazione economica che stiamo attraversando, difficilmente le parti del contratto, non appena una della due risulti inadempiente, vorranno sciogliere il contratto, opzione che, invece, dovrebbe essere considerata quale extrema ratio.
Per entrambe le parti è più vantaggioso mantenere in vita il contratto. Se, infatti, per il locatore è innegabile che, ottenuto lo scioglimento del contratto, in questo momento difficilmente sarebbe in grado di individuare un nuovo conduttore, è altrettanto vero che anche il conduttore sarà interessato a far sopravvivere il contratto, nella speranza che – terminata la situazione di emergenza – sarà possibile riprendere nuovamente la propria attività.
Ecco quindi che, per soddisfare al meglio gli interessi delle parti ed evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale, il rimedio più adatto è rappresentato dal ricorso ai principi generali della correttezza e della buona fede. La parte colpita dagli effetti pregiudizievoli dell’emergenza sanitaria potrà chiedere alla propria controparte di rinegoziare i termini del contratto, prevedendo la sospensione del pagamento del canone oppure una sua riduzione, facendo appello ai summenzionati principi che trovano necessariamente applicazione in tutte le fasi della vicenda contrattuale. Corrispondentemente, in capo all’altra parte sussisterebbe un obbligo – fondato sui medesimi doveri, oltre che sul generale principio di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost. – di acconsentire alla rinegoziazione, accettando le modifiche proposte o proponendo delle nuove soluzioni che consentano di ristabilire l’equilibrio del rapporto contrattuale.
In conclusione, non si può non sottolineare come la situazione sia caratterizzata da assoluta ed inedita eccezionalità per fronteggiare la quale si reputa opportuno l’intervento del legislatore volto a disciplinare in modo specifico le fattispecie che si stanno venendo a creare e che, inevitabilmente, si creeranno.
In un’ottica disincentivante del ricorso all’Autorità giudiziaria, a mero titolo esemplificativo, potrebbe essere predeterminata una ripartizione tra il locatore e il conduttore dei costi causati dalla sospensione delle attività commerciali, nonché la previsione dell’incentivazione a raggiungere un accordo bonario tra le medesime parti, prevedendo degli sgravi fiscali.
PMI: prestiti fino a € 25.000,00 garantiti dallo stato
2020
PMI: prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato
Per assicurare la continuità dell’attività delle imprese, degli artigiani, dei lavoratori autonomi e dei professionisti in questa fase di emergenza sanitaria, il Consiglio dei Ministri ha individuato due forme di intervento complementari.
Si tratta della moratoria sui prestiti e dell’intervento del Fondo di garanzia per le PMI, entrambi previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” n. 17/2020.
Mentre la prima misura non è stata interessata dalle norme contenute nel D.L. 23/2020, le declinazioni dell’attività del Fondo Centrale di Garanzia hanno subito rilevanti modifiche ad opera Decreto ‘Liquidità’ riguardanti i massimali previsti, le percentuali di copertura, i requisiti soggettivi e i termini di accesso alla misura.
In generale, l’attività del Fondo di Garanzia consiste in un’agevolazione prevista dal Ministero dello Sviluppo economico che può essere attivata a fronte di finanziamenti erogati da Banche o altri intermediari finanziari e che non interviene direttamente nel rapporto tra Banca e Cliente, bensì sostituisce le onerose garanzie richieste per ottenere un finanziamento con la garanzia pubblica.
L’art. 13 del Decreto ‘Liquidità’, abrogando espressamente l’art. 49 del D.L. 17/2020, ne ha mantenuto l’impianto prevedendo quanto segue:
proroga dei termini di accesso alla misura sino al 31 dicembre 2020;
gratuità della concessione della garanzia;
incremento dei massimali di copertura sino all’importo di € 5 milioni per singola impresa;
estensione della platea dei soggetti beneficiari alle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 unità;
nonché, alla lett. m) del co. 1, una specifica misura di concessione di garanzia sui nuovi finanziamenti erogati dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore delle piccole e medie imprese come pure di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività è stata danneggiata dall’emergenza da COVID-19, come da autocertificazione.
Tale misura, cui si accede secondo un iter procedurale semplificato, consiste – previa autorizzazione della Commissione Europea ex art. 108 TFUE – in una garanzia pari al 100% dell’importo erogato, somma che non può superare il 25 % dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario e, in ogni caso, non può essere superiore a 25.000 euro. I ricavi sono quelli risultanti dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da “altra idonea documentazione”, anche mediante autocertificazione. Per gli esercenti arti e professioni, diversamente, il termine ‘ricavi’ dovrà essere considerato nell’accezione di ‘compensi’ riferiti all’anno d’imposta 2018.
Affinché operi la garanzia, per tali finanziamenti deve essere previsto il rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall’erogazione e gli stessi, in aggiunta, non devono avere una durata superiore ai 72 mesi.
È stata oggetto di conferma la previsione circa l’automaticità e gratuità dell’intervento, previa verifica del possesso dei requisiti richiesti, senza alcuna valutazione preventiva di merito del soggetto beneficiario.
In conclusione – sottolineando come il reale successo di tale misura sarà determinato dalla capacità dell’intero sistema creditizio di elaborare con celerità le numerosissime domande presentate e di fornire una rapida risposta alle imprese in difficoltà – si aggiunge che, all’art. 1 del Decreto ‘Liquidità’, è stata introdotta un’ulteriore misura di sostegno, avente carattere sussidiario, rappresentata dalla Garanzia SACE per le grandi imprese, le PMI e i professionisti che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia.
Moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
2020
La moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
Il Governo italiano, nel suo affannoso tentativo di arginare le drammatiche conseguenze che la diffusione pandemica del Coronavirus determinerà anche nel nostro Paese, ha dato vita ad una copiosa produzione normativa con la previsione – tra le altre misure – di varie forme di sostegno economico al sistema produttivo.
Da questo punto di vista, risulta imprescindibile tutelare le cd. ‘PMI’ (Piccole e medie imprese) che, considerata la loro rilevanza economica e capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, costituiscono la componente fondamentale del sistema economico italiano e la cui scomparsa determinerebbe incalcolabili danni e ricadute su tutti gli altri settori, cui sarebbe impossibile porre rimedio.
Per evitare un simile scenario, all’interno del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, il Governo all’art. 56 ha previsto una norma contenente “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”.
Viene così introdotta quella che può essere considerata una – seppur limitata – boccata d’ossigeno per le imprese di minor dimensione operanti in tutti i settori ed aventi sede in Italia.
Tale strumento rientra tra quegli interventi definibili come Aiuti di Stato consentiti dall’art. 107 TFUE, in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, in quanto diretto a porre rimedio ai danni causati da un simile evento eccezionale comportante un grave turbamento all’economia.
Si tratta, a ben vedere, di una moratoria sui prestiti concessi dalle Banche e dagli altri Intermediari Finanziari alle micro, piccole e medie imprese così come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE e cioè quelle con un numero di occupati inferiore alle 250 unità e con un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro, ovvero il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
Come precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’interno di questa previsione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi titolari di partita Iva.
Più nel dettaglio, la misura di sostegno finanziario contenuta nel co. 2, lett. c) dell’art. 56 consiste nella possibilità di ottenere, per mutui e altri finanziamenti a rimborso rateale, che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre del 2020 venga sospeso sino a tale data. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione verrà, pertanto, dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Presupposto necessario per poter beneficiare di tale previsione – oltre a quello relativo alla solvibilità dell’impresa, che non deve presentare esposizioni debitorie classificate come deteriorate – è quello della presentazione di una comunicazione contenente: l’indicazione del finanziamento per il quale è richiesta la moratoria, i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, la dichiarazione con la quale si autocertifica, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, con la consapevolezza delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci.
Tali comunicazioni, che possono essere presentate dalle imprese dal 17 marzo 2020, possono essere inviate anche tramite PEC o con altri sistemi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.
Lo strumento in esame, trattandosi di moratoria ad ampio spettro di applicazione e concepita in risposta al Covid-19, consente di evitare il processo che – viste le modifiche apportate al contratto originale della linea di credito – potrebbe condurre ad una classificazione a forbearance del finanziamento. Tale circostanza è stata confermata anche dall’EBA nelle sue linee guida del 2 aprile 2020, nelle quali si specifica che “l’applicazione della moratoria generale di pagamento di per sé non dovrebbe indurre a riclassificare un’esposizione come «forborne» (sia essa deteriorata o non deteriorata), a meno che non sia già stata classificata come «forborne» al momento dell’applicazione della moratoria”. Conseguenza è quella per cui potrà ricorrere a tale strumento anche l’impresa – in bonis – che abbia comunque ottenuto misure di sospensione o ristrutturazione dello stesso finanziamento nell’arco dei 24 mesi precedenti.
Nulla esclude, come per altro si sta già verificando, che i singoli istituti di credito possano, nel rispetto dei requisiti indicati dall’art. 56 del decreto, adottare previsioni maggiormente favorevoli per l’impresa, come potrebbe essere quella relativa al periodo di sospensione dei pagamenti, avendo riguardo al comportamento e alla situazione riguardante il debitore prima dell’esplosione della pandemia.
In attesa della conversione del decreto che, ai sensi dell’art. 77 Cost., deve avvenire entro 60 giorni dalla sua pubblicazione - oltre a porre particolare attenzione agli emendamenti che verranno presentati in tale occasione e che potrebbero condurre all’eliminazione dei requisiti dimensionali e di fatturato delle imprese per beneficiare della moratoria - è consigliabile per quelle attualmente escluse dalla norma – e cioè quelle in bonis di grandi dimensioni nonché quelle classificate come deteriorate – prendere contatti con i singoli istituti di credito per valutare l’adozione di misure analoghe.
Il diritto di famiglia al tempo del coronavirus
2020
L'Avvocato Stella intervistata da Il Dubbio
2020
presso Udine
Intervista all'Avvocato Alessandra Stella su Il Dubbio.
Intelligenza artificiale e giustizia, ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
2020
presso Udine
Assemblea dei legali del triveneto domani a Padova. Tra gli argomenti toccati ci saranno anche le implicazioni legate all’utilizzo degli algoritmi nella amministrazione della giustizia
AVVOCATI: Intelligenza artificiale e giustizia,
ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
Stella: “La giustizia predittiva è dietro l’angolo. Occorre essere pronti: in America si utilizza nel penale; in Estonia nelle cause risarcitorie. In Italia è già realtà in alcuni studi di Roma e Milano”
Padova 21 febbraio 2020 – 13 luglio 2016, Wisconsin (USA): la Suprema Corte conferma la sentenza pronunciata dal Tribunale circondariale di La Crosse, il quale aveva condannato Eric L. Loomis per ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Un caso che non presentava nulla di particolarmente rilevante, senonché il giudice di primo grado si era avvalso del programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), i cui algoritmi avevano calcolato come Loomis avesse un'elevata probabilità di recidiva.
L’Intelligenza Artificiale (in breve AI) consiste, in estrema sintesi, nel far riprodurre a strumenti robotici, attraverso calcoli e algoritmi, capacità e attività cognitive proprie dell’essere umano. La vita di ogni giorno ci offre esempi molto semplici: i traduttori automatici, i sistemi di riconoscimento facciale, i veicoli a guida autonoma. L’Intelligenza Artificiale è una realtà attuale, non più appartenente ad un futuro distopico, ed è oramai prossima ad abbracciare ogni ambito della società, tra cui – come dimostra il caso Looming – anche quello della giustizia. Altro esempio emblematico è quello dell’Estonia, dove si utilizza, in via sperimentale, un algoritmo per risolvere controversie con valore inferiore ai 7mila euro.
“Questa vicenda processuale – spiega la Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati Alessandra Stella, parlando del caso Looming – rappresenta il punto centrale della cosiddetta giustizia predittiva, che consiste nella possibilità di anticipare, tramite algoritmi commerciali, il probabile ragionamento del giudice e quindi la possibile sentenza. In pratica si predice la soluzione perché già a monte si sa che il giudice, quando andrà a decidere la questione, lo farà in un determinato modo. Non si tratta di un futuro lontano, ma di una realtà attuale anche in Italia. A Milano gli algoritmi sono già realtà in alcuni studi legali che li utilizzano per redigere, ad esempio, decreti ingiuntivi che vengono elaborati in pochi minuti senza richiedere tutta quella attività, molto più impegnativa, che viene affidata tradizionalmente al collaboratore di studio”.
I vantaggi e le semplificazioni che ne deriverebbero si possono facilmente immaginare; si pensi alle cosiddette “due diligence”, cioè l'attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all'oggetto di una trattativa finalizzata a valutare la convenienza di un affare. “Addirittura – spiega l’avv. Stella – se queste attività sono poste in essere dall'uomo hanno un margine di errore superiore rispetto al software il cui tasso di fallibilità è dello 0,2%. Praticamente perfetto. Ora, il sistema americano pare orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale. In Italia dobbiamo invece capire per tempo quali prospettive si aprano nell’organizzazione del lavoro dello studio o nella ordinaria attività degli uffici giudiziari. Da noi, del resto, le sentenze non hanno lo stesso valore che hanno nel sistema anglosassone dove costituiscono un precedente vincolante”.
Se non mancano i potenziali aspetti positivi della giustizia predittiva, lo stesso deve dirsi per dubbi e interrogativi: tra tutti, la garanzia della trasparenza del processo logico-decisionale applicato dal programma. Se è necessario poter leggere la motivazione di una sentenza pronunciata da un giudice “umano”, tale necessità si sentirà maggiormente per il caso in cui ad emettere la sentenza sia un giudice “robotico”. Per quanto il software potrà essere scritto seguendo criteri di traslazione in linguaggio matematico dei principi giuridici, trasformati in formule o algoritmi, sarà imprescindibile garantire la verifica dei passaggi tecnici: oltre, quindi, alla motivazione in sé, dovrà essere oggetto di verifica anche il procedimento informatico che ha portato alla motivazione stessa.
All’avvocato Stella fa eco il Presidente degli avvocati di Padova Leonardo Arnau: “Come funziona la giustizia predittiva? Prendiamo ad esempio una separazione tra coniugi: inseriamo nel programma i dati dei clienti, la consistenza del patrimonio, i dati sulla composizione del nucleo familiare, il tenore di vita, le abitudini di vita e l'algoritmo determina se sia dovuto e a quanto ammonti l'assegno di mantenimento, e come va diviso il patrimonio. Lo stesso per il penale: si inseriscono i precedenti, il tipo di personalità, e in ragione della giurisprudenza pregressa l'algoritmo determina la decisione”.
Ed ancora l’Avv. Stella: “Come avvocati non posso nascondere che c’è preoccupazione perché c'è un modo evidentemente differente di svolgere la professione e se queste nuove prospettive non vengono guidate correttamente, potrebbero incidere significativamente”.
Un punto di partenza potrebbe essere la Carta etica europea sull’uso dell’IA nei sistemi giudiziari e il loro ambiente, pubblicata dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa. La Carta etica europea, oltre ad incoraggiare l’uso di strumenti e servizi di IA per migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia, enuncia cinque principi ai quali ci si dovrà attenere: 1) principio di rispetto dei diritti fondamentali, 2) principio di non discriminazione, 3) principio di qualità e sicurezza, 4) principio di trasparenza, imparzialità ed equità e 5) principio “sotto il controllo dell’utente”.
Anche di questo si parlerà domani a Padova in occasione dell’Assemblea degli Avvocati del Triveneto. L’appuntamento è fissato per
Sabato 22 febbraio 2020 alle ore
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Interverranno tra gli altri:
Alessandra Stella - Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati
Leonardo Arnau – Presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova
La presenza di un giornalista della vostra testata sarà particolarmente gradita
Ufficio Stampa assemblea: Carlo Saccon Tel 3282170266
Cormons, assemblea dell'unione Triveneta dei consigli dell'ordine degli avvocati
2019
Link al video del TGR FVG, edizione delle 19:30 del 16 Settembre 2019. L'intervento parte dal minuto 15:20.
“Giustizia e diritti, programmi per l’Europa a confronto”
2019
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Di riforma in riforma”
2019
presso Padova
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Società tra avvocati, una vantaggiosa alternativa allo studio legale associato? Aspetti giuridici, fiscali, previdenziali e deontologici”
2019
presso Pordenone
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Quando i robot apriranno lo studio, Robot e Intelligenza artificiale al servizio del libero professionista”
2019
presso Vicenza
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“I profili personali e patrimoniali nella crisi di famiglia. Evoluzione giurisprudenziale”
2018
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
Le locazioni commerciali al tempo del Coronavirus
2020
Le locazioni commerciali ai tempi del coronavirus
L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus sta generando una grave crisi economica in quasi tutti i settori produttivi del Paese. I provvedimenti fortemente restrittivi hanno interessato la maggioranza delle attività commerciali le quali, impossibilitate a conseguire proventi, stanno affrontando il problema del pagamento dei canoni di locazione. Proprio in questo ambito, gli istituti tradizionali del nostro ordinamento giuridico stanno dimostrando la loro inadeguatezza nel fornire risposte utili ad affrontare la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Il Governo italiano, a far data dai primi provvedimenti adottati per fronteggiare il diffondersi del virus, ha suddiviso le attività produttive e gli esercizi commerciali in due categorie, a seconda della loro ‘essenzialità’ o meno.
Nel contesto emergenziale, tuttavia, sia i gestori delle attività consentite, così come di quelle sospese, stanno fronteggiando il problema relativo al pagamento dei canoni di locazione, principale obbligazione del conduttore.
Da questo punto di vista, le previsioni contenute nella normativa adottata in questi difficili giorni sono pressoché inesistenti ove si consideri che l’unica norma espressamente prevista è quella contenuta nell’art. 65 del D.L. 18/2020, riguardante esclusivamente le attività sospese con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020.
Tale norma prevede un bonus di carattere fiscale consistente in un credito di imposta a favore dei conduttori titolari di attività economiche che siano state sospese in quanto non essenziali. Più nel dettaglio, la misura – un credito di imposta pari al 60 % dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 – potrà essere utilizzata in compensazione con le imposte dovute, esclusivamente dagli intestatari di contratti di locazione di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
La misura di cui si discute, evidentemente, opera solamente a favore delle imprese che, nonostante le difficoltà, siano state in grado di pagare il canone di locazione. Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in assenza di pagamento non è possibile utilizzare il bonus.
L’introduzione del credito di imposta, seppur utile, non risolve tuttavia il problema della carenza di liquidità che le imprese stanno affrontando in quanto, se da un lato non potrà essere utilizzato in compensazione dalle attività non soggette agli obblighi di chiusura – le quali, comunque, potrebbero subire una riduzione del fatturato – dall’altro si rivela utile solo allorquando il conduttore sia stato effettivamente in grado di pagare il canone.
A ben vedere, il problema si pone a monte, e cioè nel momento in cui per il conduttore risulti impossibile adempiere – totalmente o parzialmente – alla propria obbligazione.
Il tema, pertanto, è quello di analizzare eventuali rimedi previsti in via generale dall’ordinamento giuridico, posto che, sicuramente, nei contratti di locazione stipulati ante coronavirus le parti non hanno previsto specifiche clausole contemplanti i comportamenti da tenere in fase di emergenza epidemiologica.
In termini generali, il contratto di locazione è l’accordo in virtù del quale il locatore si impegna a concedere al conduttore il godimento di una cosa, mobile o immobile, per un periodo di tempo determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, detto canone. L’obbligazione principale del conduttore è quella di pagare il canone nei termini convenuti, quella del locatore consiste nel mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto.
A ben vedere, i provvedimenti adottati a seguito della diffusione del coronavirus hanno avuto conseguenze riguardo alle obbligazioni di entrambe le parti del contratto.
Da un lato, infatti, la sospensione di moltissime attività ha avuto riflessi sulla capacità dei conduttori di far fronte alla propria obbligazione, consistente nel pagamento del canone.
Evidentemente, se una attività è stata sospesa, soprattutto quando di piccole dimensioni, il gestore/locatario potrebbe non disporre della liquidità necessaria.
Da questo punto di vista, sono almeno due gli istituti cui fare riferimento; vediamoli nel dettaglio.
Innanzitutto, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 1256 c.c. sostenendo l’impossibilità della sua prestazione, per causa ad esso non imputabile. Tuttavia, mentre può ritenersi corretto interpretare i provvedimenti dell’autorità amministrativa quali cause di impossibilità oggettiva, risulta più arduo configurare l’obbligazione del conduttore come impossibile materialmente. Il pagamento del canone, infatti, diversamente dalle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di genere limitato, non può dirsi mai oggettivamente impossibile.
L’altro istituto cui rivolgere l’attenzione è quello della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, previsto ex art. 1467 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Effettivamente, a causa della chiusura dei locali, il pagamento del corrispettivo potrebbe diventare eccessivamente oneroso. In tal caso, la norma riconosce al locatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto. Il terzo comma dell’art. 1467 c.c., tuttavia, in un’ottica manutentiva, consente al locatore di bilanciare nuovamente il sinallagma contrattuale proponendo una modifica equitativa del contratto, riducendo l’ammontare del canone. Si badi che, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa non ha diritto di sospendere unilateralmente il pagamento, dovendo invece agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
In aggiunta, a tutela del conduttore inadempiente è stata prevista una specifica norma ad opera della decretazione d’urgenza. Il riferimento è al comma 6 bis aggiunto all’art. 3 del D.L. 6/2020 con il D.L. ‘Cura Italia’. Tale previsione, considerando le inevitabili difficoltà che la diffusione del virus e i provvedimenti ad esso collegati avrebbe determinato nella regolare esecuzione dei contratti, sancisce – in maniera probabilmente ridondante – che ‘il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti’. In tal modo, il locatore potrebbe vedersi paralizzare la richiesta di risarcimento del danno arrecato dal conduttore a causa dell’inadempimento della sua obbligazione. La norma non contiene una presunzione per cui il rispetto delle misure previste dal Governo possa mandare esente il conduttore da responsabilità, bensì prescrive che il Giudice debba valutare l’esclusione della responsabilità del debitore, valutando di volta in volta le situazioni e comparando i diversi interessi in gioco.
Se si rivolge, invece, l’attenzione al locatore ed alla sua obbligazione, ecco che torna ad assumere rilevanza il tema della impossibilità della prestazione. Egli, infatti, si obbliga a mettere a disposizione del conduttore l’immobile non per un generico godimento, bensì per un utilizzo specifico consistente nello svolgimento di una determinata attività. Attività che, a causa dei provvedimenti adottati per favorire la regressione del virus, non può svolgersi. Sarebbe il locatore, pertanto, a non essere in grado di adempiere alla propria obbligazione. Il conduttore, infatti, pur avendo la materiale disponibilità della cosa, non può goderne - per tutto il periodo di vigenza del divieto - per lo svolgimento della specifica attività per cui aveva scelto di stipulare il contratto. Si determinerebbe, quindi, una impossibilità parziale della prestazione del locatore che legittimerebbe, conseguentemente, il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 c.c., a domandare una riduzione della prestazione da esso dovuta, ove non sia intenzionato a recedere dal contratto.
Gli istituti generali sin qui presi in considerazione hanno tutti la comune caratteristica di essere diretti alla risoluzione del contratto, fatta eccezione per la facoltà prevista in capo al creditore, nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, di evitare la caducazione del contratto proponendo una sua modifica.
Si deve però considerare che, nella situazione economica che stiamo attraversando, difficilmente le parti del contratto, non appena una della due risulti inadempiente, vorranno sciogliere il contratto, opzione che, invece, dovrebbe essere considerata quale extrema ratio.
Per entrambe le parti è più vantaggioso mantenere in vita il contratto. Se, infatti, per il locatore è innegabile che, ottenuto lo scioglimento del contratto, in questo momento difficilmente sarebbe in grado di individuare un nuovo conduttore, è altrettanto vero che anche il conduttore sarà interessato a far sopravvivere il contratto, nella speranza che – terminata la situazione di emergenza – sarà possibile riprendere nuovamente la propria attività.
Ecco quindi che, per soddisfare al meglio gli interessi delle parti ed evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale, il rimedio più adatto è rappresentato dal ricorso ai principi generali della correttezza e della buona fede. La parte colpita dagli effetti pregiudizievoli dell’emergenza sanitaria potrà chiedere alla propria controparte di rinegoziare i termini del contratto, prevedendo la sospensione del pagamento del canone oppure una sua riduzione, facendo appello ai summenzionati principi che trovano necessariamente applicazione in tutte le fasi della vicenda contrattuale. Corrispondentemente, in capo all’altra parte sussisterebbe un obbligo – fondato sui medesimi doveri, oltre che sul generale principio di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost. – di acconsentire alla rinegoziazione, accettando le modifiche proposte o proponendo delle nuove soluzioni che consentano di ristabilire l’equilibrio del rapporto contrattuale.
In conclusione, non si può non sottolineare come la situazione sia caratterizzata da assoluta ed inedita eccezionalità per fronteggiare la quale si reputa opportuno l’intervento del legislatore volto a disciplinare in modo specifico le fattispecie che si stanno venendo a creare e che, inevitabilmente, si creeranno.
In un’ottica disincentivante del ricorso all’Autorità giudiziaria, a mero titolo esemplificativo, potrebbe essere predeterminata una ripartizione tra il locatore e il conduttore dei costi causati dalla sospensione delle attività commerciali, nonché la previsione dell’incentivazione a raggiungere un accordo bonario tra le medesime parti, prevedendo degli sgravi fiscali.
PMI: prestiti fino a € 25.000,00 garantiti dallo stato
2020
PMI: prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato
Per assicurare la continuità dell’attività delle imprese, degli artigiani, dei lavoratori autonomi e dei professionisti in questa fase di emergenza sanitaria, il Consiglio dei Ministri ha individuato due forme di intervento complementari.
Si tratta della moratoria sui prestiti e dell’intervento del Fondo di garanzia per le PMI, entrambi previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” n. 17/2020.
Mentre la prima misura non è stata interessata dalle norme contenute nel D.L. 23/2020, le declinazioni dell’attività del Fondo Centrale di Garanzia hanno subito rilevanti modifiche ad opera Decreto ‘Liquidità’ riguardanti i massimali previsti, le percentuali di copertura, i requisiti soggettivi e i termini di accesso alla misura.
In generale, l’attività del Fondo di Garanzia consiste in un’agevolazione prevista dal Ministero dello Sviluppo economico che può essere attivata a fronte di finanziamenti erogati da Banche o altri intermediari finanziari e che non interviene direttamente nel rapporto tra Banca e Cliente, bensì sostituisce le onerose garanzie richieste per ottenere un finanziamento con la garanzia pubblica.
L’art. 13 del Decreto ‘Liquidità’, abrogando espressamente l’art. 49 del D.L. 17/2020, ne ha mantenuto l’impianto prevedendo quanto segue:
proroga dei termini di accesso alla misura sino al 31 dicembre 2020;
gratuità della concessione della garanzia;
incremento dei massimali di copertura sino all’importo di € 5 milioni per singola impresa;
estensione della platea dei soggetti beneficiari alle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 unità;
nonché, alla lett. m) del co. 1, una specifica misura di concessione di garanzia sui nuovi finanziamenti erogati dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore delle piccole e medie imprese come pure di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività è stata danneggiata dall’emergenza da COVID-19, come da autocertificazione.
Tale misura, cui si accede secondo un iter procedurale semplificato, consiste – previa autorizzazione della Commissione Europea ex art. 108 TFUE – in una garanzia pari al 100% dell’importo erogato, somma che non può superare il 25 % dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario e, in ogni caso, non può essere superiore a 25.000 euro. I ricavi sono quelli risultanti dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da “altra idonea documentazione”, anche mediante autocertificazione. Per gli esercenti arti e professioni, diversamente, il termine ‘ricavi’ dovrà essere considerato nell’accezione di ‘compensi’ riferiti all’anno d’imposta 2018.
Affinché operi la garanzia, per tali finanziamenti deve essere previsto il rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall’erogazione e gli stessi, in aggiunta, non devono avere una durata superiore ai 72 mesi.
È stata oggetto di conferma la previsione circa l’automaticità e gratuità dell’intervento, previa verifica del possesso dei requisiti richiesti, senza alcuna valutazione preventiva di merito del soggetto beneficiario.
In conclusione – sottolineando come il reale successo di tale misura sarà determinato dalla capacità dell’intero sistema creditizio di elaborare con celerità le numerosissime domande presentate e di fornire una rapida risposta alle imprese in difficoltà – si aggiunge che, all’art. 1 del Decreto ‘Liquidità’, è stata introdotta un’ulteriore misura di sostegno, avente carattere sussidiario, rappresentata dalla Garanzia SACE per le grandi imprese, le PMI e i professionisti che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia.
Moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
2020
La moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
Il Governo italiano, nel suo affannoso tentativo di arginare le drammatiche conseguenze che la diffusione pandemica del Coronavirus determinerà anche nel nostro Paese, ha dato vita ad una copiosa produzione normativa con la previsione – tra le altre misure – di varie forme di sostegno economico al sistema produttivo.
Da questo punto di vista, risulta imprescindibile tutelare le cd. ‘PMI’ (Piccole e medie imprese) che, considerata la loro rilevanza economica e capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, costituiscono la componente fondamentale del sistema economico italiano e la cui scomparsa determinerebbe incalcolabili danni e ricadute su tutti gli altri settori, cui sarebbe impossibile porre rimedio.
Per evitare un simile scenario, all’interno del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, il Governo all’art. 56 ha previsto una norma contenente “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”.
Viene così introdotta quella che può essere considerata una – seppur limitata – boccata d’ossigeno per le imprese di minor dimensione operanti in tutti i settori ed aventi sede in Italia.
Tale strumento rientra tra quegli interventi definibili come Aiuti di Stato consentiti dall’art. 107 TFUE, in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, in quanto diretto a porre rimedio ai danni causati da un simile evento eccezionale comportante un grave turbamento all’economia.
Si tratta, a ben vedere, di una moratoria sui prestiti concessi dalle Banche e dagli altri Intermediari Finanziari alle micro, piccole e medie imprese così come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE e cioè quelle con un numero di occupati inferiore alle 250 unità e con un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro, ovvero il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
Come precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’interno di questa previsione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi titolari di partita Iva.
Più nel dettaglio, la misura di sostegno finanziario contenuta nel co. 2, lett. c) dell’art. 56 consiste nella possibilità di ottenere, per mutui e altri finanziamenti a rimborso rateale, che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre del 2020 venga sospeso sino a tale data. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione verrà, pertanto, dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Presupposto necessario per poter beneficiare di tale previsione – oltre a quello relativo alla solvibilità dell’impresa, che non deve presentare esposizioni debitorie classificate come deteriorate – è quello della presentazione di una comunicazione contenente: l’indicazione del finanziamento per il quale è richiesta la moratoria, i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, la dichiarazione con la quale si autocertifica, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, con la consapevolezza delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci.
Tali comunicazioni, che possono essere presentate dalle imprese dal 17 marzo 2020, possono essere inviate anche tramite PEC o con altri sistemi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.
Lo strumento in esame, trattandosi di moratoria ad ampio spettro di applicazione e concepita in risposta al Covid-19, consente di evitare il processo che – viste le modifiche apportate al contratto originale della linea di credito – potrebbe condurre ad una classificazione a forbearance del finanziamento. Tale circostanza è stata confermata anche dall’EBA nelle sue linee guida del 2 aprile 2020, nelle quali si specifica che “l’applicazione della moratoria generale di pagamento di per sé non dovrebbe indurre a riclassificare un’esposizione come «forborne» (sia essa deteriorata o non deteriorata), a meno che non sia già stata classificata come «forborne» al momento dell’applicazione della moratoria”. Conseguenza è quella per cui potrà ricorrere a tale strumento anche l’impresa – in bonis – che abbia comunque ottenuto misure di sospensione o ristrutturazione dello stesso finanziamento nell’arco dei 24 mesi precedenti.
Nulla esclude, come per altro si sta già verificando, che i singoli istituti di credito possano, nel rispetto dei requisiti indicati dall’art. 56 del decreto, adottare previsioni maggiormente favorevoli per l’impresa, come potrebbe essere quella relativa al periodo di sospensione dei pagamenti, avendo riguardo al comportamento e alla situazione riguardante il debitore prima dell’esplosione della pandemia.
In attesa della conversione del decreto che, ai sensi dell’art. 77 Cost., deve avvenire entro 60 giorni dalla sua pubblicazione - oltre a porre particolare attenzione agli emendamenti che verranno presentati in tale occasione e che potrebbero condurre all’eliminazione dei requisiti dimensionali e di fatturato delle imprese per beneficiare della moratoria - è consigliabile per quelle attualmente escluse dalla norma – e cioè quelle in bonis di grandi dimensioni nonché quelle classificate come deteriorate – prendere contatti con i singoli istituti di credito per valutare l’adozione di misure analoghe.
Il diritto di famiglia al tempo del coronavirus
2020
L'Avvocato Stella intervistata da Il Dubbio
2020
presso Udine
Intervista all'Avvocato Alessandra Stella su Il Dubbio.
Intelligenza artificiale e giustizia, ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
2020
presso Udine
Assemblea dei legali del triveneto domani a Padova. Tra gli argomenti toccati ci saranno anche le implicazioni legate all’utilizzo degli algoritmi nella amministrazione della giustizia
AVVOCATI: Intelligenza artificiale e giustizia,
ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
Stella: “La giustizia predittiva è dietro l’angolo. Occorre essere pronti: in America si utilizza nel penale; in Estonia nelle cause risarcitorie. In Italia è già realtà in alcuni studi di Roma e Milano”
Padova 21 febbraio 2020 – 13 luglio 2016, Wisconsin (USA): la Suprema Corte conferma la sentenza pronunciata dal Tribunale circondariale di La Crosse, il quale aveva condannato Eric L. Loomis per ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Un caso che non presentava nulla di particolarmente rilevante, senonché il giudice di primo grado si era avvalso del programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), i cui algoritmi avevano calcolato come Loomis avesse un'elevata probabilità di recidiva.
L’Intelligenza Artificiale (in breve AI) consiste, in estrema sintesi, nel far riprodurre a strumenti robotici, attraverso calcoli e algoritmi, capacità e attività cognitive proprie dell’essere umano. La vita di ogni giorno ci offre esempi molto semplici: i traduttori automatici, i sistemi di riconoscimento facciale, i veicoli a guida autonoma. L’Intelligenza Artificiale è una realtà attuale, non più appartenente ad un futuro distopico, ed è oramai prossima ad abbracciare ogni ambito della società, tra cui – come dimostra il caso Looming – anche quello della giustizia. Altro esempio emblematico è quello dell’Estonia, dove si utilizza, in via sperimentale, un algoritmo per risolvere controversie con valore inferiore ai 7mila euro.
“Questa vicenda processuale – spiega la Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati Alessandra Stella, parlando del caso Looming – rappresenta il punto centrale della cosiddetta giustizia predittiva, che consiste nella possibilità di anticipare, tramite algoritmi commerciali, il probabile ragionamento del giudice e quindi la possibile sentenza. In pratica si predice la soluzione perché già a monte si sa che il giudice, quando andrà a decidere la questione, lo farà in un determinato modo. Non si tratta di un futuro lontano, ma di una realtà attuale anche in Italia. A Milano gli algoritmi sono già realtà in alcuni studi legali che li utilizzano per redigere, ad esempio, decreti ingiuntivi che vengono elaborati in pochi minuti senza richiedere tutta quella attività, molto più impegnativa, che viene affidata tradizionalmente al collaboratore di studio”.
I vantaggi e le semplificazioni che ne deriverebbero si possono facilmente immaginare; si pensi alle cosiddette “due diligence”, cioè l'attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all'oggetto di una trattativa finalizzata a valutare la convenienza di un affare. “Addirittura – spiega l’avv. Stella – se queste attività sono poste in essere dall'uomo hanno un margine di errore superiore rispetto al software il cui tasso di fallibilità è dello 0,2%. Praticamente perfetto. Ora, il sistema americano pare orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale. In Italia dobbiamo invece capire per tempo quali prospettive si aprano nell’organizzazione del lavoro dello studio o nella ordinaria attività degli uffici giudiziari. Da noi, del resto, le sentenze non hanno lo stesso valore che hanno nel sistema anglosassone dove costituiscono un precedente vincolante”.
Se non mancano i potenziali aspetti positivi della giustizia predittiva, lo stesso deve dirsi per dubbi e interrogativi: tra tutti, la garanzia della trasparenza del processo logico-decisionale applicato dal programma. Se è necessario poter leggere la motivazione di una sentenza pronunciata da un giudice “umano”, tale necessità si sentirà maggiormente per il caso in cui ad emettere la sentenza sia un giudice “robotico”. Per quanto il software potrà essere scritto seguendo criteri di traslazione in linguaggio matematico dei principi giuridici, trasformati in formule o algoritmi, sarà imprescindibile garantire la verifica dei passaggi tecnici: oltre, quindi, alla motivazione in sé, dovrà essere oggetto di verifica anche il procedimento informatico che ha portato alla motivazione stessa.
All’avvocato Stella fa eco il Presidente degli avvocati di Padova Leonardo Arnau: “Come funziona la giustizia predittiva? Prendiamo ad esempio una separazione tra coniugi: inseriamo nel programma i dati dei clienti, la consistenza del patrimonio, i dati sulla composizione del nucleo familiare, il tenore di vita, le abitudini di vita e l'algoritmo determina se sia dovuto e a quanto ammonti l'assegno di mantenimento, e come va diviso il patrimonio. Lo stesso per il penale: si inseriscono i precedenti, il tipo di personalità, e in ragione della giurisprudenza pregressa l'algoritmo determina la decisione”.
Ed ancora l’Avv. Stella: “Come avvocati non posso nascondere che c’è preoccupazione perché c'è un modo evidentemente differente di svolgere la professione e se queste nuove prospettive non vengono guidate correttamente, potrebbero incidere significativamente”.
Un punto di partenza potrebbe essere la Carta etica europea sull’uso dell’IA nei sistemi giudiziari e il loro ambiente, pubblicata dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa. La Carta etica europea, oltre ad incoraggiare l’uso di strumenti e servizi di IA per migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia, enuncia cinque principi ai quali ci si dovrà attenere: 1) principio di rispetto dei diritti fondamentali, 2) principio di non discriminazione, 3) principio di qualità e sicurezza, 4) principio di trasparenza, imparzialità ed equità e 5) principio “sotto il controllo dell’utente”.
Anche di questo si parlerà domani a Padova in occasione dell’Assemblea degli Avvocati del Triveneto. L’appuntamento è fissato per
Sabato 22 febbraio 2020 alle ore
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Interverranno tra gli altri:
Alessandra Stella - Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati
Leonardo Arnau – Presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova
La presenza di un giornalista della vostra testata sarà particolarmente gradita
Ufficio Stampa assemblea: Carlo Saccon Tel 3282170266
Cormons, assemblea dell'unione Triveneta dei consigli dell'ordine degli avvocati
2019
Link al video del TGR FVG, edizione delle 19:30 del 16 Settembre 2019. L'intervento parte dal minuto 15:20.
“Giustizia e diritti, programmi per l’Europa a confronto”
2019
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Di riforma in riforma”
2019
presso Padova
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Società tra avvocati, una vantaggiosa alternativa allo studio legale associato? Aspetti giuridici, fiscali, previdenziali e deontologici”
2019
presso Pordenone
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Quando i robot apriranno lo studio, Robot e Intelligenza artificiale al servizio del libero professionista”
2019
presso Vicenza
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“I profili personali e patrimoniali nella crisi di famiglia. Evoluzione giurisprudenziale”
2018
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
Le locazioni commerciali al tempo del Coronavirus
2020
Le locazioni commerciali ai tempi del coronavirus
L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus sta generando una grave crisi economica in quasi tutti i settori produttivi del Paese. I provvedimenti fortemente restrittivi hanno interessato la maggioranza delle attività commerciali le quali, impossibilitate a conseguire proventi, stanno affrontando il problema del pagamento dei canoni di locazione. Proprio in questo ambito, gli istituti tradizionali del nostro ordinamento giuridico stanno dimostrando la loro inadeguatezza nel fornire risposte utili ad affrontare la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Il Governo italiano, a far data dai primi provvedimenti adottati per fronteggiare il diffondersi del virus, ha suddiviso le attività produttive e gli esercizi commerciali in due categorie, a seconda della loro ‘essenzialità’ o meno.
Nel contesto emergenziale, tuttavia, sia i gestori delle attività consentite, così come di quelle sospese, stanno fronteggiando il problema relativo al pagamento dei canoni di locazione, principale obbligazione del conduttore.
Da questo punto di vista, le previsioni contenute nella normativa adottata in questi difficili giorni sono pressoché inesistenti ove si consideri che l’unica norma espressamente prevista è quella contenuta nell’art. 65 del D.L. 18/2020, riguardante esclusivamente le attività sospese con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020.
Tale norma prevede un bonus di carattere fiscale consistente in un credito di imposta a favore dei conduttori titolari di attività economiche che siano state sospese in quanto non essenziali. Più nel dettaglio, la misura – un credito di imposta pari al 60 % dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 – potrà essere utilizzata in compensazione con le imposte dovute, esclusivamente dagli intestatari di contratti di locazione di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
La misura di cui si discute, evidentemente, opera solamente a favore delle imprese che, nonostante le difficoltà, siano state in grado di pagare il canone di locazione. Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in assenza di pagamento non è possibile utilizzare il bonus.
L’introduzione del credito di imposta, seppur utile, non risolve tuttavia il problema della carenza di liquidità che le imprese stanno affrontando in quanto, se da un lato non potrà essere utilizzato in compensazione dalle attività non soggette agli obblighi di chiusura – le quali, comunque, potrebbero subire una riduzione del fatturato – dall’altro si rivela utile solo allorquando il conduttore sia stato effettivamente in grado di pagare il canone.
A ben vedere, il problema si pone a monte, e cioè nel momento in cui per il conduttore risulti impossibile adempiere – totalmente o parzialmente – alla propria obbligazione.
Il tema, pertanto, è quello di analizzare eventuali rimedi previsti in via generale dall’ordinamento giuridico, posto che, sicuramente, nei contratti di locazione stipulati ante coronavirus le parti non hanno previsto specifiche clausole contemplanti i comportamenti da tenere in fase di emergenza epidemiologica.
In termini generali, il contratto di locazione è l’accordo in virtù del quale il locatore si impegna a concedere al conduttore il godimento di una cosa, mobile o immobile, per un periodo di tempo determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, detto canone. L’obbligazione principale del conduttore è quella di pagare il canone nei termini convenuti, quella del locatore consiste nel mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto.
A ben vedere, i provvedimenti adottati a seguito della diffusione del coronavirus hanno avuto conseguenze riguardo alle obbligazioni di entrambe le parti del contratto.
Da un lato, infatti, la sospensione di moltissime attività ha avuto riflessi sulla capacità dei conduttori di far fronte alla propria obbligazione, consistente nel pagamento del canone.
Evidentemente, se una attività è stata sospesa, soprattutto quando di piccole dimensioni, il gestore/locatario potrebbe non disporre della liquidità necessaria.
Da questo punto di vista, sono almeno due gli istituti cui fare riferimento; vediamoli nel dettaglio.
Innanzitutto, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 1256 c.c. sostenendo l’impossibilità della sua prestazione, per causa ad esso non imputabile. Tuttavia, mentre può ritenersi corretto interpretare i provvedimenti dell’autorità amministrativa quali cause di impossibilità oggettiva, risulta più arduo configurare l’obbligazione del conduttore come impossibile materialmente. Il pagamento del canone, infatti, diversamente dalle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di genere limitato, non può dirsi mai oggettivamente impossibile.
L’altro istituto cui rivolgere l’attenzione è quello della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, previsto ex art. 1467 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Effettivamente, a causa della chiusura dei locali, il pagamento del corrispettivo potrebbe diventare eccessivamente oneroso. In tal caso, la norma riconosce al locatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto. Il terzo comma dell’art. 1467 c.c., tuttavia, in un’ottica manutentiva, consente al locatore di bilanciare nuovamente il sinallagma contrattuale proponendo una modifica equitativa del contratto, riducendo l’ammontare del canone. Si badi che, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa non ha diritto di sospendere unilateralmente il pagamento, dovendo invece agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
In aggiunta, a tutela del conduttore inadempiente è stata prevista una specifica norma ad opera della decretazione d’urgenza. Il riferimento è al comma 6 bis aggiunto all’art. 3 del D.L. 6/2020 con il D.L. ‘Cura Italia’. Tale previsione, considerando le inevitabili difficoltà che la diffusione del virus e i provvedimenti ad esso collegati avrebbe determinato nella regolare esecuzione dei contratti, sancisce – in maniera probabilmente ridondante – che ‘il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti’. In tal modo, il locatore potrebbe vedersi paralizzare la richiesta di risarcimento del danno arrecato dal conduttore a causa dell’inadempimento della sua obbligazione. La norma non contiene una presunzione per cui il rispetto delle misure previste dal Governo possa mandare esente il conduttore da responsabilità, bensì prescrive che il Giudice debba valutare l’esclusione della responsabilità del debitore, valutando di volta in volta le situazioni e comparando i diversi interessi in gioco.
Se si rivolge, invece, l’attenzione al locatore ed alla sua obbligazione, ecco che torna ad assumere rilevanza il tema della impossibilità della prestazione. Egli, infatti, si obbliga a mettere a disposizione del conduttore l’immobile non per un generico godimento, bensì per un utilizzo specifico consistente nello svolgimento di una determinata attività. Attività che, a causa dei provvedimenti adottati per favorire la regressione del virus, non può svolgersi. Sarebbe il locatore, pertanto, a non essere in grado di adempiere alla propria obbligazione. Il conduttore, infatti, pur avendo la materiale disponibilità della cosa, non può goderne - per tutto il periodo di vigenza del divieto - per lo svolgimento della specifica attività per cui aveva scelto di stipulare il contratto. Si determinerebbe, quindi, una impossibilità parziale della prestazione del locatore che legittimerebbe, conseguentemente, il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 c.c., a domandare una riduzione della prestazione da esso dovuta, ove non sia intenzionato a recedere dal contratto.
Gli istituti generali sin qui presi in considerazione hanno tutti la comune caratteristica di essere diretti alla risoluzione del contratto, fatta eccezione per la facoltà prevista in capo al creditore, nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, di evitare la caducazione del contratto proponendo una sua modifica.
Si deve però considerare che, nella situazione economica che stiamo attraversando, difficilmente le parti del contratto, non appena una della due risulti inadempiente, vorranno sciogliere il contratto, opzione che, invece, dovrebbe essere considerata quale extrema ratio.
Per entrambe le parti è più vantaggioso mantenere in vita il contratto. Se, infatti, per il locatore è innegabile che, ottenuto lo scioglimento del contratto, in questo momento difficilmente sarebbe in grado di individuare un nuovo conduttore, è altrettanto vero che anche il conduttore sarà interessato a far sopravvivere il contratto, nella speranza che – terminata la situazione di emergenza – sarà possibile riprendere nuovamente la propria attività.
Ecco quindi che, per soddisfare al meglio gli interessi delle parti ed evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale, il rimedio più adatto è rappresentato dal ricorso ai principi generali della correttezza e della buona fede. La parte colpita dagli effetti pregiudizievoli dell’emergenza sanitaria potrà chiedere alla propria controparte di rinegoziare i termini del contratto, prevedendo la sospensione del pagamento del canone oppure una sua riduzione, facendo appello ai summenzionati principi che trovano necessariamente applicazione in tutte le fasi della vicenda contrattuale. Corrispondentemente, in capo all’altra parte sussisterebbe un obbligo – fondato sui medesimi doveri, oltre che sul generale principio di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost. – di acconsentire alla rinegoziazione, accettando le modifiche proposte o proponendo delle nuove soluzioni che consentano di ristabilire l’equilibrio del rapporto contrattuale.
In conclusione, non si può non sottolineare come la situazione sia caratterizzata da assoluta ed inedita eccezionalità per fronteggiare la quale si reputa opportuno l’intervento del legislatore volto a disciplinare in modo specifico le fattispecie che si stanno venendo a creare e che, inevitabilmente, si creeranno.
In un’ottica disincentivante del ricorso all’Autorità giudiziaria, a mero titolo esemplificativo, potrebbe essere predeterminata una ripartizione tra il locatore e il conduttore dei costi causati dalla sospensione delle attività commerciali, nonché la previsione dell’incentivazione a raggiungere un accordo bonario tra le medesime parti, prevedendo degli sgravi fiscali.
PMI: prestiti fino a € 25.000,00 garantiti dallo stato
2020
PMI: prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato
Per assicurare la continuità dell’attività delle imprese, degli artigiani, dei lavoratori autonomi e dei professionisti in questa fase di emergenza sanitaria, il Consiglio dei Ministri ha individuato due forme di intervento complementari.
Si tratta della moratoria sui prestiti e dell’intervento del Fondo di garanzia per le PMI, entrambi previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” n. 17/2020.
Mentre la prima misura non è stata interessata dalle norme contenute nel D.L. 23/2020, le declinazioni dell’attività del Fondo Centrale di Garanzia hanno subito rilevanti modifiche ad opera Decreto ‘Liquidità’ riguardanti i massimali previsti, le percentuali di copertura, i requisiti soggettivi e i termini di accesso alla misura.
In generale, l’attività del Fondo di Garanzia consiste in un’agevolazione prevista dal Ministero dello Sviluppo economico che può essere attivata a fronte di finanziamenti erogati da Banche o altri intermediari finanziari e che non interviene direttamente nel rapporto tra Banca e Cliente, bensì sostituisce le onerose garanzie richieste per ottenere un finanziamento con la garanzia pubblica.
L’art. 13 del Decreto ‘Liquidità’, abrogando espressamente l’art. 49 del D.L. 17/2020, ne ha mantenuto l’impianto prevedendo quanto segue:
proroga dei termini di accesso alla misura sino al 31 dicembre 2020;
gratuità della concessione della garanzia;
incremento dei massimali di copertura sino all’importo di € 5 milioni per singola impresa;
estensione della platea dei soggetti beneficiari alle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 unità;
nonché, alla lett. m) del co. 1, una specifica misura di concessione di garanzia sui nuovi finanziamenti erogati dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore delle piccole e medie imprese come pure di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività è stata danneggiata dall’emergenza da COVID-19, come da autocertificazione.
Tale misura, cui si accede secondo un iter procedurale semplificato, consiste – previa autorizzazione della Commissione Europea ex art. 108 TFUE – in una garanzia pari al 100% dell’importo erogato, somma che non può superare il 25 % dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario e, in ogni caso, non può essere superiore a 25.000 euro. I ricavi sono quelli risultanti dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da “altra idonea documentazione”, anche mediante autocertificazione. Per gli esercenti arti e professioni, diversamente, il termine ‘ricavi’ dovrà essere considerato nell’accezione di ‘compensi’ riferiti all’anno d’imposta 2018.
Affinché operi la garanzia, per tali finanziamenti deve essere previsto il rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall’erogazione e gli stessi, in aggiunta, non devono avere una durata superiore ai 72 mesi.
È stata oggetto di conferma la previsione circa l’automaticità e gratuità dell’intervento, previa verifica del possesso dei requisiti richiesti, senza alcuna valutazione preventiva di merito del soggetto beneficiario.
In conclusione – sottolineando come il reale successo di tale misura sarà determinato dalla capacità dell’intero sistema creditizio di elaborare con celerità le numerosissime domande presentate e di fornire una rapida risposta alle imprese in difficoltà – si aggiunge che, all’art. 1 del Decreto ‘Liquidità’, è stata introdotta un’ulteriore misura di sostegno, avente carattere sussidiario, rappresentata dalla Garanzia SACE per le grandi imprese, le PMI e i professionisti che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia.
Moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
2020
La moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
Il Governo italiano, nel suo affannoso tentativo di arginare le drammatiche conseguenze che la diffusione pandemica del Coronavirus determinerà anche nel nostro Paese, ha dato vita ad una copiosa produzione normativa con la previsione – tra le altre misure – di varie forme di sostegno economico al sistema produttivo.
Da questo punto di vista, risulta imprescindibile tutelare le cd. ‘PMI’ (Piccole e medie imprese) che, considerata la loro rilevanza economica e capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, costituiscono la componente fondamentale del sistema economico italiano e la cui scomparsa determinerebbe incalcolabili danni e ricadute su tutti gli altri settori, cui sarebbe impossibile porre rimedio.
Per evitare un simile scenario, all’interno del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, il Governo all’art. 56 ha previsto una norma contenente “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”.
Viene così introdotta quella che può essere considerata una – seppur limitata – boccata d’ossigeno per le imprese di minor dimensione operanti in tutti i settori ed aventi sede in Italia.
Tale strumento rientra tra quegli interventi definibili come Aiuti di Stato consentiti dall’art. 107 TFUE, in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, in quanto diretto a porre rimedio ai danni causati da un simile evento eccezionale comportante un grave turbamento all’economia.
Si tratta, a ben vedere, di una moratoria sui prestiti concessi dalle Banche e dagli altri Intermediari Finanziari alle micro, piccole e medie imprese così come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE e cioè quelle con un numero di occupati inferiore alle 250 unità e con un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro, ovvero il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
Come precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’interno di questa previsione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi titolari di partita Iva.
Più nel dettaglio, la misura di sostegno finanziario contenuta nel co. 2, lett. c) dell’art. 56 consiste nella possibilità di ottenere, per mutui e altri finanziamenti a rimborso rateale, che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre del 2020 venga sospeso sino a tale data. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione verrà, pertanto, dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Presupposto necessario per poter beneficiare di tale previsione – oltre a quello relativo alla solvibilità dell’impresa, che non deve presentare esposizioni debitorie classificate come deteriorate – è quello della presentazione di una comunicazione contenente: l’indicazione del finanziamento per il quale è richiesta la moratoria, i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, la dichiarazione con la quale si autocertifica, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, con la consapevolezza delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci.
Tali comunicazioni, che possono essere presentate dalle imprese dal 17 marzo 2020, possono essere inviate anche tramite PEC o con altri sistemi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.
Lo strumento in esame, trattandosi di moratoria ad ampio spettro di applicazione e concepita in risposta al Covid-19, consente di evitare il processo che – viste le modifiche apportate al contratto originale della linea di credito – potrebbe condurre ad una classificazione a forbearance del finanziamento. Tale circostanza è stata confermata anche dall’EBA nelle sue linee guida del 2 aprile 2020, nelle quali si specifica che “l’applicazione della moratoria generale di pagamento di per sé non dovrebbe indurre a riclassificare un’esposizione come «forborne» (sia essa deteriorata o non deteriorata), a meno che non sia già stata classificata come «forborne» al momento dell’applicazione della moratoria”. Conseguenza è quella per cui potrà ricorrere a tale strumento anche l’impresa – in bonis – che abbia comunque ottenuto misure di sospensione o ristrutturazione dello stesso finanziamento nell’arco dei 24 mesi precedenti.
Nulla esclude, come per altro si sta già verificando, che i singoli istituti di credito possano, nel rispetto dei requisiti indicati dall’art. 56 del decreto, adottare previsioni maggiormente favorevoli per l’impresa, come potrebbe essere quella relativa al periodo di sospensione dei pagamenti, avendo riguardo al comportamento e alla situazione riguardante il debitore prima dell’esplosione della pandemia.
In attesa della conversione del decreto che, ai sensi dell’art. 77 Cost., deve avvenire entro 60 giorni dalla sua pubblicazione - oltre a porre particolare attenzione agli emendamenti che verranno presentati in tale occasione e che potrebbero condurre all’eliminazione dei requisiti dimensionali e di fatturato delle imprese per beneficiare della moratoria - è consigliabile per quelle attualmente escluse dalla norma – e cioè quelle in bonis di grandi dimensioni nonché quelle classificate come deteriorate – prendere contatti con i singoli istituti di credito per valutare l’adozione di misure analoghe.
Il diritto di famiglia al tempo del coronavirus
2020
L'Avvocato Stella intervistata da Il Dubbio
2020
presso Udine
Intervista all'Avvocato Alessandra Stella su Il Dubbio.
Intelligenza artificiale e giustizia, ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
2020
presso Udine
Assemblea dei legali del triveneto domani a Padova. Tra gli argomenti toccati ci saranno anche le implicazioni legate all’utilizzo degli algoritmi nella amministrazione della giustizia
AVVOCATI: Intelligenza artificiale e giustizia,
ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
Stella: “La giustizia predittiva è dietro l’angolo. Occorre essere pronti: in America si utilizza nel penale; in Estonia nelle cause risarcitorie. In Italia è già realtà in alcuni studi di Roma e Milano”
Padova 21 febbraio 2020 – 13 luglio 2016, Wisconsin (USA): la Suprema Corte conferma la sentenza pronunciata dal Tribunale circondariale di La Crosse, il quale aveva condannato Eric L. Loomis per ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Un caso che non presentava nulla di particolarmente rilevante, senonché il giudice di primo grado si era avvalso del programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), i cui algoritmi avevano calcolato come Loomis avesse un'elevata probabilità di recidiva.
L’Intelligenza Artificiale (in breve AI) consiste, in estrema sintesi, nel far riprodurre a strumenti robotici, attraverso calcoli e algoritmi, capacità e attività cognitive proprie dell’essere umano. La vita di ogni giorno ci offre esempi molto semplici: i traduttori automatici, i sistemi di riconoscimento facciale, i veicoli a guida autonoma. L’Intelligenza Artificiale è una realtà attuale, non più appartenente ad un futuro distopico, ed è oramai prossima ad abbracciare ogni ambito della società, tra cui – come dimostra il caso Looming – anche quello della giustizia. Altro esempio emblematico è quello dell’Estonia, dove si utilizza, in via sperimentale, un algoritmo per risolvere controversie con valore inferiore ai 7mila euro.
“Questa vicenda processuale – spiega la Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati Alessandra Stella, parlando del caso Looming – rappresenta il punto centrale della cosiddetta giustizia predittiva, che consiste nella possibilità di anticipare, tramite algoritmi commerciali, il probabile ragionamento del giudice e quindi la possibile sentenza. In pratica si predice la soluzione perché già a monte si sa che il giudice, quando andrà a decidere la questione, lo farà in un determinato modo. Non si tratta di un futuro lontano, ma di una realtà attuale anche in Italia. A Milano gli algoritmi sono già realtà in alcuni studi legali che li utilizzano per redigere, ad esempio, decreti ingiuntivi che vengono elaborati in pochi minuti senza richiedere tutta quella attività, molto più impegnativa, che viene affidata tradizionalmente al collaboratore di studio”.
I vantaggi e le semplificazioni che ne deriverebbero si possono facilmente immaginare; si pensi alle cosiddette “due diligence”, cioè l'attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all'oggetto di una trattativa finalizzata a valutare la convenienza di un affare. “Addirittura – spiega l’avv. Stella – se queste attività sono poste in essere dall'uomo hanno un margine di errore superiore rispetto al software il cui tasso di fallibilità è dello 0,2%. Praticamente perfetto. Ora, il sistema americano pare orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale. In Italia dobbiamo invece capire per tempo quali prospettive si aprano nell’organizzazione del lavoro dello studio o nella ordinaria attività degli uffici giudiziari. Da noi, del resto, le sentenze non hanno lo stesso valore che hanno nel sistema anglosassone dove costituiscono un precedente vincolante”.
Se non mancano i potenziali aspetti positivi della giustizia predittiva, lo stesso deve dirsi per dubbi e interrogativi: tra tutti, la garanzia della trasparenza del processo logico-decisionale applicato dal programma. Se è necessario poter leggere la motivazione di una sentenza pronunciata da un giudice “umano”, tale necessità si sentirà maggiormente per il caso in cui ad emettere la sentenza sia un giudice “robotico”. Per quanto il software potrà essere scritto seguendo criteri di traslazione in linguaggio matematico dei principi giuridici, trasformati in formule o algoritmi, sarà imprescindibile garantire la verifica dei passaggi tecnici: oltre, quindi, alla motivazione in sé, dovrà essere oggetto di verifica anche il procedimento informatico che ha portato alla motivazione stessa.
All’avvocato Stella fa eco il Presidente degli avvocati di Padova Leonardo Arnau: “Come funziona la giustizia predittiva? Prendiamo ad esempio una separazione tra coniugi: inseriamo nel programma i dati dei clienti, la consistenza del patrimonio, i dati sulla composizione del nucleo familiare, il tenore di vita, le abitudini di vita e l'algoritmo determina se sia dovuto e a quanto ammonti l'assegno di mantenimento, e come va diviso il patrimonio. Lo stesso per il penale: si inseriscono i precedenti, il tipo di personalità, e in ragione della giurisprudenza pregressa l'algoritmo determina la decisione”.
Ed ancora l’Avv. Stella: “Come avvocati non posso nascondere che c’è preoccupazione perché c'è un modo evidentemente differente di svolgere la professione e se queste nuove prospettive non vengono guidate correttamente, potrebbero incidere significativamente”.
Un punto di partenza potrebbe essere la Carta etica europea sull’uso dell’IA nei sistemi giudiziari e il loro ambiente, pubblicata dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa. La Carta etica europea, oltre ad incoraggiare l’uso di strumenti e servizi di IA per migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia, enuncia cinque principi ai quali ci si dovrà attenere: 1) principio di rispetto dei diritti fondamentali, 2) principio di non discriminazione, 3) principio di qualità e sicurezza, 4) principio di trasparenza, imparzialità ed equità e 5) principio “sotto il controllo dell’utente”.
Anche di questo si parlerà domani a Padova in occasione dell’Assemblea degli Avvocati del Triveneto. L’appuntamento è fissato per
Sabato 22 febbraio 2020 alle ore
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Interverranno tra gli altri:
Alessandra Stella - Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati
Leonardo Arnau – Presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova
La presenza di un giornalista della vostra testata sarà particolarmente gradita
Ufficio Stampa assemblea: Carlo Saccon Tel 3282170266
Cormons, assemblea dell'unione Triveneta dei consigli dell'ordine degli avvocati
2019
Link al video del TGR FVG, edizione delle 19:30 del 16 Settembre 2019. L'intervento parte dal minuto 15:20.
“Giustizia e diritti, programmi per l’Europa a confronto”
2019
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Di riforma in riforma”
2019
presso Padova
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Società tra avvocati, una vantaggiosa alternativa allo studio legale associato? Aspetti giuridici, fiscali, previdenziali e deontologici”
2019
presso Pordenone
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Quando i robot apriranno lo studio, Robot e Intelligenza artificiale al servizio del libero professionista”
2019
presso Vicenza
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“I profili personali e patrimoniali nella crisi di famiglia. Evoluzione giurisprudenziale”
2018
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
Le locazioni commerciali al tempo del Coronavirus
2020
Le locazioni commerciali ai tempi del coronavirus
L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus sta generando una grave crisi economica in quasi tutti i settori produttivi del Paese. I provvedimenti fortemente restrittivi hanno interessato la maggioranza delle attività commerciali le quali, impossibilitate a conseguire proventi, stanno affrontando il problema del pagamento dei canoni di locazione. Proprio in questo ambito, gli istituti tradizionali del nostro ordinamento giuridico stanno dimostrando la loro inadeguatezza nel fornire risposte utili ad affrontare la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Il Governo italiano, a far data dai primi provvedimenti adottati per fronteggiare il diffondersi del virus, ha suddiviso le attività produttive e gli esercizi commerciali in due categorie, a seconda della loro ‘essenzialità’ o meno.
Nel contesto emergenziale, tuttavia, sia i gestori delle attività consentite, così come di quelle sospese, stanno fronteggiando il problema relativo al pagamento dei canoni di locazione, principale obbligazione del conduttore.
Da questo punto di vista, le previsioni contenute nella normativa adottata in questi difficili giorni sono pressoché inesistenti ove si consideri che l’unica norma espressamente prevista è quella contenuta nell’art. 65 del D.L. 18/2020, riguardante esclusivamente le attività sospese con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020.
Tale norma prevede un bonus di carattere fiscale consistente in un credito di imposta a favore dei conduttori titolari di attività economiche che siano state sospese in quanto non essenziali. Più nel dettaglio, la misura – un credito di imposta pari al 60 % dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 – potrà essere utilizzata in compensazione con le imposte dovute, esclusivamente dagli intestatari di contratti di locazione di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
La misura di cui si discute, evidentemente, opera solamente a favore delle imprese che, nonostante le difficoltà, siano state in grado di pagare il canone di locazione. Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in assenza di pagamento non è possibile utilizzare il bonus.
L’introduzione del credito di imposta, seppur utile, non risolve tuttavia il problema della carenza di liquidità che le imprese stanno affrontando in quanto, se da un lato non potrà essere utilizzato in compensazione dalle attività non soggette agli obblighi di chiusura – le quali, comunque, potrebbero subire una riduzione del fatturato – dall’altro si rivela utile solo allorquando il conduttore sia stato effettivamente in grado di pagare il canone.
A ben vedere, il problema si pone a monte, e cioè nel momento in cui per il conduttore risulti impossibile adempiere – totalmente o parzialmente – alla propria obbligazione.
Il tema, pertanto, è quello di analizzare eventuali rimedi previsti in via generale dall’ordinamento giuridico, posto che, sicuramente, nei contratti di locazione stipulati ante coronavirus le parti non hanno previsto specifiche clausole contemplanti i comportamenti da tenere in fase di emergenza epidemiologica.
In termini generali, il contratto di locazione è l’accordo in virtù del quale il locatore si impegna a concedere al conduttore il godimento di una cosa, mobile o immobile, per un periodo di tempo determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, detto canone. L’obbligazione principale del conduttore è quella di pagare il canone nei termini convenuti, quella del locatore consiste nel mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto.
A ben vedere, i provvedimenti adottati a seguito della diffusione del coronavirus hanno avuto conseguenze riguardo alle obbligazioni di entrambe le parti del contratto.
Da un lato, infatti, la sospensione di moltissime attività ha avuto riflessi sulla capacità dei conduttori di far fronte alla propria obbligazione, consistente nel pagamento del canone.
Evidentemente, se una attività è stata sospesa, soprattutto quando di piccole dimensioni, il gestore/locatario potrebbe non disporre della liquidità necessaria.
Da questo punto di vista, sono almeno due gli istituti cui fare riferimento; vediamoli nel dettaglio.
Innanzitutto, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 1256 c.c. sostenendo l’impossibilità della sua prestazione, per causa ad esso non imputabile. Tuttavia, mentre può ritenersi corretto interpretare i provvedimenti dell’autorità amministrativa quali cause di impossibilità oggettiva, risulta più arduo configurare l’obbligazione del conduttore come impossibile materialmente. Il pagamento del canone, infatti, diversamente dalle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di genere limitato, non può dirsi mai oggettivamente impossibile.
L’altro istituto cui rivolgere l’attenzione è quello della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, previsto ex art. 1467 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Effettivamente, a causa della chiusura dei locali, il pagamento del corrispettivo potrebbe diventare eccessivamente oneroso. In tal caso, la norma riconosce al locatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto. Il terzo comma dell’art. 1467 c.c., tuttavia, in un’ottica manutentiva, consente al locatore di bilanciare nuovamente il sinallagma contrattuale proponendo una modifica equitativa del contratto, riducendo l’ammontare del canone. Si badi che, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa non ha diritto di sospendere unilateralmente il pagamento, dovendo invece agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
In aggiunta, a tutela del conduttore inadempiente è stata prevista una specifica norma ad opera della decretazione d’urgenza. Il riferimento è al comma 6 bis aggiunto all’art. 3 del D.L. 6/2020 con il D.L. ‘Cura Italia’. Tale previsione, considerando le inevitabili difficoltà che la diffusione del virus e i provvedimenti ad esso collegati avrebbe determinato nella regolare esecuzione dei contratti, sancisce – in maniera probabilmente ridondante – che ‘il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti’. In tal modo, il locatore potrebbe vedersi paralizzare la richiesta di risarcimento del danno arrecato dal conduttore a causa dell’inadempimento della sua obbligazione. La norma non contiene una presunzione per cui il rispetto delle misure previste dal Governo possa mandare esente il conduttore da responsabilità, bensì prescrive che il Giudice debba valutare l’esclusione della responsabilità del debitore, valutando di volta in volta le situazioni e comparando i diversi interessi in gioco.
Se si rivolge, invece, l’attenzione al locatore ed alla sua obbligazione, ecco che torna ad assumere rilevanza il tema della impossibilità della prestazione. Egli, infatti, si obbliga a mettere a disposizione del conduttore l’immobile non per un generico godimento, bensì per un utilizzo specifico consistente nello svolgimento di una determinata attività. Attività che, a causa dei provvedimenti adottati per favorire la regressione del virus, non può svolgersi. Sarebbe il locatore, pertanto, a non essere in grado di adempiere alla propria obbligazione. Il conduttore, infatti, pur avendo la materiale disponibilità della cosa, non può goderne - per tutto il periodo di vigenza del divieto - per lo svolgimento della specifica attività per cui aveva scelto di stipulare il contratto. Si determinerebbe, quindi, una impossibilità parziale della prestazione del locatore che legittimerebbe, conseguentemente, il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 c.c., a domandare una riduzione della prestazione da esso dovuta, ove non sia intenzionato a recedere dal contratto.
Gli istituti generali sin qui presi in considerazione hanno tutti la comune caratteristica di essere diretti alla risoluzione del contratto, fatta eccezione per la facoltà prevista in capo al creditore, nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, di evitare la caducazione del contratto proponendo una sua modifica.
Si deve però considerare che, nella situazione economica che stiamo attraversando, difficilmente le parti del contratto, non appena una della due risulti inadempiente, vorranno sciogliere il contratto, opzione che, invece, dovrebbe essere considerata quale extrema ratio.
Per entrambe le parti è più vantaggioso mantenere in vita il contratto. Se, infatti, per il locatore è innegabile che, ottenuto lo scioglimento del contratto, in questo momento difficilmente sarebbe in grado di individuare un nuovo conduttore, è altrettanto vero che anche il conduttore sarà interessato a far sopravvivere il contratto, nella speranza che – terminata la situazione di emergenza – sarà possibile riprendere nuovamente la propria attività.
Ecco quindi che, per soddisfare al meglio gli interessi delle parti ed evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale, il rimedio più adatto è rappresentato dal ricorso ai principi generali della correttezza e della buona fede. La parte colpita dagli effetti pregiudizievoli dell’emergenza sanitaria potrà chiedere alla propria controparte di rinegoziare i termini del contratto, prevedendo la sospensione del pagamento del canone oppure una sua riduzione, facendo appello ai summenzionati principi che trovano necessariamente applicazione in tutte le fasi della vicenda contrattuale. Corrispondentemente, in capo all’altra parte sussisterebbe un obbligo – fondato sui medesimi doveri, oltre che sul generale principio di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost. – di acconsentire alla rinegoziazione, accettando le modifiche proposte o proponendo delle nuove soluzioni che consentano di ristabilire l’equilibrio del rapporto contrattuale.
In conclusione, non si può non sottolineare come la situazione sia caratterizzata da assoluta ed inedita eccezionalità per fronteggiare la quale si reputa opportuno l’intervento del legislatore volto a disciplinare in modo specifico le fattispecie che si stanno venendo a creare e che, inevitabilmente, si creeranno.
In un’ottica disincentivante del ricorso all’Autorità giudiziaria, a mero titolo esemplificativo, potrebbe essere predeterminata una ripartizione tra il locatore e il conduttore dei costi causati dalla sospensione delle attività commerciali, nonché la previsione dell’incentivazione a raggiungere un accordo bonario tra le medesime parti, prevedendo degli sgravi fiscali.
PMI: prestiti fino a € 25.000,00 garantiti dallo stato
2020
PMI: prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato
Per assicurare la continuità dell’attività delle imprese, degli artigiani, dei lavoratori autonomi e dei professionisti in questa fase di emergenza sanitaria, il Consiglio dei Ministri ha individuato due forme di intervento complementari.
Si tratta della moratoria sui prestiti e dell’intervento del Fondo di garanzia per le PMI, entrambi previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” n. 17/2020.
Mentre la prima misura non è stata interessata dalle norme contenute nel D.L. 23/2020, le declinazioni dell’attività del Fondo Centrale di Garanzia hanno subito rilevanti modifiche ad opera Decreto ‘Liquidità’ riguardanti i massimali previsti, le percentuali di copertura, i requisiti soggettivi e i termini di accesso alla misura.
In generale, l’attività del Fondo di Garanzia consiste in un’agevolazione prevista dal Ministero dello Sviluppo economico che può essere attivata a fronte di finanziamenti erogati da Banche o altri intermediari finanziari e che non interviene direttamente nel rapporto tra Banca e Cliente, bensì sostituisce le onerose garanzie richieste per ottenere un finanziamento con la garanzia pubblica.
L’art. 13 del Decreto ‘Liquidità’, abrogando espressamente l’art. 49 del D.L. 17/2020, ne ha mantenuto l’impianto prevedendo quanto segue:
proroga dei termini di accesso alla misura sino al 31 dicembre 2020;
gratuità della concessione della garanzia;
incremento dei massimali di copertura sino all’importo di € 5 milioni per singola impresa;
estensione della platea dei soggetti beneficiari alle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 unità;
nonché, alla lett. m) del co. 1, una specifica misura di concessione di garanzia sui nuovi finanziamenti erogati dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore delle piccole e medie imprese come pure di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività è stata danneggiata dall’emergenza da COVID-19, come da autocertificazione.
Tale misura, cui si accede secondo un iter procedurale semplificato, consiste – previa autorizzazione della Commissione Europea ex art. 108 TFUE – in una garanzia pari al 100% dell’importo erogato, somma che non può superare il 25 % dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario e, in ogni caso, non può essere superiore a 25.000 euro. I ricavi sono quelli risultanti dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da “altra idonea documentazione”, anche mediante autocertificazione. Per gli esercenti arti e professioni, diversamente, il termine ‘ricavi’ dovrà essere considerato nell’accezione di ‘compensi’ riferiti all’anno d’imposta 2018.
Affinché operi la garanzia, per tali finanziamenti deve essere previsto il rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall’erogazione e gli stessi, in aggiunta, non devono avere una durata superiore ai 72 mesi.
È stata oggetto di conferma la previsione circa l’automaticità e gratuità dell’intervento, previa verifica del possesso dei requisiti richiesti, senza alcuna valutazione preventiva di merito del soggetto beneficiario.
In conclusione – sottolineando come il reale successo di tale misura sarà determinato dalla capacità dell’intero sistema creditizio di elaborare con celerità le numerosissime domande presentate e di fornire una rapida risposta alle imprese in difficoltà – si aggiunge che, all’art. 1 del Decreto ‘Liquidità’, è stata introdotta un’ulteriore misura di sostegno, avente carattere sussidiario, rappresentata dalla Garanzia SACE per le grandi imprese, le PMI e i professionisti che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia.
Moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
2020
La moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
Il Governo italiano, nel suo affannoso tentativo di arginare le drammatiche conseguenze che la diffusione pandemica del Coronavirus determinerà anche nel nostro Paese, ha dato vita ad una copiosa produzione normativa con la previsione – tra le altre misure – di varie forme di sostegno economico al sistema produttivo.
Da questo punto di vista, risulta imprescindibile tutelare le cd. ‘PMI’ (Piccole e medie imprese) che, considerata la loro rilevanza economica e capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, costituiscono la componente fondamentale del sistema economico italiano e la cui scomparsa determinerebbe incalcolabili danni e ricadute su tutti gli altri settori, cui sarebbe impossibile porre rimedio.
Per evitare un simile scenario, all’interno del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, il Governo all’art. 56 ha previsto una norma contenente “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”.
Viene così introdotta quella che può essere considerata una – seppur limitata – boccata d’ossigeno per le imprese di minor dimensione operanti in tutti i settori ed aventi sede in Italia.
Tale strumento rientra tra quegli interventi definibili come Aiuti di Stato consentiti dall’art. 107 TFUE, in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, in quanto diretto a porre rimedio ai danni causati da un simile evento eccezionale comportante un grave turbamento all’economia.
Si tratta, a ben vedere, di una moratoria sui prestiti concessi dalle Banche e dagli altri Intermediari Finanziari alle micro, piccole e medie imprese così come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE e cioè quelle con un numero di occupati inferiore alle 250 unità e con un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro, ovvero il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
Come precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’interno di questa previsione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi titolari di partita Iva.
Più nel dettaglio, la misura di sostegno finanziario contenuta nel co. 2, lett. c) dell’art. 56 consiste nella possibilità di ottenere, per mutui e altri finanziamenti a rimborso rateale, che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre del 2020 venga sospeso sino a tale data. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione verrà, pertanto, dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Presupposto necessario per poter beneficiare di tale previsione – oltre a quello relativo alla solvibilità dell’impresa, che non deve presentare esposizioni debitorie classificate come deteriorate – è quello della presentazione di una comunicazione contenente: l’indicazione del finanziamento per il quale è richiesta la moratoria, i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, la dichiarazione con la quale si autocertifica, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, con la consapevolezza delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci.
Tali comunicazioni, che possono essere presentate dalle imprese dal 17 marzo 2020, possono essere inviate anche tramite PEC o con altri sistemi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.
Lo strumento in esame, trattandosi di moratoria ad ampio spettro di applicazione e concepita in risposta al Covid-19, consente di evitare il processo che – viste le modifiche apportate al contratto originale della linea di credito – potrebbe condurre ad una classificazione a forbearance del finanziamento. Tale circostanza è stata confermata anche dall’EBA nelle sue linee guida del 2 aprile 2020, nelle quali si specifica che “l’applicazione della moratoria generale di pagamento di per sé non dovrebbe indurre a riclassificare un’esposizione come «forborne» (sia essa deteriorata o non deteriorata), a meno che non sia già stata classificata come «forborne» al momento dell’applicazione della moratoria”. Conseguenza è quella per cui potrà ricorrere a tale strumento anche l’impresa – in bonis – che abbia comunque ottenuto misure di sospensione o ristrutturazione dello stesso finanziamento nell’arco dei 24 mesi precedenti.
Nulla esclude, come per altro si sta già verificando, che i singoli istituti di credito possano, nel rispetto dei requisiti indicati dall’art. 56 del decreto, adottare previsioni maggiormente favorevoli per l’impresa, come potrebbe essere quella relativa al periodo di sospensione dei pagamenti, avendo riguardo al comportamento e alla situazione riguardante il debitore prima dell’esplosione della pandemia.
In attesa della conversione del decreto che, ai sensi dell’art. 77 Cost., deve avvenire entro 60 giorni dalla sua pubblicazione - oltre a porre particolare attenzione agli emendamenti che verranno presentati in tale occasione e che potrebbero condurre all’eliminazione dei requisiti dimensionali e di fatturato delle imprese per beneficiare della moratoria - è consigliabile per quelle attualmente escluse dalla norma – e cioè quelle in bonis di grandi dimensioni nonché quelle classificate come deteriorate – prendere contatti con i singoli istituti di credito per valutare l’adozione di misure analoghe.
Il diritto di famiglia al tempo del coronavirus
2020
L'Avvocato Stella intervistata da Il Dubbio
2020
presso Udine
Intervista all'Avvocato Alessandra Stella su Il Dubbio.
Intelligenza artificiale e giustizia, ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
2020
presso Udine
Assemblea dei legali del triveneto domani a Padova. Tra gli argomenti toccati ci saranno anche le implicazioni legate all’utilizzo degli algoritmi nella amministrazione della giustizia
AVVOCATI: Intelligenza artificiale e giustizia,
ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
Stella: “La giustizia predittiva è dietro l’angolo. Occorre essere pronti: in America si utilizza nel penale; in Estonia nelle cause risarcitorie. In Italia è già realtà in alcuni studi di Roma e Milano”
Padova 21 febbraio 2020 – 13 luglio 2016, Wisconsin (USA): la Suprema Corte conferma la sentenza pronunciata dal Tribunale circondariale di La Crosse, il quale aveva condannato Eric L. Loomis per ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Un caso che non presentava nulla di particolarmente rilevante, senonché il giudice di primo grado si era avvalso del programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), i cui algoritmi avevano calcolato come Loomis avesse un'elevata probabilità di recidiva.
L’Intelligenza Artificiale (in breve AI) consiste, in estrema sintesi, nel far riprodurre a strumenti robotici, attraverso calcoli e algoritmi, capacità e attività cognitive proprie dell’essere umano. La vita di ogni giorno ci offre esempi molto semplici: i traduttori automatici, i sistemi di riconoscimento facciale, i veicoli a guida autonoma. L’Intelligenza Artificiale è una realtà attuale, non più appartenente ad un futuro distopico, ed è oramai prossima ad abbracciare ogni ambito della società, tra cui – come dimostra il caso Looming – anche quello della giustizia. Altro esempio emblematico è quello dell’Estonia, dove si utilizza, in via sperimentale, un algoritmo per risolvere controversie con valore inferiore ai 7mila euro.
“Questa vicenda processuale – spiega la Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati Alessandra Stella, parlando del caso Looming – rappresenta il punto centrale della cosiddetta giustizia predittiva, che consiste nella possibilità di anticipare, tramite algoritmi commerciali, il probabile ragionamento del giudice e quindi la possibile sentenza. In pratica si predice la soluzione perché già a monte si sa che il giudice, quando andrà a decidere la questione, lo farà in un determinato modo. Non si tratta di un futuro lontano, ma di una realtà attuale anche in Italia. A Milano gli algoritmi sono già realtà in alcuni studi legali che li utilizzano per redigere, ad esempio, decreti ingiuntivi che vengono elaborati in pochi minuti senza richiedere tutta quella attività, molto più impegnativa, che viene affidata tradizionalmente al collaboratore di studio”.
I vantaggi e le semplificazioni che ne deriverebbero si possono facilmente immaginare; si pensi alle cosiddette “due diligence”, cioè l'attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all'oggetto di una trattativa finalizzata a valutare la convenienza di un affare. “Addirittura – spiega l’avv. Stella – se queste attività sono poste in essere dall'uomo hanno un margine di errore superiore rispetto al software il cui tasso di fallibilità è dello 0,2%. Praticamente perfetto. Ora, il sistema americano pare orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale. In Italia dobbiamo invece capire per tempo quali prospettive si aprano nell’organizzazione del lavoro dello studio o nella ordinaria attività degli uffici giudiziari. Da noi, del resto, le sentenze non hanno lo stesso valore che hanno nel sistema anglosassone dove costituiscono un precedente vincolante”.
Se non mancano i potenziali aspetti positivi della giustizia predittiva, lo stesso deve dirsi per dubbi e interrogativi: tra tutti, la garanzia della trasparenza del processo logico-decisionale applicato dal programma. Se è necessario poter leggere la motivazione di una sentenza pronunciata da un giudice “umano”, tale necessità si sentirà maggiormente per il caso in cui ad emettere la sentenza sia un giudice “robotico”. Per quanto il software potrà essere scritto seguendo criteri di traslazione in linguaggio matematico dei principi giuridici, trasformati in formule o algoritmi, sarà imprescindibile garantire la verifica dei passaggi tecnici: oltre, quindi, alla motivazione in sé, dovrà essere oggetto di verifica anche il procedimento informatico che ha portato alla motivazione stessa.
All’avvocato Stella fa eco il Presidente degli avvocati di Padova Leonardo Arnau: “Come funziona la giustizia predittiva? Prendiamo ad esempio una separazione tra coniugi: inseriamo nel programma i dati dei clienti, la consistenza del patrimonio, i dati sulla composizione del nucleo familiare, il tenore di vita, le abitudini di vita e l'algoritmo determina se sia dovuto e a quanto ammonti l'assegno di mantenimento, e come va diviso il patrimonio. Lo stesso per il penale: si inseriscono i precedenti, il tipo di personalità, e in ragione della giurisprudenza pregressa l'algoritmo determina la decisione”.
Ed ancora l’Avv. Stella: “Come avvocati non posso nascondere che c’è preoccupazione perché c'è un modo evidentemente differente di svolgere la professione e se queste nuove prospettive non vengono guidate correttamente, potrebbero incidere significativamente”.
Un punto di partenza potrebbe essere la Carta etica europea sull’uso dell’IA nei sistemi giudiziari e il loro ambiente, pubblicata dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa. La Carta etica europea, oltre ad incoraggiare l’uso di strumenti e servizi di IA per migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia, enuncia cinque principi ai quali ci si dovrà attenere: 1) principio di rispetto dei diritti fondamentali, 2) principio di non discriminazione, 3) principio di qualità e sicurezza, 4) principio di trasparenza, imparzialità ed equità e 5) principio “sotto il controllo dell’utente”.
Anche di questo si parlerà domani a Padova in occasione dell’Assemblea degli Avvocati del Triveneto. L’appuntamento è fissato per
Sabato 22 febbraio 2020 alle ore
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Interverranno tra gli altri:
Alessandra Stella - Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati
Leonardo Arnau – Presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova
La presenza di un giornalista della vostra testata sarà particolarmente gradita
Ufficio Stampa assemblea: Carlo Saccon Tel 3282170266
Cormons, assemblea dell'unione Triveneta dei consigli dell'ordine degli avvocati
2019
Link al video del TGR FVG, edizione delle 19:30 del 16 Settembre 2019. L'intervento parte dal minuto 15:20.
“Giustizia e diritti, programmi per l’Europa a confronto”
2019
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Di riforma in riforma”
2019
presso Padova
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Società tra avvocati, una vantaggiosa alternativa allo studio legale associato? Aspetti giuridici, fiscali, previdenziali e deontologici”
2019
presso Pordenone
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Quando i robot apriranno lo studio, Robot e Intelligenza artificiale al servizio del libero professionista”
2019
presso Vicenza
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“I profili personali e patrimoniali nella crisi di famiglia. Evoluzione giurisprudenziale”
2018
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
Le locazioni commerciali al tempo del Coronavirus
2020
Le locazioni commerciali ai tempi del coronavirus
L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus sta generando una grave crisi economica in quasi tutti i settori produttivi del Paese. I provvedimenti fortemente restrittivi hanno interessato la maggioranza delle attività commerciali le quali, impossibilitate a conseguire proventi, stanno affrontando il problema del pagamento dei canoni di locazione. Proprio in questo ambito, gli istituti tradizionali del nostro ordinamento giuridico stanno dimostrando la loro inadeguatezza nel fornire risposte utili ad affrontare la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Il Governo italiano, a far data dai primi provvedimenti adottati per fronteggiare il diffondersi del virus, ha suddiviso le attività produttive e gli esercizi commerciali in due categorie, a seconda della loro ‘essenzialità’ o meno.
Nel contesto emergenziale, tuttavia, sia i gestori delle attività consentite, così come di quelle sospese, stanno fronteggiando il problema relativo al pagamento dei canoni di locazione, principale obbligazione del conduttore.
Da questo punto di vista, le previsioni contenute nella normativa adottata in questi difficili giorni sono pressoché inesistenti ove si consideri che l’unica norma espressamente prevista è quella contenuta nell’art. 65 del D.L. 18/2020, riguardante esclusivamente le attività sospese con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020.
Tale norma prevede un bonus di carattere fiscale consistente in un credito di imposta a favore dei conduttori titolari di attività economiche che siano state sospese in quanto non essenziali. Più nel dettaglio, la misura – un credito di imposta pari al 60 % dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 – potrà essere utilizzata in compensazione con le imposte dovute, esclusivamente dagli intestatari di contratti di locazione di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
La misura di cui si discute, evidentemente, opera solamente a favore delle imprese che, nonostante le difficoltà, siano state in grado di pagare il canone di locazione. Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in assenza di pagamento non è possibile utilizzare il bonus.
L’introduzione del credito di imposta, seppur utile, non risolve tuttavia il problema della carenza di liquidità che le imprese stanno affrontando in quanto, se da un lato non potrà essere utilizzato in compensazione dalle attività non soggette agli obblighi di chiusura – le quali, comunque, potrebbero subire una riduzione del fatturato – dall’altro si rivela utile solo allorquando il conduttore sia stato effettivamente in grado di pagare il canone.
A ben vedere, il problema si pone a monte, e cioè nel momento in cui per il conduttore risulti impossibile adempiere – totalmente o parzialmente – alla propria obbligazione.
Il tema, pertanto, è quello di analizzare eventuali rimedi previsti in via generale dall’ordinamento giuridico, posto che, sicuramente, nei contratti di locazione stipulati ante coronavirus le parti non hanno previsto specifiche clausole contemplanti i comportamenti da tenere in fase di emergenza epidemiologica.
In termini generali, il contratto di locazione è l’accordo in virtù del quale il locatore si impegna a concedere al conduttore il godimento di una cosa, mobile o immobile, per un periodo di tempo determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, detto canone. L’obbligazione principale del conduttore è quella di pagare il canone nei termini convenuti, quella del locatore consiste nel mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto.
A ben vedere, i provvedimenti adottati a seguito della diffusione del coronavirus hanno avuto conseguenze riguardo alle obbligazioni di entrambe le parti del contratto.
Da un lato, infatti, la sospensione di moltissime attività ha avuto riflessi sulla capacità dei conduttori di far fronte alla propria obbligazione, consistente nel pagamento del canone.
Evidentemente, se una attività è stata sospesa, soprattutto quando di piccole dimensioni, il gestore/locatario potrebbe non disporre della liquidità necessaria.
Da questo punto di vista, sono almeno due gli istituti cui fare riferimento; vediamoli nel dettaglio.
Innanzitutto, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 1256 c.c. sostenendo l’impossibilità della sua prestazione, per causa ad esso non imputabile. Tuttavia, mentre può ritenersi corretto interpretare i provvedimenti dell’autorità amministrativa quali cause di impossibilità oggettiva, risulta più arduo configurare l’obbligazione del conduttore come impossibile materialmente. Il pagamento del canone, infatti, diversamente dalle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di genere limitato, non può dirsi mai oggettivamente impossibile.
L’altro istituto cui rivolgere l’attenzione è quello della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, previsto ex art. 1467 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Effettivamente, a causa della chiusura dei locali, il pagamento del corrispettivo potrebbe diventare eccessivamente oneroso. In tal caso, la norma riconosce al locatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto. Il terzo comma dell’art. 1467 c.c., tuttavia, in un’ottica manutentiva, consente al locatore di bilanciare nuovamente il sinallagma contrattuale proponendo una modifica equitativa del contratto, riducendo l’ammontare del canone. Si badi che, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa non ha diritto di sospendere unilateralmente il pagamento, dovendo invece agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
In aggiunta, a tutela del conduttore inadempiente è stata prevista una specifica norma ad opera della decretazione d’urgenza. Il riferimento è al comma 6 bis aggiunto all’art. 3 del D.L. 6/2020 con il D.L. ‘Cura Italia’. Tale previsione, considerando le inevitabili difficoltà che la diffusione del virus e i provvedimenti ad esso collegati avrebbe determinato nella regolare esecuzione dei contratti, sancisce – in maniera probabilmente ridondante – che ‘il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti’. In tal modo, il locatore potrebbe vedersi paralizzare la richiesta di risarcimento del danno arrecato dal conduttore a causa dell’inadempimento della sua obbligazione. La norma non contiene una presunzione per cui il rispetto delle misure previste dal Governo possa mandare esente il conduttore da responsabilità, bensì prescrive che il Giudice debba valutare l’esclusione della responsabilità del debitore, valutando di volta in volta le situazioni e comparando i diversi interessi in gioco.
Se si rivolge, invece, l’attenzione al locatore ed alla sua obbligazione, ecco che torna ad assumere rilevanza il tema della impossibilità della prestazione. Egli, infatti, si obbliga a mettere a disposizione del conduttore l’immobile non per un generico godimento, bensì per un utilizzo specifico consistente nello svolgimento di una determinata attività. Attività che, a causa dei provvedimenti adottati per favorire la regressione del virus, non può svolgersi. Sarebbe il locatore, pertanto, a non essere in grado di adempiere alla propria obbligazione. Il conduttore, infatti, pur avendo la materiale disponibilità della cosa, non può goderne - per tutto il periodo di vigenza del divieto - per lo svolgimento della specifica attività per cui aveva scelto di stipulare il contratto. Si determinerebbe, quindi, una impossibilità parziale della prestazione del locatore che legittimerebbe, conseguentemente, il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 c.c., a domandare una riduzione della prestazione da esso dovuta, ove non sia intenzionato a recedere dal contratto.
Gli istituti generali sin qui presi in considerazione hanno tutti la comune caratteristica di essere diretti alla risoluzione del contratto, fatta eccezione per la facoltà prevista in capo al creditore, nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, di evitare la caducazione del contratto proponendo una sua modifica.
Si deve però considerare che, nella situazione economica che stiamo attraversando, difficilmente le parti del contratto, non appena una della due risulti inadempiente, vorranno sciogliere il contratto, opzione che, invece, dovrebbe essere considerata quale extrema ratio.
Per entrambe le parti è più vantaggioso mantenere in vita il contratto. Se, infatti, per il locatore è innegabile che, ottenuto lo scioglimento del contratto, in questo momento difficilmente sarebbe in grado di individuare un nuovo conduttore, è altrettanto vero che anche il conduttore sarà interessato a far sopravvivere il contratto, nella speranza che – terminata la situazione di emergenza – sarà possibile riprendere nuovamente la propria attività.
Ecco quindi che, per soddisfare al meglio gli interessi delle parti ed evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale, il rimedio più adatto è rappresentato dal ricorso ai principi generali della correttezza e della buona fede. La parte colpita dagli effetti pregiudizievoli dell’emergenza sanitaria potrà chiedere alla propria controparte di rinegoziare i termini del contratto, prevedendo la sospensione del pagamento del canone oppure una sua riduzione, facendo appello ai summenzionati principi che trovano necessariamente applicazione in tutte le fasi della vicenda contrattuale. Corrispondentemente, in capo all’altra parte sussisterebbe un obbligo – fondato sui medesimi doveri, oltre che sul generale principio di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost. – di acconsentire alla rinegoziazione, accettando le modifiche proposte o proponendo delle nuove soluzioni che consentano di ristabilire l’equilibrio del rapporto contrattuale.
In conclusione, non si può non sottolineare come la situazione sia caratterizzata da assoluta ed inedita eccezionalità per fronteggiare la quale si reputa opportuno l’intervento del legislatore volto a disciplinare in modo specifico le fattispecie che si stanno venendo a creare e che, inevitabilmente, si creeranno.
In un’ottica disincentivante del ricorso all’Autorità giudiziaria, a mero titolo esemplificativo, potrebbe essere predeterminata una ripartizione tra il locatore e il conduttore dei costi causati dalla sospensione delle attività commerciali, nonché la previsione dell’incentivazione a raggiungere un accordo bonario tra le medesime parti, prevedendo degli sgravi fiscali.
PMI: prestiti fino a € 25.000,00 garantiti dallo stato
2020
PMI: prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato
Per assicurare la continuità dell’attività delle imprese, degli artigiani, dei lavoratori autonomi e dei professionisti in questa fase di emergenza sanitaria, il Consiglio dei Ministri ha individuato due forme di intervento complementari.
Si tratta della moratoria sui prestiti e dell’intervento del Fondo di garanzia per le PMI, entrambi previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” n. 17/2020.
Mentre la prima misura non è stata interessata dalle norme contenute nel D.L. 23/2020, le declinazioni dell’attività del Fondo Centrale di Garanzia hanno subito rilevanti modifiche ad opera Decreto ‘Liquidità’ riguardanti i massimali previsti, le percentuali di copertura, i requisiti soggettivi e i termini di accesso alla misura.
In generale, l’attività del Fondo di Garanzia consiste in un’agevolazione prevista dal Ministero dello Sviluppo economico che può essere attivata a fronte di finanziamenti erogati da Banche o altri intermediari finanziari e che non interviene direttamente nel rapporto tra Banca e Cliente, bensì sostituisce le onerose garanzie richieste per ottenere un finanziamento con la garanzia pubblica.
L’art. 13 del Decreto ‘Liquidità’, abrogando espressamente l’art. 49 del D.L. 17/2020, ne ha mantenuto l’impianto prevedendo quanto segue:
proroga dei termini di accesso alla misura sino al 31 dicembre 2020;
gratuità della concessione della garanzia;
incremento dei massimali di copertura sino all’importo di € 5 milioni per singola impresa;
estensione della platea dei soggetti beneficiari alle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 unità;
nonché, alla lett. m) del co. 1, una specifica misura di concessione di garanzia sui nuovi finanziamenti erogati dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore delle piccole e medie imprese come pure di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività è stata danneggiata dall’emergenza da COVID-19, come da autocertificazione.
Tale misura, cui si accede secondo un iter procedurale semplificato, consiste – previa autorizzazione della Commissione Europea ex art. 108 TFUE – in una garanzia pari al 100% dell’importo erogato, somma che non può superare il 25 % dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario e, in ogni caso, non può essere superiore a 25.000 euro. I ricavi sono quelli risultanti dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da “altra idonea documentazione”, anche mediante autocertificazione. Per gli esercenti arti e professioni, diversamente, il termine ‘ricavi’ dovrà essere considerato nell’accezione di ‘compensi’ riferiti all’anno d’imposta 2018.
Affinché operi la garanzia, per tali finanziamenti deve essere previsto il rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall’erogazione e gli stessi, in aggiunta, non devono avere una durata superiore ai 72 mesi.
È stata oggetto di conferma la previsione circa l’automaticità e gratuità dell’intervento, previa verifica del possesso dei requisiti richiesti, senza alcuna valutazione preventiva di merito del soggetto beneficiario.
In conclusione – sottolineando come il reale successo di tale misura sarà determinato dalla capacità dell’intero sistema creditizio di elaborare con celerità le numerosissime domande presentate e di fornire una rapida risposta alle imprese in difficoltà – si aggiunge che, all’art. 1 del Decreto ‘Liquidità’, è stata introdotta un’ulteriore misura di sostegno, avente carattere sussidiario, rappresentata dalla Garanzia SACE per le grandi imprese, le PMI e i professionisti che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia.
Moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
2020
La moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
Il Governo italiano, nel suo affannoso tentativo di arginare le drammatiche conseguenze che la diffusione pandemica del Coronavirus determinerà anche nel nostro Paese, ha dato vita ad una copiosa produzione normativa con la previsione – tra le altre misure – di varie forme di sostegno economico al sistema produttivo.
Da questo punto di vista, risulta imprescindibile tutelare le cd. ‘PMI’ (Piccole e medie imprese) che, considerata la loro rilevanza economica e capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, costituiscono la componente fondamentale del sistema economico italiano e la cui scomparsa determinerebbe incalcolabili danni e ricadute su tutti gli altri settori, cui sarebbe impossibile porre rimedio.
Per evitare un simile scenario, all’interno del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, il Governo all’art. 56 ha previsto una norma contenente “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”.
Viene così introdotta quella che può essere considerata una – seppur limitata – boccata d’ossigeno per le imprese di minor dimensione operanti in tutti i settori ed aventi sede in Italia.
Tale strumento rientra tra quegli interventi definibili come Aiuti di Stato consentiti dall’art. 107 TFUE, in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, in quanto diretto a porre rimedio ai danni causati da un simile evento eccezionale comportante un grave turbamento all’economia.
Si tratta, a ben vedere, di una moratoria sui prestiti concessi dalle Banche e dagli altri Intermediari Finanziari alle micro, piccole e medie imprese così come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE e cioè quelle con un numero di occupati inferiore alle 250 unità e con un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro, ovvero il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
Come precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’interno di questa previsione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi titolari di partita Iva.
Più nel dettaglio, la misura di sostegno finanziario contenuta nel co. 2, lett. c) dell’art. 56 consiste nella possibilità di ottenere, per mutui e altri finanziamenti a rimborso rateale, che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre del 2020 venga sospeso sino a tale data. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione verrà, pertanto, dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Presupposto necessario per poter beneficiare di tale previsione – oltre a quello relativo alla solvibilità dell’impresa, che non deve presentare esposizioni debitorie classificate come deteriorate – è quello della presentazione di una comunicazione contenente: l’indicazione del finanziamento per il quale è richiesta la moratoria, i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, la dichiarazione con la quale si autocertifica, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, con la consapevolezza delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci.
Tali comunicazioni, che possono essere presentate dalle imprese dal 17 marzo 2020, possono essere inviate anche tramite PEC o con altri sistemi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.
Lo strumento in esame, trattandosi di moratoria ad ampio spettro di applicazione e concepita in risposta al Covid-19, consente di evitare il processo che – viste le modifiche apportate al contratto originale della linea di credito – potrebbe condurre ad una classificazione a forbearance del finanziamento. Tale circostanza è stata confermata anche dall’EBA nelle sue linee guida del 2 aprile 2020, nelle quali si specifica che “l’applicazione della moratoria generale di pagamento di per sé non dovrebbe indurre a riclassificare un’esposizione come «forborne» (sia essa deteriorata o non deteriorata), a meno che non sia già stata classificata come «forborne» al momento dell’applicazione della moratoria”. Conseguenza è quella per cui potrà ricorrere a tale strumento anche l’impresa – in bonis – che abbia comunque ottenuto misure di sospensione o ristrutturazione dello stesso finanziamento nell’arco dei 24 mesi precedenti.
Nulla esclude, come per altro si sta già verificando, che i singoli istituti di credito possano, nel rispetto dei requisiti indicati dall’art. 56 del decreto, adottare previsioni maggiormente favorevoli per l’impresa, come potrebbe essere quella relativa al periodo di sospensione dei pagamenti, avendo riguardo al comportamento e alla situazione riguardante il debitore prima dell’esplosione della pandemia.
In attesa della conversione del decreto che, ai sensi dell’art. 77 Cost., deve avvenire entro 60 giorni dalla sua pubblicazione - oltre a porre particolare attenzione agli emendamenti che verranno presentati in tale occasione e che potrebbero condurre all’eliminazione dei requisiti dimensionali e di fatturato delle imprese per beneficiare della moratoria - è consigliabile per quelle attualmente escluse dalla norma – e cioè quelle in bonis di grandi dimensioni nonché quelle classificate come deteriorate – prendere contatti con i singoli istituti di credito per valutare l’adozione di misure analoghe.
Il diritto di famiglia al tempo del coronavirus
2020
L'Avvocato Stella intervistata da Il Dubbio
2020
presso Udine
Intervista all'Avvocato Alessandra Stella su Il Dubbio.
Intelligenza artificiale e giustizia, ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
2020
presso Udine
Assemblea dei legali del triveneto domani a Padova. Tra gli argomenti toccati ci saranno anche le implicazioni legate all’utilizzo degli algoritmi nella amministrazione della giustizia
AVVOCATI: Intelligenza artificiale e giustizia,
ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
Stella: “La giustizia predittiva è dietro l’angolo. Occorre essere pronti: in America si utilizza nel penale; in Estonia nelle cause risarcitorie. In Italia è già realtà in alcuni studi di Roma e Milano”
Padova 21 febbraio 2020 – 13 luglio 2016, Wisconsin (USA): la Suprema Corte conferma la sentenza pronunciata dal Tribunale circondariale di La Crosse, il quale aveva condannato Eric L. Loomis per ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Un caso che non presentava nulla di particolarmente rilevante, senonché il giudice di primo grado si era avvalso del programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), i cui algoritmi avevano calcolato come Loomis avesse un'elevata probabilità di recidiva.
L’Intelligenza Artificiale (in breve AI) consiste, in estrema sintesi, nel far riprodurre a strumenti robotici, attraverso calcoli e algoritmi, capacità e attività cognitive proprie dell’essere umano. La vita di ogni giorno ci offre esempi molto semplici: i traduttori automatici, i sistemi di riconoscimento facciale, i veicoli a guida autonoma. L’Intelligenza Artificiale è una realtà attuale, non più appartenente ad un futuro distopico, ed è oramai prossima ad abbracciare ogni ambito della società, tra cui – come dimostra il caso Looming – anche quello della giustizia. Altro esempio emblematico è quello dell’Estonia, dove si utilizza, in via sperimentale, un algoritmo per risolvere controversie con valore inferiore ai 7mila euro.
“Questa vicenda processuale – spiega la Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati Alessandra Stella, parlando del caso Looming – rappresenta il punto centrale della cosiddetta giustizia predittiva, che consiste nella possibilità di anticipare, tramite algoritmi commerciali, il probabile ragionamento del giudice e quindi la possibile sentenza. In pratica si predice la soluzione perché già a monte si sa che il giudice, quando andrà a decidere la questione, lo farà in un determinato modo. Non si tratta di un futuro lontano, ma di una realtà attuale anche in Italia. A Milano gli algoritmi sono già realtà in alcuni studi legali che li utilizzano per redigere, ad esempio, decreti ingiuntivi che vengono elaborati in pochi minuti senza richiedere tutta quella attività, molto più impegnativa, che viene affidata tradizionalmente al collaboratore di studio”.
I vantaggi e le semplificazioni che ne deriverebbero si possono facilmente immaginare; si pensi alle cosiddette “due diligence”, cioè l'attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all'oggetto di una trattativa finalizzata a valutare la convenienza di un affare. “Addirittura – spiega l’avv. Stella – se queste attività sono poste in essere dall'uomo hanno un margine di errore superiore rispetto al software il cui tasso di fallibilità è dello 0,2%. Praticamente perfetto. Ora, il sistema americano pare orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale. In Italia dobbiamo invece capire per tempo quali prospettive si aprano nell’organizzazione del lavoro dello studio o nella ordinaria attività degli uffici giudiziari. Da noi, del resto, le sentenze non hanno lo stesso valore che hanno nel sistema anglosassone dove costituiscono un precedente vincolante”.
Se non mancano i potenziali aspetti positivi della giustizia predittiva, lo stesso deve dirsi per dubbi e interrogativi: tra tutti, la garanzia della trasparenza del processo logico-decisionale applicato dal programma. Se è necessario poter leggere la motivazione di una sentenza pronunciata da un giudice “umano”, tale necessità si sentirà maggiormente per il caso in cui ad emettere la sentenza sia un giudice “robotico”. Per quanto il software potrà essere scritto seguendo criteri di traslazione in linguaggio matematico dei principi giuridici, trasformati in formule o algoritmi, sarà imprescindibile garantire la verifica dei passaggi tecnici: oltre, quindi, alla motivazione in sé, dovrà essere oggetto di verifica anche il procedimento informatico che ha portato alla motivazione stessa.
All’avvocato Stella fa eco il Presidente degli avvocati di Padova Leonardo Arnau: “Come funziona la giustizia predittiva? Prendiamo ad esempio una separazione tra coniugi: inseriamo nel programma i dati dei clienti, la consistenza del patrimonio, i dati sulla composizione del nucleo familiare, il tenore di vita, le abitudini di vita e l'algoritmo determina se sia dovuto e a quanto ammonti l'assegno di mantenimento, e come va diviso il patrimonio. Lo stesso per il penale: si inseriscono i precedenti, il tipo di personalità, e in ragione della giurisprudenza pregressa l'algoritmo determina la decisione”.
Ed ancora l’Avv. Stella: “Come avvocati non posso nascondere che c’è preoccupazione perché c'è un modo evidentemente differente di svolgere la professione e se queste nuove prospettive non vengono guidate correttamente, potrebbero incidere significativamente”.
Un punto di partenza potrebbe essere la Carta etica europea sull’uso dell’IA nei sistemi giudiziari e il loro ambiente, pubblicata dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa. La Carta etica europea, oltre ad incoraggiare l’uso di strumenti e servizi di IA per migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia, enuncia cinque principi ai quali ci si dovrà attenere: 1) principio di rispetto dei diritti fondamentali, 2) principio di non discriminazione, 3) principio di qualità e sicurezza, 4) principio di trasparenza, imparzialità ed equità e 5) principio “sotto il controllo dell’utente”.
Anche di questo si parlerà domani a Padova in occasione dell’Assemblea degli Avvocati del Triveneto. L’appuntamento è fissato per
Sabato 22 febbraio 2020 alle ore
xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx
Interverranno tra gli altri:
Alessandra Stella - Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati
Leonardo Arnau – Presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova
La presenza di un giornalista della vostra testata sarà particolarmente gradita
Ufficio Stampa assemblea: Carlo Saccon Tel 3282170266
Cormons, assemblea dell'unione Triveneta dei consigli dell'ordine degli avvocati
2019
Link al video del TGR FVG, edizione delle 19:30 del 16 Settembre 2019. L'intervento parte dal minuto 15:20.
“Giustizia e diritti, programmi per l’Europa a confronto”
2019
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Di riforma in riforma”
2019
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Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Società tra avvocati, una vantaggiosa alternativa allo studio legale associato? Aspetti giuridici, fiscali, previdenziali e deontologici”
2019
presso Pordenone
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Quando i robot apriranno lo studio, Robot e Intelligenza artificiale al servizio del libero professionista”
2019
presso Vicenza
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“I profili personali e patrimoniali nella crisi di famiglia. Evoluzione giurisprudenziale”
2018
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
Le locazioni commerciali al tempo del Coronavirus
2020
Le locazioni commerciali ai tempi del coronavirus
L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus sta generando una grave crisi economica in quasi tutti i settori produttivi del Paese. I provvedimenti fortemente restrittivi hanno interessato la maggioranza delle attività commerciali le quali, impossibilitate a conseguire proventi, stanno affrontando il problema del pagamento dei canoni di locazione. Proprio in questo ambito, gli istituti tradizionali del nostro ordinamento giuridico stanno dimostrando la loro inadeguatezza nel fornire risposte utili ad affrontare la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Il Governo italiano, a far data dai primi provvedimenti adottati per fronteggiare il diffondersi del virus, ha suddiviso le attività produttive e gli esercizi commerciali in due categorie, a seconda della loro ‘essenzialità’ o meno.
Nel contesto emergenziale, tuttavia, sia i gestori delle attività consentite, così come di quelle sospese, stanno fronteggiando il problema relativo al pagamento dei canoni di locazione, principale obbligazione del conduttore.
Da questo punto di vista, le previsioni contenute nella normativa adottata in questi difficili giorni sono pressoché inesistenti ove si consideri che l’unica norma espressamente prevista è quella contenuta nell’art. 65 del D.L. 18/2020, riguardante esclusivamente le attività sospese con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020.
Tale norma prevede un bonus di carattere fiscale consistente in un credito di imposta a favore dei conduttori titolari di attività economiche che siano state sospese in quanto non essenziali. Più nel dettaglio, la misura – un credito di imposta pari al 60 % dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 – potrà essere utilizzata in compensazione con le imposte dovute, esclusivamente dagli intestatari di contratti di locazione di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
La misura di cui si discute, evidentemente, opera solamente a favore delle imprese che, nonostante le difficoltà, siano state in grado di pagare il canone di locazione. Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in assenza di pagamento non è possibile utilizzare il bonus.
L’introduzione del credito di imposta, seppur utile, non risolve tuttavia il problema della carenza di liquidità che le imprese stanno affrontando in quanto, se da un lato non potrà essere utilizzato in compensazione dalle attività non soggette agli obblighi di chiusura – le quali, comunque, potrebbero subire una riduzione del fatturato – dall’altro si rivela utile solo allorquando il conduttore sia stato effettivamente in grado di pagare il canone.
A ben vedere, il problema si pone a monte, e cioè nel momento in cui per il conduttore risulti impossibile adempiere – totalmente o parzialmente – alla propria obbligazione.
Il tema, pertanto, è quello di analizzare eventuali rimedi previsti in via generale dall’ordinamento giuridico, posto che, sicuramente, nei contratti di locazione stipulati ante coronavirus le parti non hanno previsto specifiche clausole contemplanti i comportamenti da tenere in fase di emergenza epidemiologica.
In termini generali, il contratto di locazione è l’accordo in virtù del quale il locatore si impegna a concedere al conduttore il godimento di una cosa, mobile o immobile, per un periodo di tempo determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, detto canone. L’obbligazione principale del conduttore è quella di pagare il canone nei termini convenuti, quella del locatore consiste nel mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto.
A ben vedere, i provvedimenti adottati a seguito della diffusione del coronavirus hanno avuto conseguenze riguardo alle obbligazioni di entrambe le parti del contratto.
Da un lato, infatti, la sospensione di moltissime attività ha avuto riflessi sulla capacità dei conduttori di far fronte alla propria obbligazione, consistente nel pagamento del canone.
Evidentemente, se una attività è stata sospesa, soprattutto quando di piccole dimensioni, il gestore/locatario potrebbe non disporre della liquidità necessaria.
Da questo punto di vista, sono almeno due gli istituti cui fare riferimento; vediamoli nel dettaglio.
Innanzitutto, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 1256 c.c. sostenendo l’impossibilità della sua prestazione, per causa ad esso non imputabile. Tuttavia, mentre può ritenersi corretto interpretare i provvedimenti dell’autorità amministrativa quali cause di impossibilità oggettiva, risulta più arduo configurare l’obbligazione del conduttore come impossibile materialmente. Il pagamento del canone, infatti, diversamente dalle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di genere limitato, non può dirsi mai oggettivamente impossibile.
L’altro istituto cui rivolgere l’attenzione è quello della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, previsto ex art. 1467 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Effettivamente, a causa della chiusura dei locali, il pagamento del corrispettivo potrebbe diventare eccessivamente oneroso. In tal caso, la norma riconosce al locatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto. Il terzo comma dell’art. 1467 c.c., tuttavia, in un’ottica manutentiva, consente al locatore di bilanciare nuovamente il sinallagma contrattuale proponendo una modifica equitativa del contratto, riducendo l’ammontare del canone. Si badi che, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa non ha diritto di sospendere unilateralmente il pagamento, dovendo invece agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
In aggiunta, a tutela del conduttore inadempiente è stata prevista una specifica norma ad opera della decretazione d’urgenza. Il riferimento è al comma 6 bis aggiunto all’art. 3 del D.L. 6/2020 con il D.L. ‘Cura Italia’. Tale previsione, considerando le inevitabili difficoltà che la diffusione del virus e i provvedimenti ad esso collegati avrebbe determinato nella regolare esecuzione dei contratti, sancisce – in maniera probabilmente ridondante – che ‘il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti’. In tal modo, il locatore potrebbe vedersi paralizzare la richiesta di risarcimento del danno arrecato dal conduttore a causa dell’inadempimento della sua obbligazione. La norma non contiene una presunzione per cui il rispetto delle misure previste dal Governo possa mandare esente il conduttore da responsabilità, bensì prescrive che il Giudice debba valutare l’esclusione della responsabilità del debitore, valutando di volta in volta le situazioni e comparando i diversi interessi in gioco.
Se si rivolge, invece, l’attenzione al locatore ed alla sua obbligazione, ecco che torna ad assumere rilevanza il tema della impossibilità della prestazione. Egli, infatti, si obbliga a mettere a disposizione del conduttore l’immobile non per un generico godimento, bensì per un utilizzo specifico consistente nello svolgimento di una determinata attività. Attività che, a causa dei provvedimenti adottati per favorire la regressione del virus, non può svolgersi. Sarebbe il locatore, pertanto, a non essere in grado di adempiere alla propria obbligazione. Il conduttore, infatti, pur avendo la materiale disponibilità della cosa, non può goderne - per tutto il periodo di vigenza del divieto - per lo svolgimento della specifica attività per cui aveva scelto di stipulare il contratto. Si determinerebbe, quindi, una impossibilità parziale della prestazione del locatore che legittimerebbe, conseguentemente, il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 c.c., a domandare una riduzione della prestazione da esso dovuta, ove non sia intenzionato a recedere dal contratto.
Gli istituti generali sin qui presi in considerazione hanno tutti la comune caratteristica di essere diretti alla risoluzione del contratto, fatta eccezione per la facoltà prevista in capo al creditore, nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, di evitare la caducazione del contratto proponendo una sua modifica.
Si deve però considerare che, nella situazione economica che stiamo attraversando, difficilmente le parti del contratto, non appena una della due risulti inadempiente, vorranno sciogliere il contratto, opzione che, invece, dovrebbe essere considerata quale extrema ratio.
Per entrambe le parti è più vantaggioso mantenere in vita il contratto. Se, infatti, per il locatore è innegabile che, ottenuto lo scioglimento del contratto, in questo momento difficilmente sarebbe in grado di individuare un nuovo conduttore, è altrettanto vero che anche il conduttore sarà interessato a far sopravvivere il contratto, nella speranza che – terminata la situazione di emergenza – sarà possibile riprendere nuovamente la propria attività.
Ecco quindi che, per soddisfare al meglio gli interessi delle parti ed evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale, il rimedio più adatto è rappresentato dal ricorso ai principi generali della correttezza e della buona fede. La parte colpita dagli effetti pregiudizievoli dell’emergenza sanitaria potrà chiedere alla propria controparte di rinegoziare i termini del contratto, prevedendo la sospensione del pagamento del canone oppure una sua riduzione, facendo appello ai summenzionati principi che trovano necessariamente applicazione in tutte le fasi della vicenda contrattuale. Corrispondentemente, in capo all’altra parte sussisterebbe un obbligo – fondato sui medesimi doveri, oltre che sul generale principio di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost. – di acconsentire alla rinegoziazione, accettando le modifiche proposte o proponendo delle nuove soluzioni che consentano di ristabilire l’equilibrio del rapporto contrattuale.
In conclusione, non si può non sottolineare come la situazione sia caratterizzata da assoluta ed inedita eccezionalità per fronteggiare la quale si reputa opportuno l’intervento del legislatore volto a disciplinare in modo specifico le fattispecie che si stanno venendo a creare e che, inevitabilmente, si creeranno.
In un’ottica disincentivante del ricorso all’Autorità giudiziaria, a mero titolo esemplificativo, potrebbe essere predeterminata una ripartizione tra il locatore e il conduttore dei costi causati dalla sospensione delle attività commerciali, nonché la previsione dell’incentivazione a raggiungere un accordo bonario tra le medesime parti, prevedendo degli sgravi fiscali.
PMI: prestiti fino a € 25.000,00 garantiti dallo stato
2020
PMI: prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato
Per assicurare la continuità dell’attività delle imprese, degli artigiani, dei lavoratori autonomi e dei professionisti in questa fase di emergenza sanitaria, il Consiglio dei Ministri ha individuato due forme di intervento complementari.
Si tratta della moratoria sui prestiti e dell’intervento del Fondo di garanzia per le PMI, entrambi previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” n. 17/2020.
Mentre la prima misura non è stata interessata dalle norme contenute nel D.L. 23/2020, le declinazioni dell’attività del Fondo Centrale di Garanzia hanno subito rilevanti modifiche ad opera Decreto ‘Liquidità’ riguardanti i massimali previsti, le percentuali di copertura, i requisiti soggettivi e i termini di accesso alla misura.
In generale, l’attività del Fondo di Garanzia consiste in un’agevolazione prevista dal Ministero dello Sviluppo economico che può essere attivata a fronte di finanziamenti erogati da Banche o altri intermediari finanziari e che non interviene direttamente nel rapporto tra Banca e Cliente, bensì sostituisce le onerose garanzie richieste per ottenere un finanziamento con la garanzia pubblica.
L’art. 13 del Decreto ‘Liquidità’, abrogando espressamente l’art. 49 del D.L. 17/2020, ne ha mantenuto l’impianto prevedendo quanto segue:
proroga dei termini di accesso alla misura sino al 31 dicembre 2020;
gratuità della concessione della garanzia;
incremento dei massimali di copertura sino all’importo di € 5 milioni per singola impresa;
estensione della platea dei soggetti beneficiari alle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 unità;
nonché, alla lett. m) del co. 1, una specifica misura di concessione di garanzia sui nuovi finanziamenti erogati dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore delle piccole e medie imprese come pure di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività è stata danneggiata dall’emergenza da COVID-19, come da autocertificazione.
Tale misura, cui si accede secondo un iter procedurale semplificato, consiste – previa autorizzazione della Commissione Europea ex art. 108 TFUE – in una garanzia pari al 100% dell’importo erogato, somma che non può superare il 25 % dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario e, in ogni caso, non può essere superiore a 25.000 euro. I ricavi sono quelli risultanti dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da “altra idonea documentazione”, anche mediante autocertificazione. Per gli esercenti arti e professioni, diversamente, il termine ‘ricavi’ dovrà essere considerato nell’accezione di ‘compensi’ riferiti all’anno d’imposta 2018.
Affinché operi la garanzia, per tali finanziamenti deve essere previsto il rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall’erogazione e gli stessi, in aggiunta, non devono avere una durata superiore ai 72 mesi.
È stata oggetto di conferma la previsione circa l’automaticità e gratuità dell’intervento, previa verifica del possesso dei requisiti richiesti, senza alcuna valutazione preventiva di merito del soggetto beneficiario.
In conclusione – sottolineando come il reale successo di tale misura sarà determinato dalla capacità dell’intero sistema creditizio di elaborare con celerità le numerosissime domande presentate e di fornire una rapida risposta alle imprese in difficoltà – si aggiunge che, all’art. 1 del Decreto ‘Liquidità’, è stata introdotta un’ulteriore misura di sostegno, avente carattere sussidiario, rappresentata dalla Garanzia SACE per le grandi imprese, le PMI e i professionisti che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia.
Moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
2020
La moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
Il Governo italiano, nel suo affannoso tentativo di arginare le drammatiche conseguenze che la diffusione pandemica del Coronavirus determinerà anche nel nostro Paese, ha dato vita ad una copiosa produzione normativa con la previsione – tra le altre misure – di varie forme di sostegno economico al sistema produttivo.
Da questo punto di vista, risulta imprescindibile tutelare le cd. ‘PMI’ (Piccole e medie imprese) che, considerata la loro rilevanza economica e capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, costituiscono la componente fondamentale del sistema economico italiano e la cui scomparsa determinerebbe incalcolabili danni e ricadute su tutti gli altri settori, cui sarebbe impossibile porre rimedio.
Per evitare un simile scenario, all’interno del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, il Governo all’art. 56 ha previsto una norma contenente “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”.
Viene così introdotta quella che può essere considerata una – seppur limitata – boccata d’ossigeno per le imprese di minor dimensione operanti in tutti i settori ed aventi sede in Italia.
Tale strumento rientra tra quegli interventi definibili come Aiuti di Stato consentiti dall’art. 107 TFUE, in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, in quanto diretto a porre rimedio ai danni causati da un simile evento eccezionale comportante un grave turbamento all’economia.
Si tratta, a ben vedere, di una moratoria sui prestiti concessi dalle Banche e dagli altri Intermediari Finanziari alle micro, piccole e medie imprese così come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE e cioè quelle con un numero di occupati inferiore alle 250 unità e con un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro, ovvero il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
Come precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’interno di questa previsione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi titolari di partita Iva.
Più nel dettaglio, la misura di sostegno finanziario contenuta nel co. 2, lett. c) dell’art. 56 consiste nella possibilità di ottenere, per mutui e altri finanziamenti a rimborso rateale, che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre del 2020 venga sospeso sino a tale data. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione verrà, pertanto, dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Presupposto necessario per poter beneficiare di tale previsione – oltre a quello relativo alla solvibilità dell’impresa, che non deve presentare esposizioni debitorie classificate come deteriorate – è quello della presentazione di una comunicazione contenente: l’indicazione del finanziamento per il quale è richiesta la moratoria, i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, la dichiarazione con la quale si autocertifica, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, con la consapevolezza delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci.
Tali comunicazioni, che possono essere presentate dalle imprese dal 17 marzo 2020, possono essere inviate anche tramite PEC o con altri sistemi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.
Lo strumento in esame, trattandosi di moratoria ad ampio spettro di applicazione e concepita in risposta al Covid-19, consente di evitare il processo che – viste le modifiche apportate al contratto originale della linea di credito – potrebbe condurre ad una classificazione a forbearance del finanziamento. Tale circostanza è stata confermata anche dall’EBA nelle sue linee guida del 2 aprile 2020, nelle quali si specifica che “l’applicazione della moratoria generale di pagamento di per sé non dovrebbe indurre a riclassificare un’esposizione come «forborne» (sia essa deteriorata o non deteriorata), a meno che non sia già stata classificata come «forborne» al momento dell’applicazione della moratoria”. Conseguenza è quella per cui potrà ricorrere a tale strumento anche l’impresa – in bonis – che abbia comunque ottenuto misure di sospensione o ristrutturazione dello stesso finanziamento nell’arco dei 24 mesi precedenti.
Nulla esclude, come per altro si sta già verificando, che i singoli istituti di credito possano, nel rispetto dei requisiti indicati dall’art. 56 del decreto, adottare previsioni maggiormente favorevoli per l’impresa, come potrebbe essere quella relativa al periodo di sospensione dei pagamenti, avendo riguardo al comportamento e alla situazione riguardante il debitore prima dell’esplosione della pandemia.
In attesa della conversione del decreto che, ai sensi dell’art. 77 Cost., deve avvenire entro 60 giorni dalla sua pubblicazione - oltre a porre particolare attenzione agli emendamenti che verranno presentati in tale occasione e che potrebbero condurre all’eliminazione dei requisiti dimensionali e di fatturato delle imprese per beneficiare della moratoria - è consigliabile per quelle attualmente escluse dalla norma – e cioè quelle in bonis di grandi dimensioni nonché quelle classificate come deteriorate – prendere contatti con i singoli istituti di credito per valutare l’adozione di misure analoghe.
Il diritto di famiglia al tempo del coronavirus
2020
L'Avvocato Stella intervistata da Il Dubbio
2020
presso Udine
Intervista all'Avvocato Alessandra Stella su Il Dubbio.
Intelligenza artificiale e giustizia, ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
2020
presso Udine
Assemblea dei legali del triveneto domani a Padova. Tra gli argomenti toccati ci saranno anche le implicazioni legate all’utilizzo degli algoritmi nella amministrazione della giustizia
AVVOCATI: Intelligenza artificiale e giustizia,
ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
Stella: “La giustizia predittiva è dietro l’angolo. Occorre essere pronti: in America si utilizza nel penale; in Estonia nelle cause risarcitorie. In Italia è già realtà in alcuni studi di Roma e Milano”
Padova 21 febbraio 2020 – 13 luglio 2016, Wisconsin (USA): la Suprema Corte conferma la sentenza pronunciata dal Tribunale circondariale di La Crosse, il quale aveva condannato Eric L. Loomis per ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Un caso che non presentava nulla di particolarmente rilevante, senonché il giudice di primo grado si era avvalso del programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), i cui algoritmi avevano calcolato come Loomis avesse un'elevata probabilità di recidiva.
L’Intelligenza Artificiale (in breve AI) consiste, in estrema sintesi, nel far riprodurre a strumenti robotici, attraverso calcoli e algoritmi, capacità e attività cognitive proprie dell’essere umano. La vita di ogni giorno ci offre esempi molto semplici: i traduttori automatici, i sistemi di riconoscimento facciale, i veicoli a guida autonoma. L’Intelligenza Artificiale è una realtà attuale, non più appartenente ad un futuro distopico, ed è oramai prossima ad abbracciare ogni ambito della società, tra cui – come dimostra il caso Looming – anche quello della giustizia. Altro esempio emblematico è quello dell’Estonia, dove si utilizza, in via sperimentale, un algoritmo per risolvere controversie con valore inferiore ai 7mila euro.
“Questa vicenda processuale – spiega la Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati Alessandra Stella, parlando del caso Looming – rappresenta il punto centrale della cosiddetta giustizia predittiva, che consiste nella possibilità di anticipare, tramite algoritmi commerciali, il probabile ragionamento del giudice e quindi la possibile sentenza. In pratica si predice la soluzione perché già a monte si sa che il giudice, quando andrà a decidere la questione, lo farà in un determinato modo. Non si tratta di un futuro lontano, ma di una realtà attuale anche in Italia. A Milano gli algoritmi sono già realtà in alcuni studi legali che li utilizzano per redigere, ad esempio, decreti ingiuntivi che vengono elaborati in pochi minuti senza richiedere tutta quella attività, molto più impegnativa, che viene affidata tradizionalmente al collaboratore di studio”.
I vantaggi e le semplificazioni che ne deriverebbero si possono facilmente immaginare; si pensi alle cosiddette “due diligence”, cioè l'attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all'oggetto di una trattativa finalizzata a valutare la convenienza di un affare. “Addirittura – spiega l’avv. Stella – se queste attività sono poste in essere dall'uomo hanno un margine di errore superiore rispetto al software il cui tasso di fallibilità è dello 0,2%. Praticamente perfetto. Ora, il sistema americano pare orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale. In Italia dobbiamo invece capire per tempo quali prospettive si aprano nell’organizzazione del lavoro dello studio o nella ordinaria attività degli uffici giudiziari. Da noi, del resto, le sentenze non hanno lo stesso valore che hanno nel sistema anglosassone dove costituiscono un precedente vincolante”.
Se non mancano i potenziali aspetti positivi della giustizia predittiva, lo stesso deve dirsi per dubbi e interrogativi: tra tutti, la garanzia della trasparenza del processo logico-decisionale applicato dal programma. Se è necessario poter leggere la motivazione di una sentenza pronunciata da un giudice “umano”, tale necessità si sentirà maggiormente per il caso in cui ad emettere la sentenza sia un giudice “robotico”. Per quanto il software potrà essere scritto seguendo criteri di traslazione in linguaggio matematico dei principi giuridici, trasformati in formule o algoritmi, sarà imprescindibile garantire la verifica dei passaggi tecnici: oltre, quindi, alla motivazione in sé, dovrà essere oggetto di verifica anche il procedimento informatico che ha portato alla motivazione stessa.
All’avvocato Stella fa eco il Presidente degli avvocati di Padova Leonardo Arnau: “Come funziona la giustizia predittiva? Prendiamo ad esempio una separazione tra coniugi: inseriamo nel programma i dati dei clienti, la consistenza del patrimonio, i dati sulla composizione del nucleo familiare, il tenore di vita, le abitudini di vita e l'algoritmo determina se sia dovuto e a quanto ammonti l'assegno di mantenimento, e come va diviso il patrimonio. Lo stesso per il penale: si inseriscono i precedenti, il tipo di personalità, e in ragione della giurisprudenza pregressa l'algoritmo determina la decisione”.
Ed ancora l’Avv. Stella: “Come avvocati non posso nascondere che c’è preoccupazione perché c'è un modo evidentemente differente di svolgere la professione e se queste nuove prospettive non vengono guidate correttamente, potrebbero incidere significativamente”.
Un punto di partenza potrebbe essere la Carta etica europea sull’uso dell’IA nei sistemi giudiziari e il loro ambiente, pubblicata dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa. La Carta etica europea, oltre ad incoraggiare l’uso di strumenti e servizi di IA per migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia, enuncia cinque principi ai quali ci si dovrà attenere: 1) principio di rispetto dei diritti fondamentali, 2) principio di non discriminazione, 3) principio di qualità e sicurezza, 4) principio di trasparenza, imparzialità ed equità e 5) principio “sotto il controllo dell’utente”.
Anche di questo si parlerà domani a Padova in occasione dell’Assemblea degli Avvocati del Triveneto. L’appuntamento è fissato per
Sabato 22 febbraio 2020 alle ore
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Interverranno tra gli altri:
Alessandra Stella - Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati
Leonardo Arnau – Presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova
La presenza di un giornalista della vostra testata sarà particolarmente gradita
Ufficio Stampa assemblea: Carlo Saccon Tel 3282170266
Cormons, assemblea dell'unione Triveneta dei consigli dell'ordine degli avvocati
2019
Link al video del TGR FVG, edizione delle 19:30 del 16 Settembre 2019. L'intervento parte dal minuto 15:20.
“Giustizia e diritti, programmi per l’Europa a confronto”
2019
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Di riforma in riforma”
2019
presso Padova
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Società tra avvocati, una vantaggiosa alternativa allo studio legale associato? Aspetti giuridici, fiscali, previdenziali e deontologici”
2019
presso Pordenone
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Quando i robot apriranno lo studio, Robot e Intelligenza artificiale al servizio del libero professionista”
2019
presso Vicenza
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“I profili personali e patrimoniali nella crisi di famiglia. Evoluzione giurisprudenziale”
2018
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
Le locazioni commerciali al tempo del Coronavirus
2020
Le locazioni commerciali ai tempi del coronavirus
L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus sta generando una grave crisi economica in quasi tutti i settori produttivi del Paese. I provvedimenti fortemente restrittivi hanno interessato la maggioranza delle attività commerciali le quali, impossibilitate a conseguire proventi, stanno affrontando il problema del pagamento dei canoni di locazione. Proprio in questo ambito, gli istituti tradizionali del nostro ordinamento giuridico stanno dimostrando la loro inadeguatezza nel fornire risposte utili ad affrontare la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Il Governo italiano, a far data dai primi provvedimenti adottati per fronteggiare il diffondersi del virus, ha suddiviso le attività produttive e gli esercizi commerciali in due categorie, a seconda della loro ‘essenzialità’ o meno.
Nel contesto emergenziale, tuttavia, sia i gestori delle attività consentite, così come di quelle sospese, stanno fronteggiando il problema relativo al pagamento dei canoni di locazione, principale obbligazione del conduttore.
Da questo punto di vista, le previsioni contenute nella normativa adottata in questi difficili giorni sono pressoché inesistenti ove si consideri che l’unica norma espressamente prevista è quella contenuta nell’art. 65 del D.L. 18/2020, riguardante esclusivamente le attività sospese con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020.
Tale norma prevede un bonus di carattere fiscale consistente in un credito di imposta a favore dei conduttori titolari di attività economiche che siano state sospese in quanto non essenziali. Più nel dettaglio, la misura – un credito di imposta pari al 60 % dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 – potrà essere utilizzata in compensazione con le imposte dovute, esclusivamente dagli intestatari di contratti di locazione di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
La misura di cui si discute, evidentemente, opera solamente a favore delle imprese che, nonostante le difficoltà, siano state in grado di pagare il canone di locazione. Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in assenza di pagamento non è possibile utilizzare il bonus.
L’introduzione del credito di imposta, seppur utile, non risolve tuttavia il problema della carenza di liquidità che le imprese stanno affrontando in quanto, se da un lato non potrà essere utilizzato in compensazione dalle attività non soggette agli obblighi di chiusura – le quali, comunque, potrebbero subire una riduzione del fatturato – dall’altro si rivela utile solo allorquando il conduttore sia stato effettivamente in grado di pagare il canone.
A ben vedere, il problema si pone a monte, e cioè nel momento in cui per il conduttore risulti impossibile adempiere – totalmente o parzialmente – alla propria obbligazione.
Il tema, pertanto, è quello di analizzare eventuali rimedi previsti in via generale dall’ordinamento giuridico, posto che, sicuramente, nei contratti di locazione stipulati ante coronavirus le parti non hanno previsto specifiche clausole contemplanti i comportamenti da tenere in fase di emergenza epidemiologica.
In termini generali, il contratto di locazione è l’accordo in virtù del quale il locatore si impegna a concedere al conduttore il godimento di una cosa, mobile o immobile, per un periodo di tempo determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, detto canone. L’obbligazione principale del conduttore è quella di pagare il canone nei termini convenuti, quella del locatore consiste nel mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto.
A ben vedere, i provvedimenti adottati a seguito della diffusione del coronavirus hanno avuto conseguenze riguardo alle obbligazioni di entrambe le parti del contratto.
Da un lato, infatti, la sospensione di moltissime attività ha avuto riflessi sulla capacità dei conduttori di far fronte alla propria obbligazione, consistente nel pagamento del canone.
Evidentemente, se una attività è stata sospesa, soprattutto quando di piccole dimensioni, il gestore/locatario potrebbe non disporre della liquidità necessaria.
Da questo punto di vista, sono almeno due gli istituti cui fare riferimento; vediamoli nel dettaglio.
Innanzitutto, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 1256 c.c. sostenendo l’impossibilità della sua prestazione, per causa ad esso non imputabile. Tuttavia, mentre può ritenersi corretto interpretare i provvedimenti dell’autorità amministrativa quali cause di impossibilità oggettiva, risulta più arduo configurare l’obbligazione del conduttore come impossibile materialmente. Il pagamento del canone, infatti, diversamente dalle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di genere limitato, non può dirsi mai oggettivamente impossibile.
L’altro istituto cui rivolgere l’attenzione è quello della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, previsto ex art. 1467 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Effettivamente, a causa della chiusura dei locali, il pagamento del corrispettivo potrebbe diventare eccessivamente oneroso. In tal caso, la norma riconosce al locatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto. Il terzo comma dell’art. 1467 c.c., tuttavia, in un’ottica manutentiva, consente al locatore di bilanciare nuovamente il sinallagma contrattuale proponendo una modifica equitativa del contratto, riducendo l’ammontare del canone. Si badi che, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa non ha diritto di sospendere unilateralmente il pagamento, dovendo invece agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
In aggiunta, a tutela del conduttore inadempiente è stata prevista una specifica norma ad opera della decretazione d’urgenza. Il riferimento è al comma 6 bis aggiunto all’art. 3 del D.L. 6/2020 con il D.L. ‘Cura Italia’. Tale previsione, considerando le inevitabili difficoltà che la diffusione del virus e i provvedimenti ad esso collegati avrebbe determinato nella regolare esecuzione dei contratti, sancisce – in maniera probabilmente ridondante – che ‘il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti’. In tal modo, il locatore potrebbe vedersi paralizzare la richiesta di risarcimento del danno arrecato dal conduttore a causa dell’inadempimento della sua obbligazione. La norma non contiene una presunzione per cui il rispetto delle misure previste dal Governo possa mandare esente il conduttore da responsabilità, bensì prescrive che il Giudice debba valutare l’esclusione della responsabilità del debitore, valutando di volta in volta le situazioni e comparando i diversi interessi in gioco.
Se si rivolge, invece, l’attenzione al locatore ed alla sua obbligazione, ecco che torna ad assumere rilevanza il tema della impossibilità della prestazione. Egli, infatti, si obbliga a mettere a disposizione del conduttore l’immobile non per un generico godimento, bensì per un utilizzo specifico consistente nello svolgimento di una determinata attività. Attività che, a causa dei provvedimenti adottati per favorire la regressione del virus, non può svolgersi. Sarebbe il locatore, pertanto, a non essere in grado di adempiere alla propria obbligazione. Il conduttore, infatti, pur avendo la materiale disponibilità della cosa, non può goderne - per tutto il periodo di vigenza del divieto - per lo svolgimento della specifica attività per cui aveva scelto di stipulare il contratto. Si determinerebbe, quindi, una impossibilità parziale della prestazione del locatore che legittimerebbe, conseguentemente, il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 c.c., a domandare una riduzione della prestazione da esso dovuta, ove non sia intenzionato a recedere dal contratto.
Gli istituti generali sin qui presi in considerazione hanno tutti la comune caratteristica di essere diretti alla risoluzione del contratto, fatta eccezione per la facoltà prevista in capo al creditore, nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, di evitare la caducazione del contratto proponendo una sua modifica.
Si deve però considerare che, nella situazione economica che stiamo attraversando, difficilmente le parti del contratto, non appena una della due risulti inadempiente, vorranno sciogliere il contratto, opzione che, invece, dovrebbe essere considerata quale extrema ratio.
Per entrambe le parti è più vantaggioso mantenere in vita il contratto. Se, infatti, per il locatore è innegabile che, ottenuto lo scioglimento del contratto, in questo momento difficilmente sarebbe in grado di individuare un nuovo conduttore, è altrettanto vero che anche il conduttore sarà interessato a far sopravvivere il contratto, nella speranza che – terminata la situazione di emergenza – sarà possibile riprendere nuovamente la propria attività.
Ecco quindi che, per soddisfare al meglio gli interessi delle parti ed evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale, il rimedio più adatto è rappresentato dal ricorso ai principi generali della correttezza e della buona fede. La parte colpita dagli effetti pregiudizievoli dell’emergenza sanitaria potrà chiedere alla propria controparte di rinegoziare i termini del contratto, prevedendo la sospensione del pagamento del canone oppure una sua riduzione, facendo appello ai summenzionati principi che trovano necessariamente applicazione in tutte le fasi della vicenda contrattuale. Corrispondentemente, in capo all’altra parte sussisterebbe un obbligo – fondato sui medesimi doveri, oltre che sul generale principio di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost. – di acconsentire alla rinegoziazione, accettando le modifiche proposte o proponendo delle nuove soluzioni che consentano di ristabilire l’equilibrio del rapporto contrattuale.
In conclusione, non si può non sottolineare come la situazione sia caratterizzata da assoluta ed inedita eccezionalità per fronteggiare la quale si reputa opportuno l’intervento del legislatore volto a disciplinare in modo specifico le fattispecie che si stanno venendo a creare e che, inevitabilmente, si creeranno.
In un’ottica disincentivante del ricorso all’Autorità giudiziaria, a mero titolo esemplificativo, potrebbe essere predeterminata una ripartizione tra il locatore e il conduttore dei costi causati dalla sospensione delle attività commerciali, nonché la previsione dell’incentivazione a raggiungere un accordo bonario tra le medesime parti, prevedendo degli sgravi fiscali.
PMI: prestiti fino a € 25.000,00 garantiti dallo stato
2020
PMI: prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato
Per assicurare la continuità dell’attività delle imprese, degli artigiani, dei lavoratori autonomi e dei professionisti in questa fase di emergenza sanitaria, il Consiglio dei Ministri ha individuato due forme di intervento complementari.
Si tratta della moratoria sui prestiti e dell’intervento del Fondo di garanzia per le PMI, entrambi previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” n. 17/2020.
Mentre la prima misura non è stata interessata dalle norme contenute nel D.L. 23/2020, le declinazioni dell’attività del Fondo Centrale di Garanzia hanno subito rilevanti modifiche ad opera Decreto ‘Liquidità’ riguardanti i massimali previsti, le percentuali di copertura, i requisiti soggettivi e i termini di accesso alla misura.
In generale, l’attività del Fondo di Garanzia consiste in un’agevolazione prevista dal Ministero dello Sviluppo economico che può essere attivata a fronte di finanziamenti erogati da Banche o altri intermediari finanziari e che non interviene direttamente nel rapporto tra Banca e Cliente, bensì sostituisce le onerose garanzie richieste per ottenere un finanziamento con la garanzia pubblica.
L’art. 13 del Decreto ‘Liquidità’, abrogando espressamente l’art. 49 del D.L. 17/2020, ne ha mantenuto l’impianto prevedendo quanto segue:
proroga dei termini di accesso alla misura sino al 31 dicembre 2020;
gratuità della concessione della garanzia;
incremento dei massimali di copertura sino all’importo di € 5 milioni per singola impresa;
estensione della platea dei soggetti beneficiari alle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 unità;
nonché, alla lett. m) del co. 1, una specifica misura di concessione di garanzia sui nuovi finanziamenti erogati dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore delle piccole e medie imprese come pure di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività è stata danneggiata dall’emergenza da COVID-19, come da autocertificazione.
Tale misura, cui si accede secondo un iter procedurale semplificato, consiste – previa autorizzazione della Commissione Europea ex art. 108 TFUE – in una garanzia pari al 100% dell’importo erogato, somma che non può superare il 25 % dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario e, in ogni caso, non può essere superiore a 25.000 euro. I ricavi sono quelli risultanti dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da “altra idonea documentazione”, anche mediante autocertificazione. Per gli esercenti arti e professioni, diversamente, il termine ‘ricavi’ dovrà essere considerato nell’accezione di ‘compensi’ riferiti all’anno d’imposta 2018.
Affinché operi la garanzia, per tali finanziamenti deve essere previsto il rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall’erogazione e gli stessi, in aggiunta, non devono avere una durata superiore ai 72 mesi.
È stata oggetto di conferma la previsione circa l’automaticità e gratuità dell’intervento, previa verifica del possesso dei requisiti richiesti, senza alcuna valutazione preventiva di merito del soggetto beneficiario.
In conclusione – sottolineando come il reale successo di tale misura sarà determinato dalla capacità dell’intero sistema creditizio di elaborare con celerità le numerosissime domande presentate e di fornire una rapida risposta alle imprese in difficoltà – si aggiunge che, all’art. 1 del Decreto ‘Liquidità’, è stata introdotta un’ulteriore misura di sostegno, avente carattere sussidiario, rappresentata dalla Garanzia SACE per le grandi imprese, le PMI e i professionisti che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia.
Moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
2020
La moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
Il Governo italiano, nel suo affannoso tentativo di arginare le drammatiche conseguenze che la diffusione pandemica del Coronavirus determinerà anche nel nostro Paese, ha dato vita ad una copiosa produzione normativa con la previsione – tra le altre misure – di varie forme di sostegno economico al sistema produttivo.
Da questo punto di vista, risulta imprescindibile tutelare le cd. ‘PMI’ (Piccole e medie imprese) che, considerata la loro rilevanza economica e capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, costituiscono la componente fondamentale del sistema economico italiano e la cui scomparsa determinerebbe incalcolabili danni e ricadute su tutti gli altri settori, cui sarebbe impossibile porre rimedio.
Per evitare un simile scenario, all’interno del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, il Governo all’art. 56 ha previsto una norma contenente “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”.
Viene così introdotta quella che può essere considerata una – seppur limitata – boccata d’ossigeno per le imprese di minor dimensione operanti in tutti i settori ed aventi sede in Italia.
Tale strumento rientra tra quegli interventi definibili come Aiuti di Stato consentiti dall’art. 107 TFUE, in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, in quanto diretto a porre rimedio ai danni causati da un simile evento eccezionale comportante un grave turbamento all’economia.
Si tratta, a ben vedere, di una moratoria sui prestiti concessi dalle Banche e dagli altri Intermediari Finanziari alle micro, piccole e medie imprese così come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE e cioè quelle con un numero di occupati inferiore alle 250 unità e con un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro, ovvero il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
Come precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’interno di questa previsione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi titolari di partita Iva.
Più nel dettaglio, la misura di sostegno finanziario contenuta nel co. 2, lett. c) dell’art. 56 consiste nella possibilità di ottenere, per mutui e altri finanziamenti a rimborso rateale, che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre del 2020 venga sospeso sino a tale data. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione verrà, pertanto, dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Presupposto necessario per poter beneficiare di tale previsione – oltre a quello relativo alla solvibilità dell’impresa, che non deve presentare esposizioni debitorie classificate come deteriorate – è quello della presentazione di una comunicazione contenente: l’indicazione del finanziamento per il quale è richiesta la moratoria, i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, la dichiarazione con la quale si autocertifica, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, con la consapevolezza delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci.
Tali comunicazioni, che possono essere presentate dalle imprese dal 17 marzo 2020, possono essere inviate anche tramite PEC o con altri sistemi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.
Lo strumento in esame, trattandosi di moratoria ad ampio spettro di applicazione e concepita in risposta al Covid-19, consente di evitare il processo che – viste le modifiche apportate al contratto originale della linea di credito – potrebbe condurre ad una classificazione a forbearance del finanziamento. Tale circostanza è stata confermata anche dall’EBA nelle sue linee guida del 2 aprile 2020, nelle quali si specifica che “l’applicazione della moratoria generale di pagamento di per sé non dovrebbe indurre a riclassificare un’esposizione come «forborne» (sia essa deteriorata o non deteriorata), a meno che non sia già stata classificata come «forborne» al momento dell’applicazione della moratoria”. Conseguenza è quella per cui potrà ricorrere a tale strumento anche l’impresa – in bonis – che abbia comunque ottenuto misure di sospensione o ristrutturazione dello stesso finanziamento nell’arco dei 24 mesi precedenti.
Nulla esclude, come per altro si sta già verificando, che i singoli istituti di credito possano, nel rispetto dei requisiti indicati dall’art. 56 del decreto, adottare previsioni maggiormente favorevoli per l’impresa, come potrebbe essere quella relativa al periodo di sospensione dei pagamenti, avendo riguardo al comportamento e alla situazione riguardante il debitore prima dell’esplosione della pandemia.
In attesa della conversione del decreto che, ai sensi dell’art. 77 Cost., deve avvenire entro 60 giorni dalla sua pubblicazione - oltre a porre particolare attenzione agli emendamenti che verranno presentati in tale occasione e che potrebbero condurre all’eliminazione dei requisiti dimensionali e di fatturato delle imprese per beneficiare della moratoria - è consigliabile per quelle attualmente escluse dalla norma – e cioè quelle in bonis di grandi dimensioni nonché quelle classificate come deteriorate – prendere contatti con i singoli istituti di credito per valutare l’adozione di misure analoghe.
Il diritto di famiglia al tempo del coronavirus
2020
L'Avvocato Stella intervistata da Il Dubbio
2020
presso Udine
Intervista all'Avvocato Alessandra Stella su Il Dubbio.
Intelligenza artificiale e giustizia, ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
2020
presso Udine
Assemblea dei legali del triveneto domani a Padova. Tra gli argomenti toccati ci saranno anche le implicazioni legate all’utilizzo degli algoritmi nella amministrazione della giustizia
AVVOCATI: Intelligenza artificiale e giustizia,
ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
Stella: “La giustizia predittiva è dietro l’angolo. Occorre essere pronti: in America si utilizza nel penale; in Estonia nelle cause risarcitorie. In Italia è già realtà in alcuni studi di Roma e Milano”
Padova 21 febbraio 2020 – 13 luglio 2016, Wisconsin (USA): la Suprema Corte conferma la sentenza pronunciata dal Tribunale circondariale di La Crosse, il quale aveva condannato Eric L. Loomis per ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Un caso che non presentava nulla di particolarmente rilevante, senonché il giudice di primo grado si era avvalso del programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), i cui algoritmi avevano calcolato come Loomis avesse un'elevata probabilità di recidiva.
L’Intelligenza Artificiale (in breve AI) consiste, in estrema sintesi, nel far riprodurre a strumenti robotici, attraverso calcoli e algoritmi, capacità e attività cognitive proprie dell’essere umano. La vita di ogni giorno ci offre esempi molto semplici: i traduttori automatici, i sistemi di riconoscimento facciale, i veicoli a guida autonoma. L’Intelligenza Artificiale è una realtà attuale, non più appartenente ad un futuro distopico, ed è oramai prossima ad abbracciare ogni ambito della società, tra cui – come dimostra il caso Looming – anche quello della giustizia. Altro esempio emblematico è quello dell’Estonia, dove si utilizza, in via sperimentale, un algoritmo per risolvere controversie con valore inferiore ai 7mila euro.
“Questa vicenda processuale – spiega la Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati Alessandra Stella, parlando del caso Looming – rappresenta il punto centrale della cosiddetta giustizia predittiva, che consiste nella possibilità di anticipare, tramite algoritmi commerciali, il probabile ragionamento del giudice e quindi la possibile sentenza. In pratica si predice la soluzione perché già a monte si sa che il giudice, quando andrà a decidere la questione, lo farà in un determinato modo. Non si tratta di un futuro lontano, ma di una realtà attuale anche in Italia. A Milano gli algoritmi sono già realtà in alcuni studi legali che li utilizzano per redigere, ad esempio, decreti ingiuntivi che vengono elaborati in pochi minuti senza richiedere tutta quella attività, molto più impegnativa, che viene affidata tradizionalmente al collaboratore di studio”.
I vantaggi e le semplificazioni che ne deriverebbero si possono facilmente immaginare; si pensi alle cosiddette “due diligence”, cioè l'attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all'oggetto di una trattativa finalizzata a valutare la convenienza di un affare. “Addirittura – spiega l’avv. Stella – se queste attività sono poste in essere dall'uomo hanno un margine di errore superiore rispetto al software il cui tasso di fallibilità è dello 0,2%. Praticamente perfetto. Ora, il sistema americano pare orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale. In Italia dobbiamo invece capire per tempo quali prospettive si aprano nell’organizzazione del lavoro dello studio o nella ordinaria attività degli uffici giudiziari. Da noi, del resto, le sentenze non hanno lo stesso valore che hanno nel sistema anglosassone dove costituiscono un precedente vincolante”.
Se non mancano i potenziali aspetti positivi della giustizia predittiva, lo stesso deve dirsi per dubbi e interrogativi: tra tutti, la garanzia della trasparenza del processo logico-decisionale applicato dal programma. Se è necessario poter leggere la motivazione di una sentenza pronunciata da un giudice “umano”, tale necessità si sentirà maggiormente per il caso in cui ad emettere la sentenza sia un giudice “robotico”. Per quanto il software potrà essere scritto seguendo criteri di traslazione in linguaggio matematico dei principi giuridici, trasformati in formule o algoritmi, sarà imprescindibile garantire la verifica dei passaggi tecnici: oltre, quindi, alla motivazione in sé, dovrà essere oggetto di verifica anche il procedimento informatico che ha portato alla motivazione stessa.
All’avvocato Stella fa eco il Presidente degli avvocati di Padova Leonardo Arnau: “Come funziona la giustizia predittiva? Prendiamo ad esempio una separazione tra coniugi: inseriamo nel programma i dati dei clienti, la consistenza del patrimonio, i dati sulla composizione del nucleo familiare, il tenore di vita, le abitudini di vita e l'algoritmo determina se sia dovuto e a quanto ammonti l'assegno di mantenimento, e come va diviso il patrimonio. Lo stesso per il penale: si inseriscono i precedenti, il tipo di personalità, e in ragione della giurisprudenza pregressa l'algoritmo determina la decisione”.
Ed ancora l’Avv. Stella: “Come avvocati non posso nascondere che c’è preoccupazione perché c'è un modo evidentemente differente di svolgere la professione e se queste nuove prospettive non vengono guidate correttamente, potrebbero incidere significativamente”.
Un punto di partenza potrebbe essere la Carta etica europea sull’uso dell’IA nei sistemi giudiziari e il loro ambiente, pubblicata dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa. La Carta etica europea, oltre ad incoraggiare l’uso di strumenti e servizi di IA per migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia, enuncia cinque principi ai quali ci si dovrà attenere: 1) principio di rispetto dei diritti fondamentali, 2) principio di non discriminazione, 3) principio di qualità e sicurezza, 4) principio di trasparenza, imparzialità ed equità e 5) principio “sotto il controllo dell’utente”.
Anche di questo si parlerà domani a Padova in occasione dell’Assemblea degli Avvocati del Triveneto. L’appuntamento è fissato per
Sabato 22 febbraio 2020 alle ore
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Interverranno tra gli altri:
Alessandra Stella - Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati
Leonardo Arnau – Presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova
La presenza di un giornalista della vostra testata sarà particolarmente gradita
Ufficio Stampa assemblea: Carlo Saccon Tel 3282170266
Cormons, assemblea dell'unione Triveneta dei consigli dell'ordine degli avvocati
2019
Link al video del TGR FVG, edizione delle 19:30 del 16 Settembre 2019. L'intervento parte dal minuto 15:20.
“Giustizia e diritti, programmi per l’Europa a confronto”
2019
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Di riforma in riforma”
2019
presso Padova
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Società tra avvocati, una vantaggiosa alternativa allo studio legale associato? Aspetti giuridici, fiscali, previdenziali e deontologici”
2019
presso Pordenone
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Quando i robot apriranno lo studio, Robot e Intelligenza artificiale al servizio del libero professionista”
2019
presso Vicenza
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“I profili personali e patrimoniali nella crisi di famiglia. Evoluzione giurisprudenziale”
2018
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
Le locazioni commerciali al tempo del Coronavirus
2020
Le locazioni commerciali ai tempi del coronavirus
L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus sta generando una grave crisi economica in quasi tutti i settori produttivi del Paese. I provvedimenti fortemente restrittivi hanno interessato la maggioranza delle attività commerciali le quali, impossibilitate a conseguire proventi, stanno affrontando il problema del pagamento dei canoni di locazione. Proprio in questo ambito, gli istituti tradizionali del nostro ordinamento giuridico stanno dimostrando la loro inadeguatezza nel fornire risposte utili ad affrontare la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Il Governo italiano, a far data dai primi provvedimenti adottati per fronteggiare il diffondersi del virus, ha suddiviso le attività produttive e gli esercizi commerciali in due categorie, a seconda della loro ‘essenzialità’ o meno.
Nel contesto emergenziale, tuttavia, sia i gestori delle attività consentite, così come di quelle sospese, stanno fronteggiando il problema relativo al pagamento dei canoni di locazione, principale obbligazione del conduttore.
Da questo punto di vista, le previsioni contenute nella normativa adottata in questi difficili giorni sono pressoché inesistenti ove si consideri che l’unica norma espressamente prevista è quella contenuta nell’art. 65 del D.L. 18/2020, riguardante esclusivamente le attività sospese con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020.
Tale norma prevede un bonus di carattere fiscale consistente in un credito di imposta a favore dei conduttori titolari di attività economiche che siano state sospese in quanto non essenziali. Più nel dettaglio, la misura – un credito di imposta pari al 60 % dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 – potrà essere utilizzata in compensazione con le imposte dovute, esclusivamente dagli intestatari di contratti di locazione di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
La misura di cui si discute, evidentemente, opera solamente a favore delle imprese che, nonostante le difficoltà, siano state in grado di pagare il canone di locazione. Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in assenza di pagamento non è possibile utilizzare il bonus.
L’introduzione del credito di imposta, seppur utile, non risolve tuttavia il problema della carenza di liquidità che le imprese stanno affrontando in quanto, se da un lato non potrà essere utilizzato in compensazione dalle attività non soggette agli obblighi di chiusura – le quali, comunque, potrebbero subire una riduzione del fatturato – dall’altro si rivela utile solo allorquando il conduttore sia stato effettivamente in grado di pagare il canone.
A ben vedere, il problema si pone a monte, e cioè nel momento in cui per il conduttore risulti impossibile adempiere – totalmente o parzialmente – alla propria obbligazione.
Il tema, pertanto, è quello di analizzare eventuali rimedi previsti in via generale dall’ordinamento giuridico, posto che, sicuramente, nei contratti di locazione stipulati ante coronavirus le parti non hanno previsto specifiche clausole contemplanti i comportamenti da tenere in fase di emergenza epidemiologica.
In termini generali, il contratto di locazione è l’accordo in virtù del quale il locatore si impegna a concedere al conduttore il godimento di una cosa, mobile o immobile, per un periodo di tempo determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, detto canone. L’obbligazione principale del conduttore è quella di pagare il canone nei termini convenuti, quella del locatore consiste nel mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto.
A ben vedere, i provvedimenti adottati a seguito della diffusione del coronavirus hanno avuto conseguenze riguardo alle obbligazioni di entrambe le parti del contratto.
Da un lato, infatti, la sospensione di moltissime attività ha avuto riflessi sulla capacità dei conduttori di far fronte alla propria obbligazione, consistente nel pagamento del canone.
Evidentemente, se una attività è stata sospesa, soprattutto quando di piccole dimensioni, il gestore/locatario potrebbe non disporre della liquidità necessaria.
Da questo punto di vista, sono almeno due gli istituti cui fare riferimento; vediamoli nel dettaglio.
Innanzitutto, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 1256 c.c. sostenendo l’impossibilità della sua prestazione, per causa ad esso non imputabile. Tuttavia, mentre può ritenersi corretto interpretare i provvedimenti dell’autorità amministrativa quali cause di impossibilità oggettiva, risulta più arduo configurare l’obbligazione del conduttore come impossibile materialmente. Il pagamento del canone, infatti, diversamente dalle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di genere limitato, non può dirsi mai oggettivamente impossibile.
L’altro istituto cui rivolgere l’attenzione è quello della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, previsto ex art. 1467 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Effettivamente, a causa della chiusura dei locali, il pagamento del corrispettivo potrebbe diventare eccessivamente oneroso. In tal caso, la norma riconosce al locatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto. Il terzo comma dell’art. 1467 c.c., tuttavia, in un’ottica manutentiva, consente al locatore di bilanciare nuovamente il sinallagma contrattuale proponendo una modifica equitativa del contratto, riducendo l’ammontare del canone. Si badi che, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa non ha diritto di sospendere unilateralmente il pagamento, dovendo invece agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
In aggiunta, a tutela del conduttore inadempiente è stata prevista una specifica norma ad opera della decretazione d’urgenza. Il riferimento è al comma 6 bis aggiunto all’art. 3 del D.L. 6/2020 con il D.L. ‘Cura Italia’. Tale previsione, considerando le inevitabili difficoltà che la diffusione del virus e i provvedimenti ad esso collegati avrebbe determinato nella regolare esecuzione dei contratti, sancisce – in maniera probabilmente ridondante – che ‘il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti’. In tal modo, il locatore potrebbe vedersi paralizzare la richiesta di risarcimento del danno arrecato dal conduttore a causa dell’inadempimento della sua obbligazione. La norma non contiene una presunzione per cui il rispetto delle misure previste dal Governo possa mandare esente il conduttore da responsabilità, bensì prescrive che il Giudice debba valutare l’esclusione della responsabilità del debitore, valutando di volta in volta le situazioni e comparando i diversi interessi in gioco.
Se si rivolge, invece, l’attenzione al locatore ed alla sua obbligazione, ecco che torna ad assumere rilevanza il tema della impossibilità della prestazione. Egli, infatti, si obbliga a mettere a disposizione del conduttore l’immobile non per un generico godimento, bensì per un utilizzo specifico consistente nello svolgimento di una determinata attività. Attività che, a causa dei provvedimenti adottati per favorire la regressione del virus, non può svolgersi. Sarebbe il locatore, pertanto, a non essere in grado di adempiere alla propria obbligazione. Il conduttore, infatti, pur avendo la materiale disponibilità della cosa, non può goderne - per tutto il periodo di vigenza del divieto - per lo svolgimento della specifica attività per cui aveva scelto di stipulare il contratto. Si determinerebbe, quindi, una impossibilità parziale della prestazione del locatore che legittimerebbe, conseguentemente, il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 c.c., a domandare una riduzione della prestazione da esso dovuta, ove non sia intenzionato a recedere dal contratto.
Gli istituti generali sin qui presi in considerazione hanno tutti la comune caratteristica di essere diretti alla risoluzione del contratto, fatta eccezione per la facoltà prevista in capo al creditore, nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, di evitare la caducazione del contratto proponendo una sua modifica.
Si deve però considerare che, nella situazione economica che stiamo attraversando, difficilmente le parti del contratto, non appena una della due risulti inadempiente, vorranno sciogliere il contratto, opzione che, invece, dovrebbe essere considerata quale extrema ratio.
Per entrambe le parti è più vantaggioso mantenere in vita il contratto. Se, infatti, per il locatore è innegabile che, ottenuto lo scioglimento del contratto, in questo momento difficilmente sarebbe in grado di individuare un nuovo conduttore, è altrettanto vero che anche il conduttore sarà interessato a far sopravvivere il contratto, nella speranza che – terminata la situazione di emergenza – sarà possibile riprendere nuovamente la propria attività.
Ecco quindi che, per soddisfare al meglio gli interessi delle parti ed evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale, il rimedio più adatto è rappresentato dal ricorso ai principi generali della correttezza e della buona fede. La parte colpita dagli effetti pregiudizievoli dell’emergenza sanitaria potrà chiedere alla propria controparte di rinegoziare i termini del contratto, prevedendo la sospensione del pagamento del canone oppure una sua riduzione, facendo appello ai summenzionati principi che trovano necessariamente applicazione in tutte le fasi della vicenda contrattuale. Corrispondentemente, in capo all’altra parte sussisterebbe un obbligo – fondato sui medesimi doveri, oltre che sul generale principio di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost. – di acconsentire alla rinegoziazione, accettando le modifiche proposte o proponendo delle nuove soluzioni che consentano di ristabilire l’equilibrio del rapporto contrattuale.
In conclusione, non si può non sottolineare come la situazione sia caratterizzata da assoluta ed inedita eccezionalità per fronteggiare la quale si reputa opportuno l’intervento del legislatore volto a disciplinare in modo specifico le fattispecie che si stanno venendo a creare e che, inevitabilmente, si creeranno.
In un’ottica disincentivante del ricorso all’Autorità giudiziaria, a mero titolo esemplificativo, potrebbe essere predeterminata una ripartizione tra il locatore e il conduttore dei costi causati dalla sospensione delle attività commerciali, nonché la previsione dell’incentivazione a raggiungere un accordo bonario tra le medesime parti, prevedendo degli sgravi fiscali.
PMI: prestiti fino a € 25.000,00 garantiti dallo stato
2020
PMI: prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato
Per assicurare la continuità dell’attività delle imprese, degli artigiani, dei lavoratori autonomi e dei professionisti in questa fase di emergenza sanitaria, il Consiglio dei Ministri ha individuato due forme di intervento complementari.
Si tratta della moratoria sui prestiti e dell’intervento del Fondo di garanzia per le PMI, entrambi previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” n. 17/2020.
Mentre la prima misura non è stata interessata dalle norme contenute nel D.L. 23/2020, le declinazioni dell’attività del Fondo Centrale di Garanzia hanno subito rilevanti modifiche ad opera Decreto ‘Liquidità’ riguardanti i massimali previsti, le percentuali di copertura, i requisiti soggettivi e i termini di accesso alla misura.
In generale, l’attività del Fondo di Garanzia consiste in un’agevolazione prevista dal Ministero dello Sviluppo economico che può essere attivata a fronte di finanziamenti erogati da Banche o altri intermediari finanziari e che non interviene direttamente nel rapporto tra Banca e Cliente, bensì sostituisce le onerose garanzie richieste per ottenere un finanziamento con la garanzia pubblica.
L’art. 13 del Decreto ‘Liquidità’, abrogando espressamente l’art. 49 del D.L. 17/2020, ne ha mantenuto l’impianto prevedendo quanto segue:
proroga dei termini di accesso alla misura sino al 31 dicembre 2020;
gratuità della concessione della garanzia;
incremento dei massimali di copertura sino all’importo di € 5 milioni per singola impresa;
estensione della platea dei soggetti beneficiari alle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 unità;
nonché, alla lett. m) del co. 1, una specifica misura di concessione di garanzia sui nuovi finanziamenti erogati dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore delle piccole e medie imprese come pure di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività è stata danneggiata dall’emergenza da COVID-19, come da autocertificazione.
Tale misura, cui si accede secondo un iter procedurale semplificato, consiste – previa autorizzazione della Commissione Europea ex art. 108 TFUE – in una garanzia pari al 100% dell’importo erogato, somma che non può superare il 25 % dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario e, in ogni caso, non può essere superiore a 25.000 euro. I ricavi sono quelli risultanti dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da “altra idonea documentazione”, anche mediante autocertificazione. Per gli esercenti arti e professioni, diversamente, il termine ‘ricavi’ dovrà essere considerato nell’accezione di ‘compensi’ riferiti all’anno d’imposta 2018.
Affinché operi la garanzia, per tali finanziamenti deve essere previsto il rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall’erogazione e gli stessi, in aggiunta, non devono avere una durata superiore ai 72 mesi.
È stata oggetto di conferma la previsione circa l’automaticità e gratuità dell’intervento, previa verifica del possesso dei requisiti richiesti, senza alcuna valutazione preventiva di merito del soggetto beneficiario.
In conclusione – sottolineando come il reale successo di tale misura sarà determinato dalla capacità dell’intero sistema creditizio di elaborare con celerità le numerosissime domande presentate e di fornire una rapida risposta alle imprese in difficoltà – si aggiunge che, all’art. 1 del Decreto ‘Liquidità’, è stata introdotta un’ulteriore misura di sostegno, avente carattere sussidiario, rappresentata dalla Garanzia SACE per le grandi imprese, le PMI e i professionisti che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia.
Moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
2020
La moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
Il Governo italiano, nel suo affannoso tentativo di arginare le drammatiche conseguenze che la diffusione pandemica del Coronavirus determinerà anche nel nostro Paese, ha dato vita ad una copiosa produzione normativa con la previsione – tra le altre misure – di varie forme di sostegno economico al sistema produttivo.
Da questo punto di vista, risulta imprescindibile tutelare le cd. ‘PMI’ (Piccole e medie imprese) che, considerata la loro rilevanza economica e capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, costituiscono la componente fondamentale del sistema economico italiano e la cui scomparsa determinerebbe incalcolabili danni e ricadute su tutti gli altri settori, cui sarebbe impossibile porre rimedio.
Per evitare un simile scenario, all’interno del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, il Governo all’art. 56 ha previsto una norma contenente “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”.
Viene così introdotta quella che può essere considerata una – seppur limitata – boccata d’ossigeno per le imprese di minor dimensione operanti in tutti i settori ed aventi sede in Italia.
Tale strumento rientra tra quegli interventi definibili come Aiuti di Stato consentiti dall’art. 107 TFUE, in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, in quanto diretto a porre rimedio ai danni causati da un simile evento eccezionale comportante un grave turbamento all’economia.
Si tratta, a ben vedere, di una moratoria sui prestiti concessi dalle Banche e dagli altri Intermediari Finanziari alle micro, piccole e medie imprese così come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE e cioè quelle con un numero di occupati inferiore alle 250 unità e con un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro, ovvero il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
Come precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’interno di questa previsione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi titolari di partita Iva.
Più nel dettaglio, la misura di sostegno finanziario contenuta nel co. 2, lett. c) dell’art. 56 consiste nella possibilità di ottenere, per mutui e altri finanziamenti a rimborso rateale, che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre del 2020 venga sospeso sino a tale data. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione verrà, pertanto, dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Presupposto necessario per poter beneficiare di tale previsione – oltre a quello relativo alla solvibilità dell’impresa, che non deve presentare esposizioni debitorie classificate come deteriorate – è quello della presentazione di una comunicazione contenente: l’indicazione del finanziamento per il quale è richiesta la moratoria, i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, la dichiarazione con la quale si autocertifica, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, con la consapevolezza delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci.
Tali comunicazioni, che possono essere presentate dalle imprese dal 17 marzo 2020, possono essere inviate anche tramite PEC o con altri sistemi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.
Lo strumento in esame, trattandosi di moratoria ad ampio spettro di applicazione e concepita in risposta al Covid-19, consente di evitare il processo che – viste le modifiche apportate al contratto originale della linea di credito – potrebbe condurre ad una classificazione a forbearance del finanziamento. Tale circostanza è stata confermata anche dall’EBA nelle sue linee guida del 2 aprile 2020, nelle quali si specifica che “l’applicazione della moratoria generale di pagamento di per sé non dovrebbe indurre a riclassificare un’esposizione come «forborne» (sia essa deteriorata o non deteriorata), a meno che non sia già stata classificata come «forborne» al momento dell’applicazione della moratoria”. Conseguenza è quella per cui potrà ricorrere a tale strumento anche l’impresa – in bonis – che abbia comunque ottenuto misure di sospensione o ristrutturazione dello stesso finanziamento nell’arco dei 24 mesi precedenti.
Nulla esclude, come per altro si sta già verificando, che i singoli istituti di credito possano, nel rispetto dei requisiti indicati dall’art. 56 del decreto, adottare previsioni maggiormente favorevoli per l’impresa, come potrebbe essere quella relativa al periodo di sospensione dei pagamenti, avendo riguardo al comportamento e alla situazione riguardante il debitore prima dell’esplosione della pandemia.
In attesa della conversione del decreto che, ai sensi dell’art. 77 Cost., deve avvenire entro 60 giorni dalla sua pubblicazione - oltre a porre particolare attenzione agli emendamenti che verranno presentati in tale occasione e che potrebbero condurre all’eliminazione dei requisiti dimensionali e di fatturato delle imprese per beneficiare della moratoria - è consigliabile per quelle attualmente escluse dalla norma – e cioè quelle in bonis di grandi dimensioni nonché quelle classificate come deteriorate – prendere contatti con i singoli istituti di credito per valutare l’adozione di misure analoghe.
Il diritto di famiglia al tempo del coronavirus
2020
L'Avvocato Stella intervistata da Il Dubbio
2020
presso Udine
Intervista all'Avvocato Alessandra Stella su Il Dubbio.
Intelligenza artificiale e giustizia, ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
2020
presso Udine
Assemblea dei legali del triveneto domani a Padova. Tra gli argomenti toccati ci saranno anche le implicazioni legate all’utilizzo degli algoritmi nella amministrazione della giustizia
AVVOCATI: Intelligenza artificiale e giustizia,
ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
Stella: “La giustizia predittiva è dietro l’angolo. Occorre essere pronti: in America si utilizza nel penale; in Estonia nelle cause risarcitorie. In Italia è già realtà in alcuni studi di Roma e Milano”
Padova 21 febbraio 2020 – 13 luglio 2016, Wisconsin (USA): la Suprema Corte conferma la sentenza pronunciata dal Tribunale circondariale di La Crosse, il quale aveva condannato Eric L. Loomis per ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Un caso che non presentava nulla di particolarmente rilevante, senonché il giudice di primo grado si era avvalso del programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), i cui algoritmi avevano calcolato come Loomis avesse un'elevata probabilità di recidiva.
L’Intelligenza Artificiale (in breve AI) consiste, in estrema sintesi, nel far riprodurre a strumenti robotici, attraverso calcoli e algoritmi, capacità e attività cognitive proprie dell’essere umano. La vita di ogni giorno ci offre esempi molto semplici: i traduttori automatici, i sistemi di riconoscimento facciale, i veicoli a guida autonoma. L’Intelligenza Artificiale è una realtà attuale, non più appartenente ad un futuro distopico, ed è oramai prossima ad abbracciare ogni ambito della società, tra cui – come dimostra il caso Looming – anche quello della giustizia. Altro esempio emblematico è quello dell’Estonia, dove si utilizza, in via sperimentale, un algoritmo per risolvere controversie con valore inferiore ai 7mila euro.
“Questa vicenda processuale – spiega la Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati Alessandra Stella, parlando del caso Looming – rappresenta il punto centrale della cosiddetta giustizia predittiva, che consiste nella possibilità di anticipare, tramite algoritmi commerciali, il probabile ragionamento del giudice e quindi la possibile sentenza. In pratica si predice la soluzione perché già a monte si sa che il giudice, quando andrà a decidere la questione, lo farà in un determinato modo. Non si tratta di un futuro lontano, ma di una realtà attuale anche in Italia. A Milano gli algoritmi sono già realtà in alcuni studi legali che li utilizzano per redigere, ad esempio, decreti ingiuntivi che vengono elaborati in pochi minuti senza richiedere tutta quella attività, molto più impegnativa, che viene affidata tradizionalmente al collaboratore di studio”.
I vantaggi e le semplificazioni che ne deriverebbero si possono facilmente immaginare; si pensi alle cosiddette “due diligence”, cioè l'attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all'oggetto di una trattativa finalizzata a valutare la convenienza di un affare. “Addirittura – spiega l’avv. Stella – se queste attività sono poste in essere dall'uomo hanno un margine di errore superiore rispetto al software il cui tasso di fallibilità è dello 0,2%. Praticamente perfetto. Ora, il sistema americano pare orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale. In Italia dobbiamo invece capire per tempo quali prospettive si aprano nell’organizzazione del lavoro dello studio o nella ordinaria attività degli uffici giudiziari. Da noi, del resto, le sentenze non hanno lo stesso valore che hanno nel sistema anglosassone dove costituiscono un precedente vincolante”.
Se non mancano i potenziali aspetti positivi della giustizia predittiva, lo stesso deve dirsi per dubbi e interrogativi: tra tutti, la garanzia della trasparenza del processo logico-decisionale applicato dal programma. Se è necessario poter leggere la motivazione di una sentenza pronunciata da un giudice “umano”, tale necessità si sentirà maggiormente per il caso in cui ad emettere la sentenza sia un giudice “robotico”. Per quanto il software potrà essere scritto seguendo criteri di traslazione in linguaggio matematico dei principi giuridici, trasformati in formule o algoritmi, sarà imprescindibile garantire la verifica dei passaggi tecnici: oltre, quindi, alla motivazione in sé, dovrà essere oggetto di verifica anche il procedimento informatico che ha portato alla motivazione stessa.
All’avvocato Stella fa eco il Presidente degli avvocati di Padova Leonardo Arnau: “Come funziona la giustizia predittiva? Prendiamo ad esempio una separazione tra coniugi: inseriamo nel programma i dati dei clienti, la consistenza del patrimonio, i dati sulla composizione del nucleo familiare, il tenore di vita, le abitudini di vita e l'algoritmo determina se sia dovuto e a quanto ammonti l'assegno di mantenimento, e come va diviso il patrimonio. Lo stesso per il penale: si inseriscono i precedenti, il tipo di personalità, e in ragione della giurisprudenza pregressa l'algoritmo determina la decisione”.
Ed ancora l’Avv. Stella: “Come avvocati non posso nascondere che c’è preoccupazione perché c'è un modo evidentemente differente di svolgere la professione e se queste nuove prospettive non vengono guidate correttamente, potrebbero incidere significativamente”.
Un punto di partenza potrebbe essere la Carta etica europea sull’uso dell’IA nei sistemi giudiziari e il loro ambiente, pubblicata dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa. La Carta etica europea, oltre ad incoraggiare l’uso di strumenti e servizi di IA per migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia, enuncia cinque principi ai quali ci si dovrà attenere: 1) principio di rispetto dei diritti fondamentali, 2) principio di non discriminazione, 3) principio di qualità e sicurezza, 4) principio di trasparenza, imparzialità ed equità e 5) principio “sotto il controllo dell’utente”.
Anche di questo si parlerà domani a Padova in occasione dell’Assemblea degli Avvocati del Triveneto. L’appuntamento è fissato per
Sabato 22 febbraio 2020 alle ore
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Interverranno tra gli altri:
Alessandra Stella - Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati
Leonardo Arnau – Presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova
La presenza di un giornalista della vostra testata sarà particolarmente gradita
Ufficio Stampa assemblea: Carlo Saccon Tel 3282170266
Cormons, assemblea dell'unione Triveneta dei consigli dell'ordine degli avvocati
2019
Link al video del TGR FVG, edizione delle 19:30 del 16 Settembre 2019. L'intervento parte dal minuto 15:20.
“Giustizia e diritti, programmi per l’Europa a confronto”
2019
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Di riforma in riforma”
2019
presso Padova
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Società tra avvocati, una vantaggiosa alternativa allo studio legale associato? Aspetti giuridici, fiscali, previdenziali e deontologici”
2019
presso Pordenone
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Quando i robot apriranno lo studio, Robot e Intelligenza artificiale al servizio del libero professionista”
2019
presso Vicenza
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“I profili personali e patrimoniali nella crisi di famiglia. Evoluzione giurisprudenziale”
2018
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
Le locazioni commerciali al tempo del Coronavirus
2020
Le locazioni commerciali ai tempi del coronavirus
L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus sta generando una grave crisi economica in quasi tutti i settori produttivi del Paese. I provvedimenti fortemente restrittivi hanno interessato la maggioranza delle attività commerciali le quali, impossibilitate a conseguire proventi, stanno affrontando il problema del pagamento dei canoni di locazione. Proprio in questo ambito, gli istituti tradizionali del nostro ordinamento giuridico stanno dimostrando la loro inadeguatezza nel fornire risposte utili ad affrontare la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Il Governo italiano, a far data dai primi provvedimenti adottati per fronteggiare il diffondersi del virus, ha suddiviso le attività produttive e gli esercizi commerciali in due categorie, a seconda della loro ‘essenzialità’ o meno.
Nel contesto emergenziale, tuttavia, sia i gestori delle attività consentite, così come di quelle sospese, stanno fronteggiando il problema relativo al pagamento dei canoni di locazione, principale obbligazione del conduttore.
Da questo punto di vista, le previsioni contenute nella normativa adottata in questi difficili giorni sono pressoché inesistenti ove si consideri che l’unica norma espressamente prevista è quella contenuta nell’art. 65 del D.L. 18/2020, riguardante esclusivamente le attività sospese con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020.
Tale norma prevede un bonus di carattere fiscale consistente in un credito di imposta a favore dei conduttori titolari di attività economiche che siano state sospese in quanto non essenziali. Più nel dettaglio, la misura – un credito di imposta pari al 60 % dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 – potrà essere utilizzata in compensazione con le imposte dovute, esclusivamente dagli intestatari di contratti di locazione di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
La misura di cui si discute, evidentemente, opera solamente a favore delle imprese che, nonostante le difficoltà, siano state in grado di pagare il canone di locazione. Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in assenza di pagamento non è possibile utilizzare il bonus.
L’introduzione del credito di imposta, seppur utile, non risolve tuttavia il problema della carenza di liquidità che le imprese stanno affrontando in quanto, se da un lato non potrà essere utilizzato in compensazione dalle attività non soggette agli obblighi di chiusura – le quali, comunque, potrebbero subire una riduzione del fatturato – dall’altro si rivela utile solo allorquando il conduttore sia stato effettivamente in grado di pagare il canone.
A ben vedere, il problema si pone a monte, e cioè nel momento in cui per il conduttore risulti impossibile adempiere – totalmente o parzialmente – alla propria obbligazione.
Il tema, pertanto, è quello di analizzare eventuali rimedi previsti in via generale dall’ordinamento giuridico, posto che, sicuramente, nei contratti di locazione stipulati ante coronavirus le parti non hanno previsto specifiche clausole contemplanti i comportamenti da tenere in fase di emergenza epidemiologica.
In termini generali, il contratto di locazione è l’accordo in virtù del quale il locatore si impegna a concedere al conduttore il godimento di una cosa, mobile o immobile, per un periodo di tempo determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, detto canone. L’obbligazione principale del conduttore è quella di pagare il canone nei termini convenuti, quella del locatore consiste nel mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto.
A ben vedere, i provvedimenti adottati a seguito della diffusione del coronavirus hanno avuto conseguenze riguardo alle obbligazioni di entrambe le parti del contratto.
Da un lato, infatti, la sospensione di moltissime attività ha avuto riflessi sulla capacità dei conduttori di far fronte alla propria obbligazione, consistente nel pagamento del canone.
Evidentemente, se una attività è stata sospesa, soprattutto quando di piccole dimensioni, il gestore/locatario potrebbe non disporre della liquidità necessaria.
Da questo punto di vista, sono almeno due gli istituti cui fare riferimento; vediamoli nel dettaglio.
Innanzitutto, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 1256 c.c. sostenendo l’impossibilità della sua prestazione, per causa ad esso non imputabile. Tuttavia, mentre può ritenersi corretto interpretare i provvedimenti dell’autorità amministrativa quali cause di impossibilità oggettiva, risulta più arduo configurare l’obbligazione del conduttore come impossibile materialmente. Il pagamento del canone, infatti, diversamente dalle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di genere limitato, non può dirsi mai oggettivamente impossibile.
L’altro istituto cui rivolgere l’attenzione è quello della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, previsto ex art. 1467 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Effettivamente, a causa della chiusura dei locali, il pagamento del corrispettivo potrebbe diventare eccessivamente oneroso. In tal caso, la norma riconosce al locatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto. Il terzo comma dell’art. 1467 c.c., tuttavia, in un’ottica manutentiva, consente al locatore di bilanciare nuovamente il sinallagma contrattuale proponendo una modifica equitativa del contratto, riducendo l’ammontare del canone. Si badi che, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa non ha diritto di sospendere unilateralmente il pagamento, dovendo invece agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
In aggiunta, a tutela del conduttore inadempiente è stata prevista una specifica norma ad opera della decretazione d’urgenza. Il riferimento è al comma 6 bis aggiunto all’art. 3 del D.L. 6/2020 con il D.L. ‘Cura Italia’. Tale previsione, considerando le inevitabili difficoltà che la diffusione del virus e i provvedimenti ad esso collegati avrebbe determinato nella regolare esecuzione dei contratti, sancisce – in maniera probabilmente ridondante – che ‘il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti’. In tal modo, il locatore potrebbe vedersi paralizzare la richiesta di risarcimento del danno arrecato dal conduttore a causa dell’inadempimento della sua obbligazione. La norma non contiene una presunzione per cui il rispetto delle misure previste dal Governo possa mandare esente il conduttore da responsabilità, bensì prescrive che il Giudice debba valutare l’esclusione della responsabilità del debitore, valutando di volta in volta le situazioni e comparando i diversi interessi in gioco.
Se si rivolge, invece, l’attenzione al locatore ed alla sua obbligazione, ecco che torna ad assumere rilevanza il tema della impossibilità della prestazione. Egli, infatti, si obbliga a mettere a disposizione del conduttore l’immobile non per un generico godimento, bensì per un utilizzo specifico consistente nello svolgimento di una determinata attività. Attività che, a causa dei provvedimenti adottati per favorire la regressione del virus, non può svolgersi. Sarebbe il locatore, pertanto, a non essere in grado di adempiere alla propria obbligazione. Il conduttore, infatti, pur avendo la materiale disponibilità della cosa, non può goderne - per tutto il periodo di vigenza del divieto - per lo svolgimento della specifica attività per cui aveva scelto di stipulare il contratto. Si determinerebbe, quindi, una impossibilità parziale della prestazione del locatore che legittimerebbe, conseguentemente, il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 c.c., a domandare una riduzione della prestazione da esso dovuta, ove non sia intenzionato a recedere dal contratto.
Gli istituti generali sin qui presi in considerazione hanno tutti la comune caratteristica di essere diretti alla risoluzione del contratto, fatta eccezione per la facoltà prevista in capo al creditore, nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, di evitare la caducazione del contratto proponendo una sua modifica.
Si deve però considerare che, nella situazione economica che stiamo attraversando, difficilmente le parti del contratto, non appena una della due risulti inadempiente, vorranno sciogliere il contratto, opzione che, invece, dovrebbe essere considerata quale extrema ratio.
Per entrambe le parti è più vantaggioso mantenere in vita il contratto. Se, infatti, per il locatore è innegabile che, ottenuto lo scioglimento del contratto, in questo momento difficilmente sarebbe in grado di individuare un nuovo conduttore, è altrettanto vero che anche il conduttore sarà interessato a far sopravvivere il contratto, nella speranza che – terminata la situazione di emergenza – sarà possibile riprendere nuovamente la propria attività.
Ecco quindi che, per soddisfare al meglio gli interessi delle parti ed evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale, il rimedio più adatto è rappresentato dal ricorso ai principi generali della correttezza e della buona fede. La parte colpita dagli effetti pregiudizievoli dell’emergenza sanitaria potrà chiedere alla propria controparte di rinegoziare i termini del contratto, prevedendo la sospensione del pagamento del canone oppure una sua riduzione, facendo appello ai summenzionati principi che trovano necessariamente applicazione in tutte le fasi della vicenda contrattuale. Corrispondentemente, in capo all’altra parte sussisterebbe un obbligo – fondato sui medesimi doveri, oltre che sul generale principio di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost. – di acconsentire alla rinegoziazione, accettando le modifiche proposte o proponendo delle nuove soluzioni che consentano di ristabilire l’equilibrio del rapporto contrattuale.
In conclusione, non si può non sottolineare come la situazione sia caratterizzata da assoluta ed inedita eccezionalità per fronteggiare la quale si reputa opportuno l’intervento del legislatore volto a disciplinare in modo specifico le fattispecie che si stanno venendo a creare e che, inevitabilmente, si creeranno.
In un’ottica disincentivante del ricorso all’Autorità giudiziaria, a mero titolo esemplificativo, potrebbe essere predeterminata una ripartizione tra il locatore e il conduttore dei costi causati dalla sospensione delle attività commerciali, nonché la previsione dell’incentivazione a raggiungere un accordo bonario tra le medesime parti, prevedendo degli sgravi fiscali.
PMI: prestiti fino a € 25.000,00 garantiti dallo stato
2020
PMI: prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato
Per assicurare la continuità dell’attività delle imprese, degli artigiani, dei lavoratori autonomi e dei professionisti in questa fase di emergenza sanitaria, il Consiglio dei Ministri ha individuato due forme di intervento complementari.
Si tratta della moratoria sui prestiti e dell’intervento del Fondo di garanzia per le PMI, entrambi previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” n. 17/2020.
Mentre la prima misura non è stata interessata dalle norme contenute nel D.L. 23/2020, le declinazioni dell’attività del Fondo Centrale di Garanzia hanno subito rilevanti modifiche ad opera Decreto ‘Liquidità’ riguardanti i massimali previsti, le percentuali di copertura, i requisiti soggettivi e i termini di accesso alla misura.
In generale, l’attività del Fondo di Garanzia consiste in un’agevolazione prevista dal Ministero dello Sviluppo economico che può essere attivata a fronte di finanziamenti erogati da Banche o altri intermediari finanziari e che non interviene direttamente nel rapporto tra Banca e Cliente, bensì sostituisce le onerose garanzie richieste per ottenere un finanziamento con la garanzia pubblica.
L’art. 13 del Decreto ‘Liquidità’, abrogando espressamente l’art. 49 del D.L. 17/2020, ne ha mantenuto l’impianto prevedendo quanto segue:
proroga dei termini di accesso alla misura sino al 31 dicembre 2020;
gratuità della concessione della garanzia;
incremento dei massimali di copertura sino all’importo di € 5 milioni per singola impresa;
estensione della platea dei soggetti beneficiari alle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 unità;
nonché, alla lett. m) del co. 1, una specifica misura di concessione di garanzia sui nuovi finanziamenti erogati dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore delle piccole e medie imprese come pure di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività è stata danneggiata dall’emergenza da COVID-19, come da autocertificazione.
Tale misura, cui si accede secondo un iter procedurale semplificato, consiste – previa autorizzazione della Commissione Europea ex art. 108 TFUE – in una garanzia pari al 100% dell’importo erogato, somma che non può superare il 25 % dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario e, in ogni caso, non può essere superiore a 25.000 euro. I ricavi sono quelli risultanti dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da “altra idonea documentazione”, anche mediante autocertificazione. Per gli esercenti arti e professioni, diversamente, il termine ‘ricavi’ dovrà essere considerato nell’accezione di ‘compensi’ riferiti all’anno d’imposta 2018.
Affinché operi la garanzia, per tali finanziamenti deve essere previsto il rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall’erogazione e gli stessi, in aggiunta, non devono avere una durata superiore ai 72 mesi.
È stata oggetto di conferma la previsione circa l’automaticità e gratuità dell’intervento, previa verifica del possesso dei requisiti richiesti, senza alcuna valutazione preventiva di merito del soggetto beneficiario.
In conclusione – sottolineando come il reale successo di tale misura sarà determinato dalla capacità dell’intero sistema creditizio di elaborare con celerità le numerosissime domande presentate e di fornire una rapida risposta alle imprese in difficoltà – si aggiunge che, all’art. 1 del Decreto ‘Liquidità’, è stata introdotta un’ulteriore misura di sostegno, avente carattere sussidiario, rappresentata dalla Garanzia SACE per le grandi imprese, le PMI e i professionisti che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia.
Moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
2020
La moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
Il Governo italiano, nel suo affannoso tentativo di arginare le drammatiche conseguenze che la diffusione pandemica del Coronavirus determinerà anche nel nostro Paese, ha dato vita ad una copiosa produzione normativa con la previsione – tra le altre misure – di varie forme di sostegno economico al sistema produttivo.
Da questo punto di vista, risulta imprescindibile tutelare le cd. ‘PMI’ (Piccole e medie imprese) che, considerata la loro rilevanza economica e capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, costituiscono la componente fondamentale del sistema economico italiano e la cui scomparsa determinerebbe incalcolabili danni e ricadute su tutti gli altri settori, cui sarebbe impossibile porre rimedio.
Per evitare un simile scenario, all’interno del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, il Governo all’art. 56 ha previsto una norma contenente “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”.
Viene così introdotta quella che può essere considerata una – seppur limitata – boccata d’ossigeno per le imprese di minor dimensione operanti in tutti i settori ed aventi sede in Italia.
Tale strumento rientra tra quegli interventi definibili come Aiuti di Stato consentiti dall’art. 107 TFUE, in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, in quanto diretto a porre rimedio ai danni causati da un simile evento eccezionale comportante un grave turbamento all’economia.
Si tratta, a ben vedere, di una moratoria sui prestiti concessi dalle Banche e dagli altri Intermediari Finanziari alle micro, piccole e medie imprese così come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE e cioè quelle con un numero di occupati inferiore alle 250 unità e con un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro, ovvero il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
Come precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’interno di questa previsione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi titolari di partita Iva.
Più nel dettaglio, la misura di sostegno finanziario contenuta nel co. 2, lett. c) dell’art. 56 consiste nella possibilità di ottenere, per mutui e altri finanziamenti a rimborso rateale, che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre del 2020 venga sospeso sino a tale data. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione verrà, pertanto, dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Presupposto necessario per poter beneficiare di tale previsione – oltre a quello relativo alla solvibilità dell’impresa, che non deve presentare esposizioni debitorie classificate come deteriorate – è quello della presentazione di una comunicazione contenente: l’indicazione del finanziamento per il quale è richiesta la moratoria, i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, la dichiarazione con la quale si autocertifica, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, con la consapevolezza delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci.
Tali comunicazioni, che possono essere presentate dalle imprese dal 17 marzo 2020, possono essere inviate anche tramite PEC o con altri sistemi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.
Lo strumento in esame, trattandosi di moratoria ad ampio spettro di applicazione e concepita in risposta al Covid-19, consente di evitare il processo che – viste le modifiche apportate al contratto originale della linea di credito – potrebbe condurre ad una classificazione a forbearance del finanziamento. Tale circostanza è stata confermata anche dall’EBA nelle sue linee guida del 2 aprile 2020, nelle quali si specifica che “l’applicazione della moratoria generale di pagamento di per sé non dovrebbe indurre a riclassificare un’esposizione come «forborne» (sia essa deteriorata o non deteriorata), a meno che non sia già stata classificata come «forborne» al momento dell’applicazione della moratoria”. Conseguenza è quella per cui potrà ricorrere a tale strumento anche l’impresa – in bonis – che abbia comunque ottenuto misure di sospensione o ristrutturazione dello stesso finanziamento nell’arco dei 24 mesi precedenti.
Nulla esclude, come per altro si sta già verificando, che i singoli istituti di credito possano, nel rispetto dei requisiti indicati dall’art. 56 del decreto, adottare previsioni maggiormente favorevoli per l’impresa, come potrebbe essere quella relativa al periodo di sospensione dei pagamenti, avendo riguardo al comportamento e alla situazione riguardante il debitore prima dell’esplosione della pandemia.
In attesa della conversione del decreto che, ai sensi dell’art. 77 Cost., deve avvenire entro 60 giorni dalla sua pubblicazione - oltre a porre particolare attenzione agli emendamenti che verranno presentati in tale occasione e che potrebbero condurre all’eliminazione dei requisiti dimensionali e di fatturato delle imprese per beneficiare della moratoria - è consigliabile per quelle attualmente escluse dalla norma – e cioè quelle in bonis di grandi dimensioni nonché quelle classificate come deteriorate – prendere contatti con i singoli istituti di credito per valutare l’adozione di misure analoghe.
Il diritto di famiglia al tempo del coronavirus
2020
L'Avvocato Stella intervistata da Il Dubbio
2020
presso Udine
Intervista all'Avvocato Alessandra Stella su Il Dubbio.
Intelligenza artificiale e giustizia, ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
2020
presso Udine
Assemblea dei legali del triveneto domani a Padova. Tra gli argomenti toccati ci saranno anche le implicazioni legate all’utilizzo degli algoritmi nella amministrazione della giustizia
AVVOCATI: Intelligenza artificiale e giustizia,
ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
Stella: “La giustizia predittiva è dietro l’angolo. Occorre essere pronti: in America si utilizza nel penale; in Estonia nelle cause risarcitorie. In Italia è già realtà in alcuni studi di Roma e Milano”
Padova 21 febbraio 2020 – 13 luglio 2016, Wisconsin (USA): la Suprema Corte conferma la sentenza pronunciata dal Tribunale circondariale di La Crosse, il quale aveva condannato Eric L. Loomis per ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Un caso che non presentava nulla di particolarmente rilevante, senonché il giudice di primo grado si era avvalso del programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), i cui algoritmi avevano calcolato come Loomis avesse un'elevata probabilità di recidiva.
L’Intelligenza Artificiale (in breve AI) consiste, in estrema sintesi, nel far riprodurre a strumenti robotici, attraverso calcoli e algoritmi, capacità e attività cognitive proprie dell’essere umano. La vita di ogni giorno ci offre esempi molto semplici: i traduttori automatici, i sistemi di riconoscimento facciale, i veicoli a guida autonoma. L’Intelligenza Artificiale è una realtà attuale, non più appartenente ad un futuro distopico, ed è oramai prossima ad abbracciare ogni ambito della società, tra cui – come dimostra il caso Looming – anche quello della giustizia. Altro esempio emblematico è quello dell’Estonia, dove si utilizza, in via sperimentale, un algoritmo per risolvere controversie con valore inferiore ai 7mila euro.
“Questa vicenda processuale – spiega la Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati Alessandra Stella, parlando del caso Looming – rappresenta il punto centrale della cosiddetta giustizia predittiva, che consiste nella possibilità di anticipare, tramite algoritmi commerciali, il probabile ragionamento del giudice e quindi la possibile sentenza. In pratica si predice la soluzione perché già a monte si sa che il giudice, quando andrà a decidere la questione, lo farà in un determinato modo. Non si tratta di un futuro lontano, ma di una realtà attuale anche in Italia. A Milano gli algoritmi sono già realtà in alcuni studi legali che li utilizzano per redigere, ad esempio, decreti ingiuntivi che vengono elaborati in pochi minuti senza richiedere tutta quella attività, molto più impegnativa, che viene affidata tradizionalmente al collaboratore di studio”.
I vantaggi e le semplificazioni che ne deriverebbero si possono facilmente immaginare; si pensi alle cosiddette “due diligence”, cioè l'attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all'oggetto di una trattativa finalizzata a valutare la convenienza di un affare. “Addirittura – spiega l’avv. Stella – se queste attività sono poste in essere dall'uomo hanno un margine di errore superiore rispetto al software il cui tasso di fallibilità è dello 0,2%. Praticamente perfetto. Ora, il sistema americano pare orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale. In Italia dobbiamo invece capire per tempo quali prospettive si aprano nell’organizzazione del lavoro dello studio o nella ordinaria attività degli uffici giudiziari. Da noi, del resto, le sentenze non hanno lo stesso valore che hanno nel sistema anglosassone dove costituiscono un precedente vincolante”.
Se non mancano i potenziali aspetti positivi della giustizia predittiva, lo stesso deve dirsi per dubbi e interrogativi: tra tutti, la garanzia della trasparenza del processo logico-decisionale applicato dal programma. Se è necessario poter leggere la motivazione di una sentenza pronunciata da un giudice “umano”, tale necessità si sentirà maggiormente per il caso in cui ad emettere la sentenza sia un giudice “robotico”. Per quanto il software potrà essere scritto seguendo criteri di traslazione in linguaggio matematico dei principi giuridici, trasformati in formule o algoritmi, sarà imprescindibile garantire la verifica dei passaggi tecnici: oltre, quindi, alla motivazione in sé, dovrà essere oggetto di verifica anche il procedimento informatico che ha portato alla motivazione stessa.
All’avvocato Stella fa eco il Presidente degli avvocati di Padova Leonardo Arnau: “Come funziona la giustizia predittiva? Prendiamo ad esempio una separazione tra coniugi: inseriamo nel programma i dati dei clienti, la consistenza del patrimonio, i dati sulla composizione del nucleo familiare, il tenore di vita, le abitudini di vita e l'algoritmo determina se sia dovuto e a quanto ammonti l'assegno di mantenimento, e come va diviso il patrimonio. Lo stesso per il penale: si inseriscono i precedenti, il tipo di personalità, e in ragione della giurisprudenza pregressa l'algoritmo determina la decisione”.
Ed ancora l’Avv. Stella: “Come avvocati non posso nascondere che c’è preoccupazione perché c'è un modo evidentemente differente di svolgere la professione e se queste nuove prospettive non vengono guidate correttamente, potrebbero incidere significativamente”.
Un punto di partenza potrebbe essere la Carta etica europea sull’uso dell’IA nei sistemi giudiziari e il loro ambiente, pubblicata dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa. La Carta etica europea, oltre ad incoraggiare l’uso di strumenti e servizi di IA per migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia, enuncia cinque principi ai quali ci si dovrà attenere: 1) principio di rispetto dei diritti fondamentali, 2) principio di non discriminazione, 3) principio di qualità e sicurezza, 4) principio di trasparenza, imparzialità ed equità e 5) principio “sotto il controllo dell’utente”.
Anche di questo si parlerà domani a Padova in occasione dell’Assemblea degli Avvocati del Triveneto. L’appuntamento è fissato per
Sabato 22 febbraio 2020 alle ore
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Interverranno tra gli altri:
Alessandra Stella - Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati
Leonardo Arnau – Presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova
La presenza di un giornalista della vostra testata sarà particolarmente gradita
Ufficio Stampa assemblea: Carlo Saccon Tel 3282170266
Cormons, assemblea dell'unione Triveneta dei consigli dell'ordine degli avvocati
2019
Link al video del TGR FVG, edizione delle 19:30 del 16 Settembre 2019. L'intervento parte dal minuto 15:20.
“Giustizia e diritti, programmi per l’Europa a confronto”
2019
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Di riforma in riforma”
2019
presso Padova
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Società tra avvocati, una vantaggiosa alternativa allo studio legale associato? Aspetti giuridici, fiscali, previdenziali e deontologici”
2019
presso Pordenone
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Quando i robot apriranno lo studio, Robot e Intelligenza artificiale al servizio del libero professionista”
2019
presso Vicenza
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“I profili personali e patrimoniali nella crisi di famiglia. Evoluzione giurisprudenziale”
2018
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
Le locazioni commerciali al tempo del Coronavirus
2020
Le locazioni commerciali ai tempi del coronavirus
L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus sta generando una grave crisi economica in quasi tutti i settori produttivi del Paese. I provvedimenti fortemente restrittivi hanno interessato la maggioranza delle attività commerciali le quali, impossibilitate a conseguire proventi, stanno affrontando il problema del pagamento dei canoni di locazione. Proprio in questo ambito, gli istituti tradizionali del nostro ordinamento giuridico stanno dimostrando la loro inadeguatezza nel fornire risposte utili ad affrontare la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Il Governo italiano, a far data dai primi provvedimenti adottati per fronteggiare il diffondersi del virus, ha suddiviso le attività produttive e gli esercizi commerciali in due categorie, a seconda della loro ‘essenzialità’ o meno.
Nel contesto emergenziale, tuttavia, sia i gestori delle attività consentite, così come di quelle sospese, stanno fronteggiando il problema relativo al pagamento dei canoni di locazione, principale obbligazione del conduttore.
Da questo punto di vista, le previsioni contenute nella normativa adottata in questi difficili giorni sono pressoché inesistenti ove si consideri che l’unica norma espressamente prevista è quella contenuta nell’art. 65 del D.L. 18/2020, riguardante esclusivamente le attività sospese con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020.
Tale norma prevede un bonus di carattere fiscale consistente in un credito di imposta a favore dei conduttori titolari di attività economiche che siano state sospese in quanto non essenziali. Più nel dettaglio, la misura – un credito di imposta pari al 60 % dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 – potrà essere utilizzata in compensazione con le imposte dovute, esclusivamente dagli intestatari di contratti di locazione di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
La misura di cui si discute, evidentemente, opera solamente a favore delle imprese che, nonostante le difficoltà, siano state in grado di pagare il canone di locazione. Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in assenza di pagamento non è possibile utilizzare il bonus.
L’introduzione del credito di imposta, seppur utile, non risolve tuttavia il problema della carenza di liquidità che le imprese stanno affrontando in quanto, se da un lato non potrà essere utilizzato in compensazione dalle attività non soggette agli obblighi di chiusura – le quali, comunque, potrebbero subire una riduzione del fatturato – dall’altro si rivela utile solo allorquando il conduttore sia stato effettivamente in grado di pagare il canone.
A ben vedere, il problema si pone a monte, e cioè nel momento in cui per il conduttore risulti impossibile adempiere – totalmente o parzialmente – alla propria obbligazione.
Il tema, pertanto, è quello di analizzare eventuali rimedi previsti in via generale dall’ordinamento giuridico, posto che, sicuramente, nei contratti di locazione stipulati ante coronavirus le parti non hanno previsto specifiche clausole contemplanti i comportamenti da tenere in fase di emergenza epidemiologica.
In termini generali, il contratto di locazione è l’accordo in virtù del quale il locatore si impegna a concedere al conduttore il godimento di una cosa, mobile o immobile, per un periodo di tempo determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, detto canone. L’obbligazione principale del conduttore è quella di pagare il canone nei termini convenuti, quella del locatore consiste nel mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto.
A ben vedere, i provvedimenti adottati a seguito della diffusione del coronavirus hanno avuto conseguenze riguardo alle obbligazioni di entrambe le parti del contratto.
Da un lato, infatti, la sospensione di moltissime attività ha avuto riflessi sulla capacità dei conduttori di far fronte alla propria obbligazione, consistente nel pagamento del canone.
Evidentemente, se una attività è stata sospesa, soprattutto quando di piccole dimensioni, il gestore/locatario potrebbe non disporre della liquidità necessaria.
Da questo punto di vista, sono almeno due gli istituti cui fare riferimento; vediamoli nel dettaglio.
Innanzitutto, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 1256 c.c. sostenendo l’impossibilità della sua prestazione, per causa ad esso non imputabile. Tuttavia, mentre può ritenersi corretto interpretare i provvedimenti dell’autorità amministrativa quali cause di impossibilità oggettiva, risulta più arduo configurare l’obbligazione del conduttore come impossibile materialmente. Il pagamento del canone, infatti, diversamente dalle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di genere limitato, non può dirsi mai oggettivamente impossibile.
L’altro istituto cui rivolgere l’attenzione è quello della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, previsto ex art. 1467 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Effettivamente, a causa della chiusura dei locali, il pagamento del corrispettivo potrebbe diventare eccessivamente oneroso. In tal caso, la norma riconosce al locatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto. Il terzo comma dell’art. 1467 c.c., tuttavia, in un’ottica manutentiva, consente al locatore di bilanciare nuovamente il sinallagma contrattuale proponendo una modifica equitativa del contratto, riducendo l’ammontare del canone. Si badi che, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa non ha diritto di sospendere unilateralmente il pagamento, dovendo invece agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
In aggiunta, a tutela del conduttore inadempiente è stata prevista una specifica norma ad opera della decretazione d’urgenza. Il riferimento è al comma 6 bis aggiunto all’art. 3 del D.L. 6/2020 con il D.L. ‘Cura Italia’. Tale previsione, considerando le inevitabili difficoltà che la diffusione del virus e i provvedimenti ad esso collegati avrebbe determinato nella regolare esecuzione dei contratti, sancisce – in maniera probabilmente ridondante – che ‘il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti’. In tal modo, il locatore potrebbe vedersi paralizzare la richiesta di risarcimento del danno arrecato dal conduttore a causa dell’inadempimento della sua obbligazione. La norma non contiene una presunzione per cui il rispetto delle misure previste dal Governo possa mandare esente il conduttore da responsabilità, bensì prescrive che il Giudice debba valutare l’esclusione della responsabilità del debitore, valutando di volta in volta le situazioni e comparando i diversi interessi in gioco.
Se si rivolge, invece, l’attenzione al locatore ed alla sua obbligazione, ecco che torna ad assumere rilevanza il tema della impossibilità della prestazione. Egli, infatti, si obbliga a mettere a disposizione del conduttore l’immobile non per un generico godimento, bensì per un utilizzo specifico consistente nello svolgimento di una determinata attività. Attività che, a causa dei provvedimenti adottati per favorire la regressione del virus, non può svolgersi. Sarebbe il locatore, pertanto, a non essere in grado di adempiere alla propria obbligazione. Il conduttore, infatti, pur avendo la materiale disponibilità della cosa, non può goderne - per tutto il periodo di vigenza del divieto - per lo svolgimento della specifica attività per cui aveva scelto di stipulare il contratto. Si determinerebbe, quindi, una impossibilità parziale della prestazione del locatore che legittimerebbe, conseguentemente, il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 c.c., a domandare una riduzione della prestazione da esso dovuta, ove non sia intenzionato a recedere dal contratto.
Gli istituti generali sin qui presi in considerazione hanno tutti la comune caratteristica di essere diretti alla risoluzione del contratto, fatta eccezione per la facoltà prevista in capo al creditore, nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, di evitare la caducazione del contratto proponendo una sua modifica.
Si deve però considerare che, nella situazione economica che stiamo attraversando, difficilmente le parti del contratto, non appena una della due risulti inadempiente, vorranno sciogliere il contratto, opzione che, invece, dovrebbe essere considerata quale extrema ratio.
Per entrambe le parti è più vantaggioso mantenere in vita il contratto. Se, infatti, per il locatore è innegabile che, ottenuto lo scioglimento del contratto, in questo momento difficilmente sarebbe in grado di individuare un nuovo conduttore, è altrettanto vero che anche il conduttore sarà interessato a far sopravvivere il contratto, nella speranza che – terminata la situazione di emergenza – sarà possibile riprendere nuovamente la propria attività.
Ecco quindi che, per soddisfare al meglio gli interessi delle parti ed evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale, il rimedio più adatto è rappresentato dal ricorso ai principi generali della correttezza e della buona fede. La parte colpita dagli effetti pregiudizievoli dell’emergenza sanitaria potrà chiedere alla propria controparte di rinegoziare i termini del contratto, prevedendo la sospensione del pagamento del canone oppure una sua riduzione, facendo appello ai summenzionati principi che trovano necessariamente applicazione in tutte le fasi della vicenda contrattuale. Corrispondentemente, in capo all’altra parte sussisterebbe un obbligo – fondato sui medesimi doveri, oltre che sul generale principio di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost. – di acconsentire alla rinegoziazione, accettando le modifiche proposte o proponendo delle nuove soluzioni che consentano di ristabilire l’equilibrio del rapporto contrattuale.
In conclusione, non si può non sottolineare come la situazione sia caratterizzata da assoluta ed inedita eccezionalità per fronteggiare la quale si reputa opportuno l’intervento del legislatore volto a disciplinare in modo specifico le fattispecie che si stanno venendo a creare e che, inevitabilmente, si creeranno.
In un’ottica disincentivante del ricorso all’Autorità giudiziaria, a mero titolo esemplificativo, potrebbe essere predeterminata una ripartizione tra il locatore e il conduttore dei costi causati dalla sospensione delle attività commerciali, nonché la previsione dell’incentivazione a raggiungere un accordo bonario tra le medesime parti, prevedendo degli sgravi fiscali.
PMI: prestiti fino a € 25.000,00 garantiti dallo stato
2020
PMI: prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato
Per assicurare la continuità dell’attività delle imprese, degli artigiani, dei lavoratori autonomi e dei professionisti in questa fase di emergenza sanitaria, il Consiglio dei Ministri ha individuato due forme di intervento complementari.
Si tratta della moratoria sui prestiti e dell’intervento del Fondo di garanzia per le PMI, entrambi previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” n. 17/2020.
Mentre la prima misura non è stata interessata dalle norme contenute nel D.L. 23/2020, le declinazioni dell’attività del Fondo Centrale di Garanzia hanno subito rilevanti modifiche ad opera Decreto ‘Liquidità’ riguardanti i massimali previsti, le percentuali di copertura, i requisiti soggettivi e i termini di accesso alla misura.
In generale, l’attività del Fondo di Garanzia consiste in un’agevolazione prevista dal Ministero dello Sviluppo economico che può essere attivata a fronte di finanziamenti erogati da Banche o altri intermediari finanziari e che non interviene direttamente nel rapporto tra Banca e Cliente, bensì sostituisce le onerose garanzie richieste per ottenere un finanziamento con la garanzia pubblica.
L’art. 13 del Decreto ‘Liquidità’, abrogando espressamente l’art. 49 del D.L. 17/2020, ne ha mantenuto l’impianto prevedendo quanto segue:
proroga dei termini di accesso alla misura sino al 31 dicembre 2020;
gratuità della concessione della garanzia;
incremento dei massimali di copertura sino all’importo di € 5 milioni per singola impresa;
estensione della platea dei soggetti beneficiari alle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 unità;
nonché, alla lett. m) del co. 1, una specifica misura di concessione di garanzia sui nuovi finanziamenti erogati dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore delle piccole e medie imprese come pure di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività è stata danneggiata dall’emergenza da COVID-19, come da autocertificazione.
Tale misura, cui si accede secondo un iter procedurale semplificato, consiste – previa autorizzazione della Commissione Europea ex art. 108 TFUE – in una garanzia pari al 100% dell’importo erogato, somma che non può superare il 25 % dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario e, in ogni caso, non può essere superiore a 25.000 euro. I ricavi sono quelli risultanti dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da “altra idonea documentazione”, anche mediante autocertificazione. Per gli esercenti arti e professioni, diversamente, il termine ‘ricavi’ dovrà essere considerato nell’accezione di ‘compensi’ riferiti all’anno d’imposta 2018.
Affinché operi la garanzia, per tali finanziamenti deve essere previsto il rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall’erogazione e gli stessi, in aggiunta, non devono avere una durata superiore ai 72 mesi.
È stata oggetto di conferma la previsione circa l’automaticità e gratuità dell’intervento, previa verifica del possesso dei requisiti richiesti, senza alcuna valutazione preventiva di merito del soggetto beneficiario.
In conclusione – sottolineando come il reale successo di tale misura sarà determinato dalla capacità dell’intero sistema creditizio di elaborare con celerità le numerosissime domande presentate e di fornire una rapida risposta alle imprese in difficoltà – si aggiunge che, all’art. 1 del Decreto ‘Liquidità’, è stata introdotta un’ulteriore misura di sostegno, avente carattere sussidiario, rappresentata dalla Garanzia SACE per le grandi imprese, le PMI e i professionisti che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia.
Moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
2020
La moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
Il Governo italiano, nel suo affannoso tentativo di arginare le drammatiche conseguenze che la diffusione pandemica del Coronavirus determinerà anche nel nostro Paese, ha dato vita ad una copiosa produzione normativa con la previsione – tra le altre misure – di varie forme di sostegno economico al sistema produttivo.
Da questo punto di vista, risulta imprescindibile tutelare le cd. ‘PMI’ (Piccole e medie imprese) che, considerata la loro rilevanza economica e capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, costituiscono la componente fondamentale del sistema economico italiano e la cui scomparsa determinerebbe incalcolabili danni e ricadute su tutti gli altri settori, cui sarebbe impossibile porre rimedio.
Per evitare un simile scenario, all’interno del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, il Governo all’art. 56 ha previsto una norma contenente “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”.
Viene così introdotta quella che può essere considerata una – seppur limitata – boccata d’ossigeno per le imprese di minor dimensione operanti in tutti i settori ed aventi sede in Italia.
Tale strumento rientra tra quegli interventi definibili come Aiuti di Stato consentiti dall’art. 107 TFUE, in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, in quanto diretto a porre rimedio ai danni causati da un simile evento eccezionale comportante un grave turbamento all’economia.
Si tratta, a ben vedere, di una moratoria sui prestiti concessi dalle Banche e dagli altri Intermediari Finanziari alle micro, piccole e medie imprese così come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE e cioè quelle con un numero di occupati inferiore alle 250 unità e con un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro, ovvero il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
Come precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’interno di questa previsione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi titolari di partita Iva.
Più nel dettaglio, la misura di sostegno finanziario contenuta nel co. 2, lett. c) dell’art. 56 consiste nella possibilità di ottenere, per mutui e altri finanziamenti a rimborso rateale, che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre del 2020 venga sospeso sino a tale data. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione verrà, pertanto, dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Presupposto necessario per poter beneficiare di tale previsione – oltre a quello relativo alla solvibilità dell’impresa, che non deve presentare esposizioni debitorie classificate come deteriorate – è quello della presentazione di una comunicazione contenente: l’indicazione del finanziamento per il quale è richiesta la moratoria, i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, la dichiarazione con la quale si autocertifica, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, con la consapevolezza delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci.
Tali comunicazioni, che possono essere presentate dalle imprese dal 17 marzo 2020, possono essere inviate anche tramite PEC o con altri sistemi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.
Lo strumento in esame, trattandosi di moratoria ad ampio spettro di applicazione e concepita in risposta al Covid-19, consente di evitare il processo che – viste le modifiche apportate al contratto originale della linea di credito – potrebbe condurre ad una classificazione a forbearance del finanziamento. Tale circostanza è stata confermata anche dall’EBA nelle sue linee guida del 2 aprile 2020, nelle quali si specifica che “l’applicazione della moratoria generale di pagamento di per sé non dovrebbe indurre a riclassificare un’esposizione come «forborne» (sia essa deteriorata o non deteriorata), a meno che non sia già stata classificata come «forborne» al momento dell’applicazione della moratoria”. Conseguenza è quella per cui potrà ricorrere a tale strumento anche l’impresa – in bonis – che abbia comunque ottenuto misure di sospensione o ristrutturazione dello stesso finanziamento nell’arco dei 24 mesi precedenti.
Nulla esclude, come per altro si sta già verificando, che i singoli istituti di credito possano, nel rispetto dei requisiti indicati dall’art. 56 del decreto, adottare previsioni maggiormente favorevoli per l’impresa, come potrebbe essere quella relativa al periodo di sospensione dei pagamenti, avendo riguardo al comportamento e alla situazione riguardante il debitore prima dell’esplosione della pandemia.
In attesa della conversione del decreto che, ai sensi dell’art. 77 Cost., deve avvenire entro 60 giorni dalla sua pubblicazione - oltre a porre particolare attenzione agli emendamenti che verranno presentati in tale occasione e che potrebbero condurre all’eliminazione dei requisiti dimensionali e di fatturato delle imprese per beneficiare della moratoria - è consigliabile per quelle attualmente escluse dalla norma – e cioè quelle in bonis di grandi dimensioni nonché quelle classificate come deteriorate – prendere contatti con i singoli istituti di credito per valutare l’adozione di misure analoghe.
Il diritto di famiglia al tempo del coronavirus
2020
L'Avvocato Stella intervistata da Il Dubbio
2020
presso Udine
Intervista all'Avvocato Alessandra Stella su Il Dubbio.
Intelligenza artificiale e giustizia, ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
2020
presso Udine
Assemblea dei legali del triveneto domani a Padova. Tra gli argomenti toccati ci saranno anche le implicazioni legate all’utilizzo degli algoritmi nella amministrazione della giustizia
AVVOCATI: Intelligenza artificiale e giustizia,
ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
Stella: “La giustizia predittiva è dietro l’angolo. Occorre essere pronti: in America si utilizza nel penale; in Estonia nelle cause risarcitorie. In Italia è già realtà in alcuni studi di Roma e Milano”
Padova 21 febbraio 2020 – 13 luglio 2016, Wisconsin (USA): la Suprema Corte conferma la sentenza pronunciata dal Tribunale circondariale di La Crosse, il quale aveva condannato Eric L. Loomis per ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Un caso che non presentava nulla di particolarmente rilevante, senonché il giudice di primo grado si era avvalso del programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), i cui algoritmi avevano calcolato come Loomis avesse un'elevata probabilità di recidiva.
L’Intelligenza Artificiale (in breve AI) consiste, in estrema sintesi, nel far riprodurre a strumenti robotici, attraverso calcoli e algoritmi, capacità e attività cognitive proprie dell’essere umano. La vita di ogni giorno ci offre esempi molto semplici: i traduttori automatici, i sistemi di riconoscimento facciale, i veicoli a guida autonoma. L’Intelligenza Artificiale è una realtà attuale, non più appartenente ad un futuro distopico, ed è oramai prossima ad abbracciare ogni ambito della società, tra cui – come dimostra il caso Looming – anche quello della giustizia. Altro esempio emblematico è quello dell’Estonia, dove si utilizza, in via sperimentale, un algoritmo per risolvere controversie con valore inferiore ai 7mila euro.
“Questa vicenda processuale – spiega la Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati Alessandra Stella, parlando del caso Looming – rappresenta il punto centrale della cosiddetta giustizia predittiva, che consiste nella possibilità di anticipare, tramite algoritmi commerciali, il probabile ragionamento del giudice e quindi la possibile sentenza. In pratica si predice la soluzione perché già a monte si sa che il giudice, quando andrà a decidere la questione, lo farà in un determinato modo. Non si tratta di un futuro lontano, ma di una realtà attuale anche in Italia. A Milano gli algoritmi sono già realtà in alcuni studi legali che li utilizzano per redigere, ad esempio, decreti ingiuntivi che vengono elaborati in pochi minuti senza richiedere tutta quella attività, molto più impegnativa, che viene affidata tradizionalmente al collaboratore di studio”.
I vantaggi e le semplificazioni che ne deriverebbero si possono facilmente immaginare; si pensi alle cosiddette “due diligence”, cioè l'attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all'oggetto di una trattativa finalizzata a valutare la convenienza di un affare. “Addirittura – spiega l’avv. Stella – se queste attività sono poste in essere dall'uomo hanno un margine di errore superiore rispetto al software il cui tasso di fallibilità è dello 0,2%. Praticamente perfetto. Ora, il sistema americano pare orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale. In Italia dobbiamo invece capire per tempo quali prospettive si aprano nell’organizzazione del lavoro dello studio o nella ordinaria attività degli uffici giudiziari. Da noi, del resto, le sentenze non hanno lo stesso valore che hanno nel sistema anglosassone dove costituiscono un precedente vincolante”.
Se non mancano i potenziali aspetti positivi della giustizia predittiva, lo stesso deve dirsi per dubbi e interrogativi: tra tutti, la garanzia della trasparenza del processo logico-decisionale applicato dal programma. Se è necessario poter leggere la motivazione di una sentenza pronunciata da un giudice “umano”, tale necessità si sentirà maggiormente per il caso in cui ad emettere la sentenza sia un giudice “robotico”. Per quanto il software potrà essere scritto seguendo criteri di traslazione in linguaggio matematico dei principi giuridici, trasformati in formule o algoritmi, sarà imprescindibile garantire la verifica dei passaggi tecnici: oltre, quindi, alla motivazione in sé, dovrà essere oggetto di verifica anche il procedimento informatico che ha portato alla motivazione stessa.
All’avvocato Stella fa eco il Presidente degli avvocati di Padova Leonardo Arnau: “Come funziona la giustizia predittiva? Prendiamo ad esempio una separazione tra coniugi: inseriamo nel programma i dati dei clienti, la consistenza del patrimonio, i dati sulla composizione del nucleo familiare, il tenore di vita, le abitudini di vita e l'algoritmo determina se sia dovuto e a quanto ammonti l'assegno di mantenimento, e come va diviso il patrimonio. Lo stesso per il penale: si inseriscono i precedenti, il tipo di personalità, e in ragione della giurisprudenza pregressa l'algoritmo determina la decisione”.
Ed ancora l’Avv. Stella: “Come avvocati non posso nascondere che c’è preoccupazione perché c'è un modo evidentemente differente di svolgere la professione e se queste nuove prospettive non vengono guidate correttamente, potrebbero incidere significativamente”.
Un punto di partenza potrebbe essere la Carta etica europea sull’uso dell’IA nei sistemi giudiziari e il loro ambiente, pubblicata dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa. La Carta etica europea, oltre ad incoraggiare l’uso di strumenti e servizi di IA per migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia, enuncia cinque principi ai quali ci si dovrà attenere: 1) principio di rispetto dei diritti fondamentali, 2) principio di non discriminazione, 3) principio di qualità e sicurezza, 4) principio di trasparenza, imparzialità ed equità e 5) principio “sotto il controllo dell’utente”.
Anche di questo si parlerà domani a Padova in occasione dell’Assemblea degli Avvocati del Triveneto. L’appuntamento è fissato per
Sabato 22 febbraio 2020 alle ore
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Interverranno tra gli altri:
Alessandra Stella - Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati
Leonardo Arnau – Presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova
La presenza di un giornalista della vostra testata sarà particolarmente gradita
Ufficio Stampa assemblea: Carlo Saccon Tel 3282170266
Cormons, assemblea dell'unione Triveneta dei consigli dell'ordine degli avvocati
2019
Link al video del TGR FVG, edizione delle 19:30 del 16 Settembre 2019. L'intervento parte dal minuto 15:20.
“Giustizia e diritti, programmi per l’Europa a confronto”
2019
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Di riforma in riforma”
2019
presso Padova
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Società tra avvocati, una vantaggiosa alternativa allo studio legale associato? Aspetti giuridici, fiscali, previdenziali e deontologici”
2019
presso Pordenone
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Quando i robot apriranno lo studio, Robot e Intelligenza artificiale al servizio del libero professionista”
2019
presso Vicenza
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“I profili personali e patrimoniali nella crisi di famiglia. Evoluzione giurisprudenziale”
2018
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
Le locazioni commerciali al tempo del Coronavirus
2020
Le locazioni commerciali ai tempi del coronavirus
L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus sta generando una grave crisi economica in quasi tutti i settori produttivi del Paese. I provvedimenti fortemente restrittivi hanno interessato la maggioranza delle attività commerciali le quali, impossibilitate a conseguire proventi, stanno affrontando il problema del pagamento dei canoni di locazione. Proprio in questo ambito, gli istituti tradizionali del nostro ordinamento giuridico stanno dimostrando la loro inadeguatezza nel fornire risposte utili ad affrontare la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Il Governo italiano, a far data dai primi provvedimenti adottati per fronteggiare il diffondersi del virus, ha suddiviso le attività produttive e gli esercizi commerciali in due categorie, a seconda della loro ‘essenzialità’ o meno.
Nel contesto emergenziale, tuttavia, sia i gestori delle attività consentite, così come di quelle sospese, stanno fronteggiando il problema relativo al pagamento dei canoni di locazione, principale obbligazione del conduttore.
Da questo punto di vista, le previsioni contenute nella normativa adottata in questi difficili giorni sono pressoché inesistenti ove si consideri che l’unica norma espressamente prevista è quella contenuta nell’art. 65 del D.L. 18/2020, riguardante esclusivamente le attività sospese con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020.
Tale norma prevede un bonus di carattere fiscale consistente in un credito di imposta a favore dei conduttori titolari di attività economiche che siano state sospese in quanto non essenziali. Più nel dettaglio, la misura – un credito di imposta pari al 60 % dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 – potrà essere utilizzata in compensazione con le imposte dovute, esclusivamente dagli intestatari di contratti di locazione di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
La misura di cui si discute, evidentemente, opera solamente a favore delle imprese che, nonostante le difficoltà, siano state in grado di pagare il canone di locazione. Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in assenza di pagamento non è possibile utilizzare il bonus.
L’introduzione del credito di imposta, seppur utile, non risolve tuttavia il problema della carenza di liquidità che le imprese stanno affrontando in quanto, se da un lato non potrà essere utilizzato in compensazione dalle attività non soggette agli obblighi di chiusura – le quali, comunque, potrebbero subire una riduzione del fatturato – dall’altro si rivela utile solo allorquando il conduttore sia stato effettivamente in grado di pagare il canone.
A ben vedere, il problema si pone a monte, e cioè nel momento in cui per il conduttore risulti impossibile adempiere – totalmente o parzialmente – alla propria obbligazione.
Il tema, pertanto, è quello di analizzare eventuali rimedi previsti in via generale dall’ordinamento giuridico, posto che, sicuramente, nei contratti di locazione stipulati ante coronavirus le parti non hanno previsto specifiche clausole contemplanti i comportamenti da tenere in fase di emergenza epidemiologica.
In termini generali, il contratto di locazione è l’accordo in virtù del quale il locatore si impegna a concedere al conduttore il godimento di una cosa, mobile o immobile, per un periodo di tempo determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, detto canone. L’obbligazione principale del conduttore è quella di pagare il canone nei termini convenuti, quella del locatore consiste nel mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto.
A ben vedere, i provvedimenti adottati a seguito della diffusione del coronavirus hanno avuto conseguenze riguardo alle obbligazioni di entrambe le parti del contratto.
Da un lato, infatti, la sospensione di moltissime attività ha avuto riflessi sulla capacità dei conduttori di far fronte alla propria obbligazione, consistente nel pagamento del canone.
Evidentemente, se una attività è stata sospesa, soprattutto quando di piccole dimensioni, il gestore/locatario potrebbe non disporre della liquidità necessaria.
Da questo punto di vista, sono almeno due gli istituti cui fare riferimento; vediamoli nel dettaglio.
Innanzitutto, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 1256 c.c. sostenendo l’impossibilità della sua prestazione, per causa ad esso non imputabile. Tuttavia, mentre può ritenersi corretto interpretare i provvedimenti dell’autorità amministrativa quali cause di impossibilità oggettiva, risulta più arduo configurare l’obbligazione del conduttore come impossibile materialmente. Il pagamento del canone, infatti, diversamente dalle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di genere limitato, non può dirsi mai oggettivamente impossibile.
L’altro istituto cui rivolgere l’attenzione è quello della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, previsto ex art. 1467 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Effettivamente, a causa della chiusura dei locali, il pagamento del corrispettivo potrebbe diventare eccessivamente oneroso. In tal caso, la norma riconosce al locatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto. Il terzo comma dell’art. 1467 c.c., tuttavia, in un’ottica manutentiva, consente al locatore di bilanciare nuovamente il sinallagma contrattuale proponendo una modifica equitativa del contratto, riducendo l’ammontare del canone. Si badi che, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa non ha diritto di sospendere unilateralmente il pagamento, dovendo invece agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
In aggiunta, a tutela del conduttore inadempiente è stata prevista una specifica norma ad opera della decretazione d’urgenza. Il riferimento è al comma 6 bis aggiunto all’art. 3 del D.L. 6/2020 con il D.L. ‘Cura Italia’. Tale previsione, considerando le inevitabili difficoltà che la diffusione del virus e i provvedimenti ad esso collegati avrebbe determinato nella regolare esecuzione dei contratti, sancisce – in maniera probabilmente ridondante – che ‘il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti’. In tal modo, il locatore potrebbe vedersi paralizzare la richiesta di risarcimento del danno arrecato dal conduttore a causa dell’inadempimento della sua obbligazione. La norma non contiene una presunzione per cui il rispetto delle misure previste dal Governo possa mandare esente il conduttore da responsabilità, bensì prescrive che il Giudice debba valutare l’esclusione della responsabilità del debitore, valutando di volta in volta le situazioni e comparando i diversi interessi in gioco.
Se si rivolge, invece, l’attenzione al locatore ed alla sua obbligazione, ecco che torna ad assumere rilevanza il tema della impossibilità della prestazione. Egli, infatti, si obbliga a mettere a disposizione del conduttore l’immobile non per un generico godimento, bensì per un utilizzo specifico consistente nello svolgimento di una determinata attività. Attività che, a causa dei provvedimenti adottati per favorire la regressione del virus, non può svolgersi. Sarebbe il locatore, pertanto, a non essere in grado di adempiere alla propria obbligazione. Il conduttore, infatti, pur avendo la materiale disponibilità della cosa, non può goderne - per tutto il periodo di vigenza del divieto - per lo svolgimento della specifica attività per cui aveva scelto di stipulare il contratto. Si determinerebbe, quindi, una impossibilità parziale della prestazione del locatore che legittimerebbe, conseguentemente, il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 c.c., a domandare una riduzione della prestazione da esso dovuta, ove non sia intenzionato a recedere dal contratto.
Gli istituti generali sin qui presi in considerazione hanno tutti la comune caratteristica di essere diretti alla risoluzione del contratto, fatta eccezione per la facoltà prevista in capo al creditore, nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, di evitare la caducazione del contratto proponendo una sua modifica.
Si deve però considerare che, nella situazione economica che stiamo attraversando, difficilmente le parti del contratto, non appena una della due risulti inadempiente, vorranno sciogliere il contratto, opzione che, invece, dovrebbe essere considerata quale extrema ratio.
Per entrambe le parti è più vantaggioso mantenere in vita il contratto. Se, infatti, per il locatore è innegabile che, ottenuto lo scioglimento del contratto, in questo momento difficilmente sarebbe in grado di individuare un nuovo conduttore, è altrettanto vero che anche il conduttore sarà interessato a far sopravvivere il contratto, nella speranza che – terminata la situazione di emergenza – sarà possibile riprendere nuovamente la propria attività.
Ecco quindi che, per soddisfare al meglio gli interessi delle parti ed evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale, il rimedio più adatto è rappresentato dal ricorso ai principi generali della correttezza e della buona fede. La parte colpita dagli effetti pregiudizievoli dell’emergenza sanitaria potrà chiedere alla propria controparte di rinegoziare i termini del contratto, prevedendo la sospensione del pagamento del canone oppure una sua riduzione, facendo appello ai summenzionati principi che trovano necessariamente applicazione in tutte le fasi della vicenda contrattuale. Corrispondentemente, in capo all’altra parte sussisterebbe un obbligo – fondato sui medesimi doveri, oltre che sul generale principio di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost. – di acconsentire alla rinegoziazione, accettando le modifiche proposte o proponendo delle nuove soluzioni che consentano di ristabilire l’equilibrio del rapporto contrattuale.
In conclusione, non si può non sottolineare come la situazione sia caratterizzata da assoluta ed inedita eccezionalità per fronteggiare la quale si reputa opportuno l’intervento del legislatore volto a disciplinare in modo specifico le fattispecie che si stanno venendo a creare e che, inevitabilmente, si creeranno.
In un’ottica disincentivante del ricorso all’Autorità giudiziaria, a mero titolo esemplificativo, potrebbe essere predeterminata una ripartizione tra il locatore e il conduttore dei costi causati dalla sospensione delle attività commerciali, nonché la previsione dell’incentivazione a raggiungere un accordo bonario tra le medesime parti, prevedendo degli sgravi fiscali.
PMI: prestiti fino a € 25.000,00 garantiti dallo stato
2020
PMI: prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato
Per assicurare la continuità dell’attività delle imprese, degli artigiani, dei lavoratori autonomi e dei professionisti in questa fase di emergenza sanitaria, il Consiglio dei Ministri ha individuato due forme di intervento complementari.
Si tratta della moratoria sui prestiti e dell’intervento del Fondo di garanzia per le PMI, entrambi previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” n. 17/2020.
Mentre la prima misura non è stata interessata dalle norme contenute nel D.L. 23/2020, le declinazioni dell’attività del Fondo Centrale di Garanzia hanno subito rilevanti modifiche ad opera Decreto ‘Liquidità’ riguardanti i massimali previsti, le percentuali di copertura, i requisiti soggettivi e i termini di accesso alla misura.
In generale, l’attività del Fondo di Garanzia consiste in un’agevolazione prevista dal Ministero dello Sviluppo economico che può essere attivata a fronte di finanziamenti erogati da Banche o altri intermediari finanziari e che non interviene direttamente nel rapporto tra Banca e Cliente, bensì sostituisce le onerose garanzie richieste per ottenere un finanziamento con la garanzia pubblica.
L’art. 13 del Decreto ‘Liquidità’, abrogando espressamente l’art. 49 del D.L. 17/2020, ne ha mantenuto l’impianto prevedendo quanto segue:
proroga dei termini di accesso alla misura sino al 31 dicembre 2020;
gratuità della concessione della garanzia;
incremento dei massimali di copertura sino all’importo di € 5 milioni per singola impresa;
estensione della platea dei soggetti beneficiari alle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 unità;
nonché, alla lett. m) del co. 1, una specifica misura di concessione di garanzia sui nuovi finanziamenti erogati dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore delle piccole e medie imprese come pure di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività è stata danneggiata dall’emergenza da COVID-19, come da autocertificazione.
Tale misura, cui si accede secondo un iter procedurale semplificato, consiste – previa autorizzazione della Commissione Europea ex art. 108 TFUE – in una garanzia pari al 100% dell’importo erogato, somma che non può superare il 25 % dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario e, in ogni caso, non può essere superiore a 25.000 euro. I ricavi sono quelli risultanti dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da “altra idonea documentazione”, anche mediante autocertificazione. Per gli esercenti arti e professioni, diversamente, il termine ‘ricavi’ dovrà essere considerato nell’accezione di ‘compensi’ riferiti all’anno d’imposta 2018.
Affinché operi la garanzia, per tali finanziamenti deve essere previsto il rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall’erogazione e gli stessi, in aggiunta, non devono avere una durata superiore ai 72 mesi.
È stata oggetto di conferma la previsione circa l’automaticità e gratuità dell’intervento, previa verifica del possesso dei requisiti richiesti, senza alcuna valutazione preventiva di merito del soggetto beneficiario.
In conclusione – sottolineando come il reale successo di tale misura sarà determinato dalla capacità dell’intero sistema creditizio di elaborare con celerità le numerosissime domande presentate e di fornire una rapida risposta alle imprese in difficoltà – si aggiunge che, all’art. 1 del Decreto ‘Liquidità’, è stata introdotta un’ulteriore misura di sostegno, avente carattere sussidiario, rappresentata dalla Garanzia SACE per le grandi imprese, le PMI e i professionisti che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia.
Moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
2020
La moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
Il Governo italiano, nel suo affannoso tentativo di arginare le drammatiche conseguenze che la diffusione pandemica del Coronavirus determinerà anche nel nostro Paese, ha dato vita ad una copiosa produzione normativa con la previsione – tra le altre misure – di varie forme di sostegno economico al sistema produttivo.
Da questo punto di vista, risulta imprescindibile tutelare le cd. ‘PMI’ (Piccole e medie imprese) che, considerata la loro rilevanza economica e capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, costituiscono la componente fondamentale del sistema economico italiano e la cui scomparsa determinerebbe incalcolabili danni e ricadute su tutti gli altri settori, cui sarebbe impossibile porre rimedio.
Per evitare un simile scenario, all’interno del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, il Governo all’art. 56 ha previsto una norma contenente “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”.
Viene così introdotta quella che può essere considerata una – seppur limitata – boccata d’ossigeno per le imprese di minor dimensione operanti in tutti i settori ed aventi sede in Italia.
Tale strumento rientra tra quegli interventi definibili come Aiuti di Stato consentiti dall’art. 107 TFUE, in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, in quanto diretto a porre rimedio ai danni causati da un simile evento eccezionale comportante un grave turbamento all’economia.
Si tratta, a ben vedere, di una moratoria sui prestiti concessi dalle Banche e dagli altri Intermediari Finanziari alle micro, piccole e medie imprese così come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE e cioè quelle con un numero di occupati inferiore alle 250 unità e con un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro, ovvero il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
Come precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’interno di questa previsione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi titolari di partita Iva.
Più nel dettaglio, la misura di sostegno finanziario contenuta nel co. 2, lett. c) dell’art. 56 consiste nella possibilità di ottenere, per mutui e altri finanziamenti a rimborso rateale, che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre del 2020 venga sospeso sino a tale data. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione verrà, pertanto, dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Presupposto necessario per poter beneficiare di tale previsione – oltre a quello relativo alla solvibilità dell’impresa, che non deve presentare esposizioni debitorie classificate come deteriorate – è quello della presentazione di una comunicazione contenente: l’indicazione del finanziamento per il quale è richiesta la moratoria, i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, la dichiarazione con la quale si autocertifica, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, con la consapevolezza delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci.
Tali comunicazioni, che possono essere presentate dalle imprese dal 17 marzo 2020, possono essere inviate anche tramite PEC o con altri sistemi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.
Lo strumento in esame, trattandosi di moratoria ad ampio spettro di applicazione e concepita in risposta al Covid-19, consente di evitare il processo che – viste le modifiche apportate al contratto originale della linea di credito – potrebbe condurre ad una classificazione a forbearance del finanziamento. Tale circostanza è stata confermata anche dall’EBA nelle sue linee guida del 2 aprile 2020, nelle quali si specifica che “l’applicazione della moratoria generale di pagamento di per sé non dovrebbe indurre a riclassificare un’esposizione come «forborne» (sia essa deteriorata o non deteriorata), a meno che non sia già stata classificata come «forborne» al momento dell’applicazione della moratoria”. Conseguenza è quella per cui potrà ricorrere a tale strumento anche l’impresa – in bonis – che abbia comunque ottenuto misure di sospensione o ristrutturazione dello stesso finanziamento nell’arco dei 24 mesi precedenti.
Nulla esclude, come per altro si sta già verificando, che i singoli istituti di credito possano, nel rispetto dei requisiti indicati dall’art. 56 del decreto, adottare previsioni maggiormente favorevoli per l’impresa, come potrebbe essere quella relativa al periodo di sospensione dei pagamenti, avendo riguardo al comportamento e alla situazione riguardante il debitore prima dell’esplosione della pandemia.
In attesa della conversione del decreto che, ai sensi dell’art. 77 Cost., deve avvenire entro 60 giorni dalla sua pubblicazione - oltre a porre particolare attenzione agli emendamenti che verranno presentati in tale occasione e che potrebbero condurre all’eliminazione dei requisiti dimensionali e di fatturato delle imprese per beneficiare della moratoria - è consigliabile per quelle attualmente escluse dalla norma – e cioè quelle in bonis di grandi dimensioni nonché quelle classificate come deteriorate – prendere contatti con i singoli istituti di credito per valutare l’adozione di misure analoghe.
Il diritto di famiglia al tempo del coronavirus
2020
L'Avvocato Stella intervistata da Il Dubbio
2020
presso Udine
Intervista all'Avvocato Alessandra Stella su Il Dubbio.
Intelligenza artificiale e giustizia, ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
2020
presso Udine
Assemblea dei legali del triveneto domani a Padova. Tra gli argomenti toccati ci saranno anche le implicazioni legate all’utilizzo degli algoritmi nella amministrazione della giustizia
AVVOCATI: Intelligenza artificiale e giustizia,
ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
Stella: “La giustizia predittiva è dietro l’angolo. Occorre essere pronti: in America si utilizza nel penale; in Estonia nelle cause risarcitorie. In Italia è già realtà in alcuni studi di Roma e Milano”
Padova 21 febbraio 2020 – 13 luglio 2016, Wisconsin (USA): la Suprema Corte conferma la sentenza pronunciata dal Tribunale circondariale di La Crosse, il quale aveva condannato Eric L. Loomis per ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Un caso che non presentava nulla di particolarmente rilevante, senonché il giudice di primo grado si era avvalso del programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), i cui algoritmi avevano calcolato come Loomis avesse un'elevata probabilità di recidiva.
L’Intelligenza Artificiale (in breve AI) consiste, in estrema sintesi, nel far riprodurre a strumenti robotici, attraverso calcoli e algoritmi, capacità e attività cognitive proprie dell’essere umano. La vita di ogni giorno ci offre esempi molto semplici: i traduttori automatici, i sistemi di riconoscimento facciale, i veicoli a guida autonoma. L’Intelligenza Artificiale è una realtà attuale, non più appartenente ad un futuro distopico, ed è oramai prossima ad abbracciare ogni ambito della società, tra cui – come dimostra il caso Looming – anche quello della giustizia. Altro esempio emblematico è quello dell’Estonia, dove si utilizza, in via sperimentale, un algoritmo per risolvere controversie con valore inferiore ai 7mila euro.
“Questa vicenda processuale – spiega la Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati Alessandra Stella, parlando del caso Looming – rappresenta il punto centrale della cosiddetta giustizia predittiva, che consiste nella possibilità di anticipare, tramite algoritmi commerciali, il probabile ragionamento del giudice e quindi la possibile sentenza. In pratica si predice la soluzione perché già a monte si sa che il giudice, quando andrà a decidere la questione, lo farà in un determinato modo. Non si tratta di un futuro lontano, ma di una realtà attuale anche in Italia. A Milano gli algoritmi sono già realtà in alcuni studi legali che li utilizzano per redigere, ad esempio, decreti ingiuntivi che vengono elaborati in pochi minuti senza richiedere tutta quella attività, molto più impegnativa, che viene affidata tradizionalmente al collaboratore di studio”.
I vantaggi e le semplificazioni che ne deriverebbero si possono facilmente immaginare; si pensi alle cosiddette “due diligence”, cioè l'attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all'oggetto di una trattativa finalizzata a valutare la convenienza di un affare. “Addirittura – spiega l’avv. Stella – se queste attività sono poste in essere dall'uomo hanno un margine di errore superiore rispetto al software il cui tasso di fallibilità è dello 0,2%. Praticamente perfetto. Ora, il sistema americano pare orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale. In Italia dobbiamo invece capire per tempo quali prospettive si aprano nell’organizzazione del lavoro dello studio o nella ordinaria attività degli uffici giudiziari. Da noi, del resto, le sentenze non hanno lo stesso valore che hanno nel sistema anglosassone dove costituiscono un precedente vincolante”.
Se non mancano i potenziali aspetti positivi della giustizia predittiva, lo stesso deve dirsi per dubbi e interrogativi: tra tutti, la garanzia della trasparenza del processo logico-decisionale applicato dal programma. Se è necessario poter leggere la motivazione di una sentenza pronunciata da un giudice “umano”, tale necessità si sentirà maggiormente per il caso in cui ad emettere la sentenza sia un giudice “robotico”. Per quanto il software potrà essere scritto seguendo criteri di traslazione in linguaggio matematico dei principi giuridici, trasformati in formule o algoritmi, sarà imprescindibile garantire la verifica dei passaggi tecnici: oltre, quindi, alla motivazione in sé, dovrà essere oggetto di verifica anche il procedimento informatico che ha portato alla motivazione stessa.
All’avvocato Stella fa eco il Presidente degli avvocati di Padova Leonardo Arnau: “Come funziona la giustizia predittiva? Prendiamo ad esempio una separazione tra coniugi: inseriamo nel programma i dati dei clienti, la consistenza del patrimonio, i dati sulla composizione del nucleo familiare, il tenore di vita, le abitudini di vita e l'algoritmo determina se sia dovuto e a quanto ammonti l'assegno di mantenimento, e come va diviso il patrimonio. Lo stesso per il penale: si inseriscono i precedenti, il tipo di personalità, e in ragione della giurisprudenza pregressa l'algoritmo determina la decisione”.
Ed ancora l’Avv. Stella: “Come avvocati non posso nascondere che c’è preoccupazione perché c'è un modo evidentemente differente di svolgere la professione e se queste nuove prospettive non vengono guidate correttamente, potrebbero incidere significativamente”.
Un punto di partenza potrebbe essere la Carta etica europea sull’uso dell’IA nei sistemi giudiziari e il loro ambiente, pubblicata dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa. La Carta etica europea, oltre ad incoraggiare l’uso di strumenti e servizi di IA per migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia, enuncia cinque principi ai quali ci si dovrà attenere: 1) principio di rispetto dei diritti fondamentali, 2) principio di non discriminazione, 3) principio di qualità e sicurezza, 4) principio di trasparenza, imparzialità ed equità e 5) principio “sotto il controllo dell’utente”.
Anche di questo si parlerà domani a Padova in occasione dell’Assemblea degli Avvocati del Triveneto. L’appuntamento è fissato per
Sabato 22 febbraio 2020 alle ore
xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx
Interverranno tra gli altri:
Alessandra Stella - Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati
Leonardo Arnau – Presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova
La presenza di un giornalista della vostra testata sarà particolarmente gradita
Ufficio Stampa assemblea: Carlo Saccon Tel 3282170266
Cormons, assemblea dell'unione Triveneta dei consigli dell'ordine degli avvocati
2019
Link al video del TGR FVG, edizione delle 19:30 del 16 Settembre 2019. L'intervento parte dal minuto 15:20.
“Giustizia e diritti, programmi per l’Europa a confronto”
2019
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Di riforma in riforma”
2019
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Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Società tra avvocati, una vantaggiosa alternativa allo studio legale associato? Aspetti giuridici, fiscali, previdenziali e deontologici”
2019
presso Pordenone
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Quando i robot apriranno lo studio, Robot e Intelligenza artificiale al servizio del libero professionista”
2019
presso Vicenza
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“I profili personali e patrimoniali nella crisi di famiglia. Evoluzione giurisprudenziale”
2018
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
Le locazioni commerciali al tempo del Coronavirus
2020
Le locazioni commerciali ai tempi del coronavirus
L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus sta generando una grave crisi economica in quasi tutti i settori produttivi del Paese. I provvedimenti fortemente restrittivi hanno interessato la maggioranza delle attività commerciali le quali, impossibilitate a conseguire proventi, stanno affrontando il problema del pagamento dei canoni di locazione. Proprio in questo ambito, gli istituti tradizionali del nostro ordinamento giuridico stanno dimostrando la loro inadeguatezza nel fornire risposte utili ad affrontare la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Il Governo italiano, a far data dai primi provvedimenti adottati per fronteggiare il diffondersi del virus, ha suddiviso le attività produttive e gli esercizi commerciali in due categorie, a seconda della loro ‘essenzialità’ o meno.
Nel contesto emergenziale, tuttavia, sia i gestori delle attività consentite, così come di quelle sospese, stanno fronteggiando il problema relativo al pagamento dei canoni di locazione, principale obbligazione del conduttore.
Da questo punto di vista, le previsioni contenute nella normativa adottata in questi difficili giorni sono pressoché inesistenti ove si consideri che l’unica norma espressamente prevista è quella contenuta nell’art. 65 del D.L. 18/2020, riguardante esclusivamente le attività sospese con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020.
Tale norma prevede un bonus di carattere fiscale consistente in un credito di imposta a favore dei conduttori titolari di attività economiche che siano state sospese in quanto non essenziali. Più nel dettaglio, la misura – un credito di imposta pari al 60 % dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 – potrà essere utilizzata in compensazione con le imposte dovute, esclusivamente dagli intestatari di contratti di locazione di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
La misura di cui si discute, evidentemente, opera solamente a favore delle imprese che, nonostante le difficoltà, siano state in grado di pagare il canone di locazione. Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in assenza di pagamento non è possibile utilizzare il bonus.
L’introduzione del credito di imposta, seppur utile, non risolve tuttavia il problema della carenza di liquidità che le imprese stanno affrontando in quanto, se da un lato non potrà essere utilizzato in compensazione dalle attività non soggette agli obblighi di chiusura – le quali, comunque, potrebbero subire una riduzione del fatturato – dall’altro si rivela utile solo allorquando il conduttore sia stato effettivamente in grado di pagare il canone.
A ben vedere, il problema si pone a monte, e cioè nel momento in cui per il conduttore risulti impossibile adempiere – totalmente o parzialmente – alla propria obbligazione.
Il tema, pertanto, è quello di analizzare eventuali rimedi previsti in via generale dall’ordinamento giuridico, posto che, sicuramente, nei contratti di locazione stipulati ante coronavirus le parti non hanno previsto specifiche clausole contemplanti i comportamenti da tenere in fase di emergenza epidemiologica.
In termini generali, il contratto di locazione è l’accordo in virtù del quale il locatore si impegna a concedere al conduttore il godimento di una cosa, mobile o immobile, per un periodo di tempo determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, detto canone. L’obbligazione principale del conduttore è quella di pagare il canone nei termini convenuti, quella del locatore consiste nel mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto.
A ben vedere, i provvedimenti adottati a seguito della diffusione del coronavirus hanno avuto conseguenze riguardo alle obbligazioni di entrambe le parti del contratto.
Da un lato, infatti, la sospensione di moltissime attività ha avuto riflessi sulla capacità dei conduttori di far fronte alla propria obbligazione, consistente nel pagamento del canone.
Evidentemente, se una attività è stata sospesa, soprattutto quando di piccole dimensioni, il gestore/locatario potrebbe non disporre della liquidità necessaria.
Da questo punto di vista, sono almeno due gli istituti cui fare riferimento; vediamoli nel dettaglio.
Innanzitutto, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 1256 c.c. sostenendo l’impossibilità della sua prestazione, per causa ad esso non imputabile. Tuttavia, mentre può ritenersi corretto interpretare i provvedimenti dell’autorità amministrativa quali cause di impossibilità oggettiva, risulta più arduo configurare l’obbligazione del conduttore come impossibile materialmente. Il pagamento del canone, infatti, diversamente dalle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di genere limitato, non può dirsi mai oggettivamente impossibile.
L’altro istituto cui rivolgere l’attenzione è quello della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, previsto ex art. 1467 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Effettivamente, a causa della chiusura dei locali, il pagamento del corrispettivo potrebbe diventare eccessivamente oneroso. In tal caso, la norma riconosce al locatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto. Il terzo comma dell’art. 1467 c.c., tuttavia, in un’ottica manutentiva, consente al locatore di bilanciare nuovamente il sinallagma contrattuale proponendo una modifica equitativa del contratto, riducendo l’ammontare del canone. Si badi che, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa non ha diritto di sospendere unilateralmente il pagamento, dovendo invece agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
In aggiunta, a tutela del conduttore inadempiente è stata prevista una specifica norma ad opera della decretazione d’urgenza. Il riferimento è al comma 6 bis aggiunto all’art. 3 del D.L. 6/2020 con il D.L. ‘Cura Italia’. Tale previsione, considerando le inevitabili difficoltà che la diffusione del virus e i provvedimenti ad esso collegati avrebbe determinato nella regolare esecuzione dei contratti, sancisce – in maniera probabilmente ridondante – che ‘il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti’. In tal modo, il locatore potrebbe vedersi paralizzare la richiesta di risarcimento del danno arrecato dal conduttore a causa dell’inadempimento della sua obbligazione. La norma non contiene una presunzione per cui il rispetto delle misure previste dal Governo possa mandare esente il conduttore da responsabilità, bensì prescrive che il Giudice debba valutare l’esclusione della responsabilità del debitore, valutando di volta in volta le situazioni e comparando i diversi interessi in gioco.
Se si rivolge, invece, l’attenzione al locatore ed alla sua obbligazione, ecco che torna ad assumere rilevanza il tema della impossibilità della prestazione. Egli, infatti, si obbliga a mettere a disposizione del conduttore l’immobile non per un generico godimento, bensì per un utilizzo specifico consistente nello svolgimento di una determinata attività. Attività che, a causa dei provvedimenti adottati per favorire la regressione del virus, non può svolgersi. Sarebbe il locatore, pertanto, a non essere in grado di adempiere alla propria obbligazione. Il conduttore, infatti, pur avendo la materiale disponibilità della cosa, non può goderne - per tutto il periodo di vigenza del divieto - per lo svolgimento della specifica attività per cui aveva scelto di stipulare il contratto. Si determinerebbe, quindi, una impossibilità parziale della prestazione del locatore che legittimerebbe, conseguentemente, il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 c.c., a domandare una riduzione della prestazione da esso dovuta, ove non sia intenzionato a recedere dal contratto.
Gli istituti generali sin qui presi in considerazione hanno tutti la comune caratteristica di essere diretti alla risoluzione del contratto, fatta eccezione per la facoltà prevista in capo al creditore, nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, di evitare la caducazione del contratto proponendo una sua modifica.
Si deve però considerare che, nella situazione economica che stiamo attraversando, difficilmente le parti del contratto, non appena una della due risulti inadempiente, vorranno sciogliere il contratto, opzione che, invece, dovrebbe essere considerata quale extrema ratio.
Per entrambe le parti è più vantaggioso mantenere in vita il contratto. Se, infatti, per il locatore è innegabile che, ottenuto lo scioglimento del contratto, in questo momento difficilmente sarebbe in grado di individuare un nuovo conduttore, è altrettanto vero che anche il conduttore sarà interessato a far sopravvivere il contratto, nella speranza che – terminata la situazione di emergenza – sarà possibile riprendere nuovamente la propria attività.
Ecco quindi che, per soddisfare al meglio gli interessi delle parti ed evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale, il rimedio più adatto è rappresentato dal ricorso ai principi generali della correttezza e della buona fede. La parte colpita dagli effetti pregiudizievoli dell’emergenza sanitaria potrà chiedere alla propria controparte di rinegoziare i termini del contratto, prevedendo la sospensione del pagamento del canone oppure una sua riduzione, facendo appello ai summenzionati principi che trovano necessariamente applicazione in tutte le fasi della vicenda contrattuale. Corrispondentemente, in capo all’altra parte sussisterebbe un obbligo – fondato sui medesimi doveri, oltre che sul generale principio di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost. – di acconsentire alla rinegoziazione, accettando le modifiche proposte o proponendo delle nuove soluzioni che consentano di ristabilire l’equilibrio del rapporto contrattuale.
In conclusione, non si può non sottolineare come la situazione sia caratterizzata da assoluta ed inedita eccezionalità per fronteggiare la quale si reputa opportuno l’intervento del legislatore volto a disciplinare in modo specifico le fattispecie che si stanno venendo a creare e che, inevitabilmente, si creeranno.
In un’ottica disincentivante del ricorso all’Autorità giudiziaria, a mero titolo esemplificativo, potrebbe essere predeterminata una ripartizione tra il locatore e il conduttore dei costi causati dalla sospensione delle attività commerciali, nonché la previsione dell’incentivazione a raggiungere un accordo bonario tra le medesime parti, prevedendo degli sgravi fiscali.
PMI: prestiti fino a € 25.000,00 garantiti dallo stato
2020
PMI: prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato
Per assicurare la continuità dell’attività delle imprese, degli artigiani, dei lavoratori autonomi e dei professionisti in questa fase di emergenza sanitaria, il Consiglio dei Ministri ha individuato due forme di intervento complementari.
Si tratta della moratoria sui prestiti e dell’intervento del Fondo di garanzia per le PMI, entrambi previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” n. 17/2020.
Mentre la prima misura non è stata interessata dalle norme contenute nel D.L. 23/2020, le declinazioni dell’attività del Fondo Centrale di Garanzia hanno subito rilevanti modifiche ad opera Decreto ‘Liquidità’ riguardanti i massimali previsti, le percentuali di copertura, i requisiti soggettivi e i termini di accesso alla misura.
In generale, l’attività del Fondo di Garanzia consiste in un’agevolazione prevista dal Ministero dello Sviluppo economico che può essere attivata a fronte di finanziamenti erogati da Banche o altri intermediari finanziari e che non interviene direttamente nel rapporto tra Banca e Cliente, bensì sostituisce le onerose garanzie richieste per ottenere un finanziamento con la garanzia pubblica.
L’art. 13 del Decreto ‘Liquidità’, abrogando espressamente l’art. 49 del D.L. 17/2020, ne ha mantenuto l’impianto prevedendo quanto segue:
proroga dei termini di accesso alla misura sino al 31 dicembre 2020;
gratuità della concessione della garanzia;
incremento dei massimali di copertura sino all’importo di € 5 milioni per singola impresa;
estensione della platea dei soggetti beneficiari alle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 unità;
nonché, alla lett. m) del co. 1, una specifica misura di concessione di garanzia sui nuovi finanziamenti erogati dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore delle piccole e medie imprese come pure di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività è stata danneggiata dall’emergenza da COVID-19, come da autocertificazione.
Tale misura, cui si accede secondo un iter procedurale semplificato, consiste – previa autorizzazione della Commissione Europea ex art. 108 TFUE – in una garanzia pari al 100% dell’importo erogato, somma che non può superare il 25 % dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario e, in ogni caso, non può essere superiore a 25.000 euro. I ricavi sono quelli risultanti dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da “altra idonea documentazione”, anche mediante autocertificazione. Per gli esercenti arti e professioni, diversamente, il termine ‘ricavi’ dovrà essere considerato nell’accezione di ‘compensi’ riferiti all’anno d’imposta 2018.
Affinché operi la garanzia, per tali finanziamenti deve essere previsto il rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall’erogazione e gli stessi, in aggiunta, non devono avere una durata superiore ai 72 mesi.
È stata oggetto di conferma la previsione circa l’automaticità e gratuità dell’intervento, previa verifica del possesso dei requisiti richiesti, senza alcuna valutazione preventiva di merito del soggetto beneficiario.
In conclusione – sottolineando come il reale successo di tale misura sarà determinato dalla capacità dell’intero sistema creditizio di elaborare con celerità le numerosissime domande presentate e di fornire una rapida risposta alle imprese in difficoltà – si aggiunge che, all’art. 1 del Decreto ‘Liquidità’, è stata introdotta un’ulteriore misura di sostegno, avente carattere sussidiario, rappresentata dalla Garanzia SACE per le grandi imprese, le PMI e i professionisti che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia.
Moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
2020
La moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
Il Governo italiano, nel suo affannoso tentativo di arginare le drammatiche conseguenze che la diffusione pandemica del Coronavirus determinerà anche nel nostro Paese, ha dato vita ad una copiosa produzione normativa con la previsione – tra le altre misure – di varie forme di sostegno economico al sistema produttivo.
Da questo punto di vista, risulta imprescindibile tutelare le cd. ‘PMI’ (Piccole e medie imprese) che, considerata la loro rilevanza economica e capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, costituiscono la componente fondamentale del sistema economico italiano e la cui scomparsa determinerebbe incalcolabili danni e ricadute su tutti gli altri settori, cui sarebbe impossibile porre rimedio.
Per evitare un simile scenario, all’interno del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, il Governo all’art. 56 ha previsto una norma contenente “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”.
Viene così introdotta quella che può essere considerata una – seppur limitata – boccata d’ossigeno per le imprese di minor dimensione operanti in tutti i settori ed aventi sede in Italia.
Tale strumento rientra tra quegli interventi definibili come Aiuti di Stato consentiti dall’art. 107 TFUE, in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, in quanto diretto a porre rimedio ai danni causati da un simile evento eccezionale comportante un grave turbamento all’economia.
Si tratta, a ben vedere, di una moratoria sui prestiti concessi dalle Banche e dagli altri Intermediari Finanziari alle micro, piccole e medie imprese così come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE e cioè quelle con un numero di occupati inferiore alle 250 unità e con un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro, ovvero il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
Come precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’interno di questa previsione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi titolari di partita Iva.
Più nel dettaglio, la misura di sostegno finanziario contenuta nel co. 2, lett. c) dell’art. 56 consiste nella possibilità di ottenere, per mutui e altri finanziamenti a rimborso rateale, che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre del 2020 venga sospeso sino a tale data. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione verrà, pertanto, dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Presupposto necessario per poter beneficiare di tale previsione – oltre a quello relativo alla solvibilità dell’impresa, che non deve presentare esposizioni debitorie classificate come deteriorate – è quello della presentazione di una comunicazione contenente: l’indicazione del finanziamento per il quale è richiesta la moratoria, i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, la dichiarazione con la quale si autocertifica, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, con la consapevolezza delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci.
Tali comunicazioni, che possono essere presentate dalle imprese dal 17 marzo 2020, possono essere inviate anche tramite PEC o con altri sistemi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.
Lo strumento in esame, trattandosi di moratoria ad ampio spettro di applicazione e concepita in risposta al Covid-19, consente di evitare il processo che – viste le modifiche apportate al contratto originale della linea di credito – potrebbe condurre ad una classificazione a forbearance del finanziamento. Tale circostanza è stata confermata anche dall’EBA nelle sue linee guida del 2 aprile 2020, nelle quali si specifica che “l’applicazione della moratoria generale di pagamento di per sé non dovrebbe indurre a riclassificare un’esposizione come «forborne» (sia essa deteriorata o non deteriorata), a meno che non sia già stata classificata come «forborne» al momento dell’applicazione della moratoria”. Conseguenza è quella per cui potrà ricorrere a tale strumento anche l’impresa – in bonis – che abbia comunque ottenuto misure di sospensione o ristrutturazione dello stesso finanziamento nell’arco dei 24 mesi precedenti.
Nulla esclude, come per altro si sta già verificando, che i singoli istituti di credito possano, nel rispetto dei requisiti indicati dall’art. 56 del decreto, adottare previsioni maggiormente favorevoli per l’impresa, come potrebbe essere quella relativa al periodo di sospensione dei pagamenti, avendo riguardo al comportamento e alla situazione riguardante il debitore prima dell’esplosione della pandemia.
In attesa della conversione del decreto che, ai sensi dell’art. 77 Cost., deve avvenire entro 60 giorni dalla sua pubblicazione - oltre a porre particolare attenzione agli emendamenti che verranno presentati in tale occasione e che potrebbero condurre all’eliminazione dei requisiti dimensionali e di fatturato delle imprese per beneficiare della moratoria - è consigliabile per quelle attualmente escluse dalla norma – e cioè quelle in bonis di grandi dimensioni nonché quelle classificate come deteriorate – prendere contatti con i singoli istituti di credito per valutare l’adozione di misure analoghe.
Il diritto di famiglia al tempo del coronavirus
2020
L'Avvocato Stella intervistata da Il Dubbio
2020
presso Udine
Intervista all'Avvocato Alessandra Stella su Il Dubbio.
Intelligenza artificiale e giustizia, ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
2020
presso Udine
Assemblea dei legali del triveneto domani a Padova. Tra gli argomenti toccati ci saranno anche le implicazioni legate all’utilizzo degli algoritmi nella amministrazione della giustizia
AVVOCATI: Intelligenza artificiale e giustizia,
ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
Stella: “La giustizia predittiva è dietro l’angolo. Occorre essere pronti: in America si utilizza nel penale; in Estonia nelle cause risarcitorie. In Italia è già realtà in alcuni studi di Roma e Milano”
Padova 21 febbraio 2020 – 13 luglio 2016, Wisconsin (USA): la Suprema Corte conferma la sentenza pronunciata dal Tribunale circondariale di La Crosse, il quale aveva condannato Eric L. Loomis per ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Un caso che non presentava nulla di particolarmente rilevante, senonché il giudice di primo grado si era avvalso del programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), i cui algoritmi avevano calcolato come Loomis avesse un'elevata probabilità di recidiva.
L’Intelligenza Artificiale (in breve AI) consiste, in estrema sintesi, nel far riprodurre a strumenti robotici, attraverso calcoli e algoritmi, capacità e attività cognitive proprie dell’essere umano. La vita di ogni giorno ci offre esempi molto semplici: i traduttori automatici, i sistemi di riconoscimento facciale, i veicoli a guida autonoma. L’Intelligenza Artificiale è una realtà attuale, non più appartenente ad un futuro distopico, ed è oramai prossima ad abbracciare ogni ambito della società, tra cui – come dimostra il caso Looming – anche quello della giustizia. Altro esempio emblematico è quello dell’Estonia, dove si utilizza, in via sperimentale, un algoritmo per risolvere controversie con valore inferiore ai 7mila euro.
“Questa vicenda processuale – spiega la Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati Alessandra Stella, parlando del caso Looming – rappresenta il punto centrale della cosiddetta giustizia predittiva, che consiste nella possibilità di anticipare, tramite algoritmi commerciali, il probabile ragionamento del giudice e quindi la possibile sentenza. In pratica si predice la soluzione perché già a monte si sa che il giudice, quando andrà a decidere la questione, lo farà in un determinato modo. Non si tratta di un futuro lontano, ma di una realtà attuale anche in Italia. A Milano gli algoritmi sono già realtà in alcuni studi legali che li utilizzano per redigere, ad esempio, decreti ingiuntivi che vengono elaborati in pochi minuti senza richiedere tutta quella attività, molto più impegnativa, che viene affidata tradizionalmente al collaboratore di studio”.
I vantaggi e le semplificazioni che ne deriverebbero si possono facilmente immaginare; si pensi alle cosiddette “due diligence”, cioè l'attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all'oggetto di una trattativa finalizzata a valutare la convenienza di un affare. “Addirittura – spiega l’avv. Stella – se queste attività sono poste in essere dall'uomo hanno un margine di errore superiore rispetto al software il cui tasso di fallibilità è dello 0,2%. Praticamente perfetto. Ora, il sistema americano pare orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale. In Italia dobbiamo invece capire per tempo quali prospettive si aprano nell’organizzazione del lavoro dello studio o nella ordinaria attività degli uffici giudiziari. Da noi, del resto, le sentenze non hanno lo stesso valore che hanno nel sistema anglosassone dove costituiscono un precedente vincolante”.
Se non mancano i potenziali aspetti positivi della giustizia predittiva, lo stesso deve dirsi per dubbi e interrogativi: tra tutti, la garanzia della trasparenza del processo logico-decisionale applicato dal programma. Se è necessario poter leggere la motivazione di una sentenza pronunciata da un giudice “umano”, tale necessità si sentirà maggiormente per il caso in cui ad emettere la sentenza sia un giudice “robotico”. Per quanto il software potrà essere scritto seguendo criteri di traslazione in linguaggio matematico dei principi giuridici, trasformati in formule o algoritmi, sarà imprescindibile garantire la verifica dei passaggi tecnici: oltre, quindi, alla motivazione in sé, dovrà essere oggetto di verifica anche il procedimento informatico che ha portato alla motivazione stessa.
All’avvocato Stella fa eco il Presidente degli avvocati di Padova Leonardo Arnau: “Come funziona la giustizia predittiva? Prendiamo ad esempio una separazione tra coniugi: inseriamo nel programma i dati dei clienti, la consistenza del patrimonio, i dati sulla composizione del nucleo familiare, il tenore di vita, le abitudini di vita e l'algoritmo determina se sia dovuto e a quanto ammonti l'assegno di mantenimento, e come va diviso il patrimonio. Lo stesso per il penale: si inseriscono i precedenti, il tipo di personalità, e in ragione della giurisprudenza pregressa l'algoritmo determina la decisione”.
Ed ancora l’Avv. Stella: “Come avvocati non posso nascondere che c’è preoccupazione perché c'è un modo evidentemente differente di svolgere la professione e se queste nuove prospettive non vengono guidate correttamente, potrebbero incidere significativamente”.
Un punto di partenza potrebbe essere la Carta etica europea sull’uso dell’IA nei sistemi giudiziari e il loro ambiente, pubblicata dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa. La Carta etica europea, oltre ad incoraggiare l’uso di strumenti e servizi di IA per migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia, enuncia cinque principi ai quali ci si dovrà attenere: 1) principio di rispetto dei diritti fondamentali, 2) principio di non discriminazione, 3) principio di qualità e sicurezza, 4) principio di trasparenza, imparzialità ed equità e 5) principio “sotto il controllo dell’utente”.
Anche di questo si parlerà domani a Padova in occasione dell’Assemblea degli Avvocati del Triveneto. L’appuntamento è fissato per
Sabato 22 febbraio 2020 alle ore
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Interverranno tra gli altri:
Alessandra Stella - Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati
Leonardo Arnau – Presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova
La presenza di un giornalista della vostra testata sarà particolarmente gradita
Ufficio Stampa assemblea: Carlo Saccon Tel 3282170266
Cormons, assemblea dell'unione Triveneta dei consigli dell'ordine degli avvocati
2019
Link al video del TGR FVG, edizione delle 19:30 del 16 Settembre 2019. L'intervento parte dal minuto 15:20.
“Giustizia e diritti, programmi per l’Europa a confronto”
2019
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Di riforma in riforma”
2019
presso Padova
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Società tra avvocati, una vantaggiosa alternativa allo studio legale associato? Aspetti giuridici, fiscali, previdenziali e deontologici”
2019
presso Pordenone
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Quando i robot apriranno lo studio, Robot e Intelligenza artificiale al servizio del libero professionista”
2019
presso Vicenza
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“I profili personali e patrimoniali nella crisi di famiglia. Evoluzione giurisprudenziale”
2018
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
Le locazioni commerciali al tempo del Coronavirus
2020
Le locazioni commerciali ai tempi del coronavirus
L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus sta generando una grave crisi economica in quasi tutti i settori produttivi del Paese. I provvedimenti fortemente restrittivi hanno interessato la maggioranza delle attività commerciali le quali, impossibilitate a conseguire proventi, stanno affrontando il problema del pagamento dei canoni di locazione. Proprio in questo ambito, gli istituti tradizionali del nostro ordinamento giuridico stanno dimostrando la loro inadeguatezza nel fornire risposte utili ad affrontare la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Il Governo italiano, a far data dai primi provvedimenti adottati per fronteggiare il diffondersi del virus, ha suddiviso le attività produttive e gli esercizi commerciali in due categorie, a seconda della loro ‘essenzialità’ o meno.
Nel contesto emergenziale, tuttavia, sia i gestori delle attività consentite, così come di quelle sospese, stanno fronteggiando il problema relativo al pagamento dei canoni di locazione, principale obbligazione del conduttore.
Da questo punto di vista, le previsioni contenute nella normativa adottata in questi difficili giorni sono pressoché inesistenti ove si consideri che l’unica norma espressamente prevista è quella contenuta nell’art. 65 del D.L. 18/2020, riguardante esclusivamente le attività sospese con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020.
Tale norma prevede un bonus di carattere fiscale consistente in un credito di imposta a favore dei conduttori titolari di attività economiche che siano state sospese in quanto non essenziali. Più nel dettaglio, la misura – un credito di imposta pari al 60 % dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 – potrà essere utilizzata in compensazione con le imposte dovute, esclusivamente dagli intestatari di contratti di locazione di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
La misura di cui si discute, evidentemente, opera solamente a favore delle imprese che, nonostante le difficoltà, siano state in grado di pagare il canone di locazione. Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in assenza di pagamento non è possibile utilizzare il bonus.
L’introduzione del credito di imposta, seppur utile, non risolve tuttavia il problema della carenza di liquidità che le imprese stanno affrontando in quanto, se da un lato non potrà essere utilizzato in compensazione dalle attività non soggette agli obblighi di chiusura – le quali, comunque, potrebbero subire una riduzione del fatturato – dall’altro si rivela utile solo allorquando il conduttore sia stato effettivamente in grado di pagare il canone.
A ben vedere, il problema si pone a monte, e cioè nel momento in cui per il conduttore risulti impossibile adempiere – totalmente o parzialmente – alla propria obbligazione.
Il tema, pertanto, è quello di analizzare eventuali rimedi previsti in via generale dall’ordinamento giuridico, posto che, sicuramente, nei contratti di locazione stipulati ante coronavirus le parti non hanno previsto specifiche clausole contemplanti i comportamenti da tenere in fase di emergenza epidemiologica.
In termini generali, il contratto di locazione è l’accordo in virtù del quale il locatore si impegna a concedere al conduttore il godimento di una cosa, mobile o immobile, per un periodo di tempo determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, detto canone. L’obbligazione principale del conduttore è quella di pagare il canone nei termini convenuti, quella del locatore consiste nel mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto.
A ben vedere, i provvedimenti adottati a seguito della diffusione del coronavirus hanno avuto conseguenze riguardo alle obbligazioni di entrambe le parti del contratto.
Da un lato, infatti, la sospensione di moltissime attività ha avuto riflessi sulla capacità dei conduttori di far fronte alla propria obbligazione, consistente nel pagamento del canone.
Evidentemente, se una attività è stata sospesa, soprattutto quando di piccole dimensioni, il gestore/locatario potrebbe non disporre della liquidità necessaria.
Da questo punto di vista, sono almeno due gli istituti cui fare riferimento; vediamoli nel dettaglio.
Innanzitutto, il conduttore potrebbe avvalersi dell’art. 1256 c.c. sostenendo l’impossibilità della sua prestazione, per causa ad esso non imputabile. Tuttavia, mentre può ritenersi corretto interpretare i provvedimenti dell’autorità amministrativa quali cause di impossibilità oggettiva, risulta più arduo configurare l’obbligazione del conduttore come impossibile materialmente. Il pagamento del canone, infatti, diversamente dalle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di genere limitato, non può dirsi mai oggettivamente impossibile.
L’altro istituto cui rivolgere l’attenzione è quello della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, previsto ex art. 1467 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica. Effettivamente, a causa della chiusura dei locali, il pagamento del corrispettivo potrebbe diventare eccessivamente oneroso. In tal caso, la norma riconosce al locatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto. Il terzo comma dell’art. 1467 c.c., tuttavia, in un’ottica manutentiva, consente al locatore di bilanciare nuovamente il sinallagma contrattuale proponendo una modifica equitativa del contratto, riducendo l’ammontare del canone. Si badi che, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa non ha diritto di sospendere unilateralmente il pagamento, dovendo invece agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto.
In aggiunta, a tutela del conduttore inadempiente è stata prevista una specifica norma ad opera della decretazione d’urgenza. Il riferimento è al comma 6 bis aggiunto all’art. 3 del D.L. 6/2020 con il D.L. ‘Cura Italia’. Tale previsione, considerando le inevitabili difficoltà che la diffusione del virus e i provvedimenti ad esso collegati avrebbe determinato nella regolare esecuzione dei contratti, sancisce – in maniera probabilmente ridondante – che ‘il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti’. In tal modo, il locatore potrebbe vedersi paralizzare la richiesta di risarcimento del danno arrecato dal conduttore a causa dell’inadempimento della sua obbligazione. La norma non contiene una presunzione per cui il rispetto delle misure previste dal Governo possa mandare esente il conduttore da responsabilità, bensì prescrive che il Giudice debba valutare l’esclusione della responsabilità del debitore, valutando di volta in volta le situazioni e comparando i diversi interessi in gioco.
Se si rivolge, invece, l’attenzione al locatore ed alla sua obbligazione, ecco che torna ad assumere rilevanza il tema della impossibilità della prestazione. Egli, infatti, si obbliga a mettere a disposizione del conduttore l’immobile non per un generico godimento, bensì per un utilizzo specifico consistente nello svolgimento di una determinata attività. Attività che, a causa dei provvedimenti adottati per favorire la regressione del virus, non può svolgersi. Sarebbe il locatore, pertanto, a non essere in grado di adempiere alla propria obbligazione. Il conduttore, infatti, pur avendo la materiale disponibilità della cosa, non può goderne - per tutto il periodo di vigenza del divieto - per lo svolgimento della specifica attività per cui aveva scelto di stipulare il contratto. Si determinerebbe, quindi, una impossibilità parziale della prestazione del locatore che legittimerebbe, conseguentemente, il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 c.c., a domandare una riduzione della prestazione da esso dovuta, ove non sia intenzionato a recedere dal contratto.
Gli istituti generali sin qui presi in considerazione hanno tutti la comune caratteristica di essere diretti alla risoluzione del contratto, fatta eccezione per la facoltà prevista in capo al creditore, nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, di evitare la caducazione del contratto proponendo una sua modifica.
Si deve però considerare che, nella situazione economica che stiamo attraversando, difficilmente le parti del contratto, non appena una della due risulti inadempiente, vorranno sciogliere il contratto, opzione che, invece, dovrebbe essere considerata quale extrema ratio.
Per entrambe le parti è più vantaggioso mantenere in vita il contratto. Se, infatti, per il locatore è innegabile che, ottenuto lo scioglimento del contratto, in questo momento difficilmente sarebbe in grado di individuare un nuovo conduttore, è altrettanto vero che anche il conduttore sarà interessato a far sopravvivere il contratto, nella speranza che – terminata la situazione di emergenza – sarà possibile riprendere nuovamente la propria attività.
Ecco quindi che, per soddisfare al meglio gli interessi delle parti ed evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale, il rimedio più adatto è rappresentato dal ricorso ai principi generali della correttezza e della buona fede. La parte colpita dagli effetti pregiudizievoli dell’emergenza sanitaria potrà chiedere alla propria controparte di rinegoziare i termini del contratto, prevedendo la sospensione del pagamento del canone oppure una sua riduzione, facendo appello ai summenzionati principi che trovano necessariamente applicazione in tutte le fasi della vicenda contrattuale. Corrispondentemente, in capo all’altra parte sussisterebbe un obbligo – fondato sui medesimi doveri, oltre che sul generale principio di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost. – di acconsentire alla rinegoziazione, accettando le modifiche proposte o proponendo delle nuove soluzioni che consentano di ristabilire l’equilibrio del rapporto contrattuale.
In conclusione, non si può non sottolineare come la situazione sia caratterizzata da assoluta ed inedita eccezionalità per fronteggiare la quale si reputa opportuno l’intervento del legislatore volto a disciplinare in modo specifico le fattispecie che si stanno venendo a creare e che, inevitabilmente, si creeranno.
In un’ottica disincentivante del ricorso all’Autorità giudiziaria, a mero titolo esemplificativo, potrebbe essere predeterminata una ripartizione tra il locatore e il conduttore dei costi causati dalla sospensione delle attività commerciali, nonché la previsione dell’incentivazione a raggiungere un accordo bonario tra le medesime parti, prevedendo degli sgravi fiscali.
PMI: prestiti fino a € 25.000,00 garantiti dallo stato
2020
PMI: prestiti fino a 25.000 euro garantiti dallo Stato
Per assicurare la continuità dell’attività delle imprese, degli artigiani, dei lavoratori autonomi e dei professionisti in questa fase di emergenza sanitaria, il Consiglio dei Ministri ha individuato due forme di intervento complementari.
Si tratta della moratoria sui prestiti e dell’intervento del Fondo di garanzia per le PMI, entrambi previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” n. 17/2020.
Mentre la prima misura non è stata interessata dalle norme contenute nel D.L. 23/2020, le declinazioni dell’attività del Fondo Centrale di Garanzia hanno subito rilevanti modifiche ad opera Decreto ‘Liquidità’ riguardanti i massimali previsti, le percentuali di copertura, i requisiti soggettivi e i termini di accesso alla misura.
In generale, l’attività del Fondo di Garanzia consiste in un’agevolazione prevista dal Ministero dello Sviluppo economico che può essere attivata a fronte di finanziamenti erogati da Banche o altri intermediari finanziari e che non interviene direttamente nel rapporto tra Banca e Cliente, bensì sostituisce le onerose garanzie richieste per ottenere un finanziamento con la garanzia pubblica.
L’art. 13 del Decreto ‘Liquidità’, abrogando espressamente l’art. 49 del D.L. 17/2020, ne ha mantenuto l’impianto prevedendo quanto segue:
proroga dei termini di accesso alla misura sino al 31 dicembre 2020;
gratuità della concessione della garanzia;
incremento dei massimali di copertura sino all’importo di € 5 milioni per singola impresa;
estensione della platea dei soggetti beneficiari alle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 unità;
nonché, alla lett. m) del co. 1, una specifica misura di concessione di garanzia sui nuovi finanziamenti erogati dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore delle piccole e medie imprese come pure di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività è stata danneggiata dall’emergenza da COVID-19, come da autocertificazione.
Tale misura, cui si accede secondo un iter procedurale semplificato, consiste – previa autorizzazione della Commissione Europea ex art. 108 TFUE – in una garanzia pari al 100% dell’importo erogato, somma che non può superare il 25 % dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario e, in ogni caso, non può essere superiore a 25.000 euro. I ricavi sono quelli risultanti dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da “altra idonea documentazione”, anche mediante autocertificazione. Per gli esercenti arti e professioni, diversamente, il termine ‘ricavi’ dovrà essere considerato nell’accezione di ‘compensi’ riferiti all’anno d’imposta 2018.
Affinché operi la garanzia, per tali finanziamenti deve essere previsto il rimborso del capitale non prima di 24 mesi dall’erogazione e gli stessi, in aggiunta, non devono avere una durata superiore ai 72 mesi.
È stata oggetto di conferma la previsione circa l’automaticità e gratuità dell’intervento, previa verifica del possesso dei requisiti richiesti, senza alcuna valutazione preventiva di merito del soggetto beneficiario.
In conclusione – sottolineando come il reale successo di tale misura sarà determinato dalla capacità dell’intero sistema creditizio di elaborare con celerità le numerosissime domande presentate e di fornire una rapida risposta alle imprese in difficoltà – si aggiunge che, all’art. 1 del Decreto ‘Liquidità’, è stata introdotta un’ulteriore misura di sostegno, avente carattere sussidiario, rappresentata dalla Garanzia SACE per le grandi imprese, le PMI e i professionisti che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia.
Moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
2020
La moratoria sui prestiti per PMI e professionisti
Il Governo italiano, nel suo affannoso tentativo di arginare le drammatiche conseguenze che la diffusione pandemica del Coronavirus determinerà anche nel nostro Paese, ha dato vita ad una copiosa produzione normativa con la previsione – tra le altre misure – di varie forme di sostegno economico al sistema produttivo.
Da questo punto di vista, risulta imprescindibile tutelare le cd. ‘PMI’ (Piccole e medie imprese) che, considerata la loro rilevanza economica e capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, costituiscono la componente fondamentale del sistema economico italiano e la cui scomparsa determinerebbe incalcolabili danni e ricadute su tutti gli altri settori, cui sarebbe impossibile porre rimedio.
Per evitare un simile scenario, all’interno del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, il Governo all’art. 56 ha previsto una norma contenente “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”.
Viene così introdotta quella che può essere considerata una – seppur limitata – boccata d’ossigeno per le imprese di minor dimensione operanti in tutti i settori ed aventi sede in Italia.
Tale strumento rientra tra quegli interventi definibili come Aiuti di Stato consentiti dall’art. 107 TFUE, in deroga al generale principio di incompatibilità degli aiuti con il mercato comune, in quanto diretto a porre rimedio ai danni causati da un simile evento eccezionale comportante un grave turbamento all’economia.
Si tratta, a ben vedere, di una moratoria sui prestiti concessi dalle Banche e dagli altri Intermediari Finanziari alle micro, piccole e medie imprese così come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE e cioè quelle con un numero di occupati inferiore alle 250 unità e con un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro, ovvero il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
Come precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’interno di questa previsione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi titolari di partita Iva.
Più nel dettaglio, la misura di sostegno finanziario contenuta nel co. 2, lett. c) dell’art. 56 consiste nella possibilità di ottenere, per mutui e altri finanziamenti a rimborso rateale, che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre del 2020 venga sospeso sino a tale data. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione verrà, pertanto, dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Presupposto necessario per poter beneficiare di tale previsione – oltre a quello relativo alla solvibilità dell’impresa, che non deve presentare esposizioni debitorie classificate come deteriorate – è quello della presentazione di una comunicazione contenente: l’indicazione del finanziamento per il quale è richiesta la moratoria, i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, la dichiarazione con la quale si autocertifica, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000, di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, con la consapevolezza delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci.
Tali comunicazioni, che possono essere presentate dalle imprese dal 17 marzo 2020, possono essere inviate anche tramite PEC o con altri sistemi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.
Lo strumento in esame, trattandosi di moratoria ad ampio spettro di applicazione e concepita in risposta al Covid-19, consente di evitare il processo che – viste le modifiche apportate al contratto originale della linea di credito – potrebbe condurre ad una classificazione a forbearance del finanziamento. Tale circostanza è stata confermata anche dall’EBA nelle sue linee guida del 2 aprile 2020, nelle quali si specifica che “l’applicazione della moratoria generale di pagamento di per sé non dovrebbe indurre a riclassificare un’esposizione come «forborne» (sia essa deteriorata o non deteriorata), a meno che non sia già stata classificata come «forborne» al momento dell’applicazione della moratoria”. Conseguenza è quella per cui potrà ricorrere a tale strumento anche l’impresa – in bonis – che abbia comunque ottenuto misure di sospensione o ristrutturazione dello stesso finanziamento nell’arco dei 24 mesi precedenti.
Nulla esclude, come per altro si sta già verificando, che i singoli istituti di credito possano, nel rispetto dei requisiti indicati dall’art. 56 del decreto, adottare previsioni maggiormente favorevoli per l’impresa, come potrebbe essere quella relativa al periodo di sospensione dei pagamenti, avendo riguardo al comportamento e alla situazione riguardante il debitore prima dell’esplosione della pandemia.
In attesa della conversione del decreto che, ai sensi dell’art. 77 Cost., deve avvenire entro 60 giorni dalla sua pubblicazione - oltre a porre particolare attenzione agli emendamenti che verranno presentati in tale occasione e che potrebbero condurre all’eliminazione dei requisiti dimensionali e di fatturato delle imprese per beneficiare della moratoria - è consigliabile per quelle attualmente escluse dalla norma – e cioè quelle in bonis di grandi dimensioni nonché quelle classificate come deteriorate – prendere contatti con i singoli istituti di credito per valutare l’adozione di misure analoghe.
Il diritto di famiglia al tempo del coronavirus
2020
L'Avvocato Stella intervistata da Il Dubbio
2020
presso Udine
Intervista all'Avvocato Alessandra Stella su Il Dubbio.
Intelligenza artificiale e giustizia, ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
2020
presso Udine
Assemblea dei legali del triveneto domani a Padova. Tra gli argomenti toccati ci saranno anche le implicazioni legate all’utilizzo degli algoritmi nella amministrazione della giustizia
AVVOCATI: Intelligenza artificiale e giustizia,
ecco l’ultima frontiera del “legal tech”
Stella: “La giustizia predittiva è dietro l’angolo. Occorre essere pronti: in America si utilizza nel penale; in Estonia nelle cause risarcitorie. In Italia è già realtà in alcuni studi di Roma e Milano”
Padova 21 febbraio 2020 – 13 luglio 2016, Wisconsin (USA): la Suprema Corte conferma la sentenza pronunciata dal Tribunale circondariale di La Crosse, il quale aveva condannato Eric L. Loomis per ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Un caso che non presentava nulla di particolarmente rilevante, senonché il giudice di primo grado si era avvalso del programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), i cui algoritmi avevano calcolato come Loomis avesse un'elevata probabilità di recidiva.
L’Intelligenza Artificiale (in breve AI) consiste, in estrema sintesi, nel far riprodurre a strumenti robotici, attraverso calcoli e algoritmi, capacità e attività cognitive proprie dell’essere umano. La vita di ogni giorno ci offre esempi molto semplici: i traduttori automatici, i sistemi di riconoscimento facciale, i veicoli a guida autonoma. L’Intelligenza Artificiale è una realtà attuale, non più appartenente ad un futuro distopico, ed è oramai prossima ad abbracciare ogni ambito della società, tra cui – come dimostra il caso Looming – anche quello della giustizia. Altro esempio emblematico è quello dell’Estonia, dove si utilizza, in via sperimentale, un algoritmo per risolvere controversie con valore inferiore ai 7mila euro.
“Questa vicenda processuale – spiega la Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati Alessandra Stella, parlando del caso Looming – rappresenta il punto centrale della cosiddetta giustizia predittiva, che consiste nella possibilità di anticipare, tramite algoritmi commerciali, il probabile ragionamento del giudice e quindi la possibile sentenza. In pratica si predice la soluzione perché già a monte si sa che il giudice, quando andrà a decidere la questione, lo farà in un determinato modo. Non si tratta di un futuro lontano, ma di una realtà attuale anche in Italia. A Milano gli algoritmi sono già realtà in alcuni studi legali che li utilizzano per redigere, ad esempio, decreti ingiuntivi che vengono elaborati in pochi minuti senza richiedere tutta quella attività, molto più impegnativa, che viene affidata tradizionalmente al collaboratore di studio”.
I vantaggi e le semplificazioni che ne deriverebbero si possono facilmente immaginare; si pensi alle cosiddette “due diligence”, cioè l'attività di investigazione e di approfondimento di dati e di informazioni relative all'oggetto di una trattativa finalizzata a valutare la convenienza di un affare. “Addirittura – spiega l’avv. Stella – se queste attività sono poste in essere dall'uomo hanno un margine di errore superiore rispetto al software il cui tasso di fallibilità è dello 0,2%. Praticamente perfetto. Ora, il sistema americano pare orientato verso l’applicazione concreta dell’intelligenza artificiale. In Italia dobbiamo invece capire per tempo quali prospettive si aprano nell’organizzazione del lavoro dello studio o nella ordinaria attività degli uffici giudiziari. Da noi, del resto, le sentenze non hanno lo stesso valore che hanno nel sistema anglosassone dove costituiscono un precedente vincolante”.
Se non mancano i potenziali aspetti positivi della giustizia predittiva, lo stesso deve dirsi per dubbi e interrogativi: tra tutti, la garanzia della trasparenza del processo logico-decisionale applicato dal programma. Se è necessario poter leggere la motivazione di una sentenza pronunciata da un giudice “umano”, tale necessità si sentirà maggiormente per il caso in cui ad emettere la sentenza sia un giudice “robotico”. Per quanto il software potrà essere scritto seguendo criteri di traslazione in linguaggio matematico dei principi giuridici, trasformati in formule o algoritmi, sarà imprescindibile garantire la verifica dei passaggi tecnici: oltre, quindi, alla motivazione in sé, dovrà essere oggetto di verifica anche il procedimento informatico che ha portato alla motivazione stessa.
All’avvocato Stella fa eco il Presidente degli avvocati di Padova Leonardo Arnau: “Come funziona la giustizia predittiva? Prendiamo ad esempio una separazione tra coniugi: inseriamo nel programma i dati dei clienti, la consistenza del patrimonio, i dati sulla composizione del nucleo familiare, il tenore di vita, le abitudini di vita e l'algoritmo determina se sia dovuto e a quanto ammonti l'assegno di mantenimento, e come va diviso il patrimonio. Lo stesso per il penale: si inseriscono i precedenti, il tipo di personalità, e in ragione della giurisprudenza pregressa l'algoritmo determina la decisione”.
Ed ancora l’Avv. Stella: “Come avvocati non posso nascondere che c’è preoccupazione perché c'è un modo evidentemente differente di svolgere la professione e se queste nuove prospettive non vengono guidate correttamente, potrebbero incidere significativamente”.
Un punto di partenza potrebbe essere la Carta etica europea sull’uso dell’IA nei sistemi giudiziari e il loro ambiente, pubblicata dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa. La Carta etica europea, oltre ad incoraggiare l’uso di strumenti e servizi di IA per migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia, enuncia cinque principi ai quali ci si dovrà attenere: 1) principio di rispetto dei diritti fondamentali, 2) principio di non discriminazione, 3) principio di qualità e sicurezza, 4) principio di trasparenza, imparzialità ed equità e 5) principio “sotto il controllo dell’utente”.
Anche di questo si parlerà domani a Padova in occasione dell’Assemblea degli Avvocati del Triveneto. L’appuntamento è fissato per
Sabato 22 febbraio 2020 alle ore
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Interverranno tra gli altri:
Alessandra Stella - Presidente dell’Unione Triveneta dei consigli degli ordini degli avvocati
Leonardo Arnau – Presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova
La presenza di un giornalista della vostra testata sarà particolarmente gradita
Ufficio Stampa assemblea: Carlo Saccon Tel 3282170266
Cormons, assemblea dell'unione Triveneta dei consigli dell'ordine degli avvocati
2019
Link al video del TGR FVG, edizione delle 19:30 del 16 Settembre 2019. L'intervento parte dal minuto 15:20.
“Giustizia e diritti, programmi per l’Europa a confronto”
2019
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Di riforma in riforma”
2019
presso Padova
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Società tra avvocati, una vantaggiosa alternativa allo studio legale associato? Aspetti giuridici, fiscali, previdenziali e deontologici”
2019
presso Pordenone
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“Quando i robot apriranno lo studio, Robot e Intelligenza artificiale al servizio del libero professionista”
2019
presso Vicenza
Convegno Avv. Alessandra Stella.
“I profili personali e patrimoniali nella crisi di famiglia. Evoluzione giurisprudenziale”
2018
presso Udine
Convegno Avv. Alessandra Stella.